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Resolution: Revolution!

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    IL PENSIERO CRITICO IN UNA SOCIETA’ DOMINATA DALL’INDIVIDUALISMO EGOISTICO E COMPETITIVO

    (4 Febbraio 2016)

    Da qualche giorno sulle colonne del “Manifesto” si succedono interventi diversi (Bevilacqua, Masucci, Scandurra) che sembrano mirare all’avvio di una qualche riflessione sul ruolo e il peso degli intellettuali nella costruzione di un’idea complessiva di ripresa dei fili separati degli specialismi per cercare di ricondurli a un’ipotesi d’iniziativa comune.
    Specificatamente, nell’intervento di Scandurra, si tocca il tasto del silenzio degli intellettuali e del declino (evidente) dell’Università quale sede deputata all’ espressione del lavoro di quello che un tempo si definiva “ impegno”.
    In quest’occasione accomunare i testi di Bevilacqua e Masucci con quello di Scandurra rappresenta sicuramente una forzatura, ma tentare può forse valere la pena proprio per cercare di definire oggi cosa può valere e rappresentare il lavoro di ricerca rispetto alla capacità d’incidere sul reale e sull’azione di cambiamento del reale: cioè sulla politica.
    E’ questo l’elemento smarrito: quello dell’incidenza sulla formazione del pensiero, in generale, da tradurre in azione e quindi come motore del cambiamento e punto di raccolta dell’identità sociale e politica.
    Si è perduto il “pensiero critico” e la possibilità di aggiornamento che il concreto del dibattito recava con sé.
    Un dibattito che si sviluppava a diversi livelli, non semplicemente in sede accademica, nel confronto tra i saperi.
    Il pensiero unico formato dal formidabile mix della tecnica e dell’economia pare aver definitivamente prevalso e non si riesce più a scuotere il muro dell’indifferenza di massa, non si creano la divisione del conflitto e le ricomposizioni delle sintesi.
    L’apparire prevale sull’essere e, appunto, tecnica ed economia riunificate impongono la logica della “democrazia dall’alto” nella determinazione del “comando” e non della “scelta”.
    E’ vero, l’Università non produce più pensiero ma egualmente non producono pensiero i partiti e gli stessi luoghi di espressione di quella che un tempo definivamo “cultura”: dalla letteratura, all’arte, al cinema.
    Tutto è assolutamente ripetitivo perché l’assenza di conflitto non provoca più rottura: sono assenti, in questo quadro, i soggetti sociali.
    Un mondo triste, di eterni eguali negli atteggiamenti, nelle proposte, nelle riflessioni: e non è questione di specialisti.
    Le comunità scientifiche lavorano esclusivamente per conseguire due obiettivi: la conservazione del potere e il profitto.
    Una sorta di vana rincorsa alla “modernità” segnata dall’individualismo di presunti “diritti” orientati sempre all’individualismo egoistico e stupidamente competitivo
    Da dove ripartire, se possibile?
    Non certo dai convegni che vorrebbero far incontrare specialisti che, in questa condizione, sarà impossibile riunificare.
    Da un progetto: un progetto che abbia forte il dato della soggettività politica e punti a farci interrogare su quali sono le cause della resa al “pensiero unico” (perché questo silenzio nasce proprio da questo punto preciso: la resa al “pensiero unico”).
    Un progetto che restituisca valore alla “diversità” della ricerca del collettivo, del comune “slancio sociale”.
    Non è sufficiente un generico nuovo “umanesimo”.
    Interroghiamoci allora su due punti:
    1) Il neoliberismo non si è dimostrato incapace dell’indispensabile e vitale opera di trasformazione..ecc,ecc. Semplicemente perchè il neoliberismo così come viene chiamato è un’articolazione nella complessità di un capitalismo storicamente proteiforme che è necessario afferrare e sconfiggere e che non è fatto semplicemente di tecnica e di economia, ma di capacità di penetrazione profonda del proprio messaggio. Non entro nel merito della complessità perchè porterebbe via troppo spazio ma il punto di fondo credo debba essere individuato con precisione, senza concessioni impossibili a rinnovati umanesimi che, alla fine, lascerebbero inalterati i rapporti di forza basati su di un apparente eterno “diseguale”. Hanno cercato addirittura di far credere che la storia fosse finita;
    2) la divisione tra i saperi, sul piano intellettuale, può essere superata soltanto attraverso la ricostruzione di un orizzonte comune: non basta ovviamente ricomporre il rapporto d’intima appartenenza dell’uomo alla natura, come scrive Masucci. Restano intatti i temi dello sfruttamento, della sopraffazione, dell’alienazione. Anche nelle sedi accademiche, artificiosamente separate è necessario tornare a lavorare per produrre questa consapevolezza.
    In sostanza è necessaria la costruzione di una cultura del superamento del presente. Una cultura che può ritrovarsi soltanto all’interno di una soggettività politica capace di offrire identità e proporre egemonia.

    3) Insomma: la piena espressione di un “pensiero critico”, un punto di vista costantemente “altro”.Si tratta di rifiutare la confusione della filosofia “multitudinaria” che avalla definitivamente la società del consumo individualistico, mantenendo forte e chiara la capacità di distinguere – sempre e comunque – la ferocia insopportabile della divisione di classe.

    Franco Astengo

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