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Il capitalismo spiegato ai bambini

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    Con il Jobs Act è morto il contratto a tempo indeterminato

    Sta avvenendo che molti contratti a tempo determinato vengono sostituiti con quelli a tempo indeterminato soltanto perché le aziende beneficiano di questi sgravi contributivi

    (21 Marzo 2016)

    paola celletti

    Paola Celletti - USB Viterbo

    È in atto una campagna mediatica sia a livello televisivo che di stampa, tesa a promuovere il Jobs Act quale strumento di stabilizzazione del lavoro; anche sui locali giornali web, infatti , sono apparsi comunicati come ad esempio quello di Federlazio di qualche giorno fa, che affermerebbero che questo provvedimento varato dal governo Renzi avrebbe incrementato le assunzioni a tempo indeterminato.
    Spiace andare contro tendenza ma la nostra opinione è tutt’altra: attraverso questa riforma del lavoro, il contratto a tempo indeterminato ha cessato di esistere.
    Con la definitiva abolizione dell’art. 18, contenuta nel Jobs Act, infatti, il datore di lavoro può licenziare senza giustificato motivo, in quanto non è più previsto il reintegro nel posto di lavoro nel caso in cui il giudice stabilisca che il licenziamento è illegittimo.

    Se, poi , a questo aggiungiamo gli sgravi contributivi che il governo ha concesso alle imprese tramite la Legge di Stabilità, il quadro è completo: le imprese assumono beneficiando degli sgravi contributivi, sapendo che possono licenziare in qualsiasi momento.

    Primi esempi di “licenziati a tutele crescenti” ci risultano essere stati tre operai della cartiera Pigna Envelopes di Tolmezzo, assunti a marzo con il contratto a tempo indeterminato introdotto dal Jobs Act , dopo soli otto mesi l’azienda li ha lasciati a casa. Eppure la Società ci risulta abbia potuto beneficiare dei generosi incentivi che esonerano il datore di lavoro dal pagamento dei contributi per tre anni”.

    Possiamo capire così come il governo ne faccia un suo cavallo di battaglia e, soprattutto, perché i suoi fidi alfieri, che di certo non sono i lavoratori ma le parti datoriali e le imprese, difendano appassionatamente questa riforma.

    L’abolizione dell’art. 18 e l’introduzione del contratto a tutele crescenti, che vuol dire zero tutele per un lungo periodo lavorativo e la decontribuzione per le aziende per i primi tre anni, stanno creando un turnover di precari nelle imprese senza alcuna possibilità reale di stabilizzazione, una sorta di caporalato legalizzato.

    Sta avvenendo, e i fatti ce lo confermano, che molti contratti a tempo determinato vengono sostituiti con quelli a tempo indeterminato soltanto perché le aziende beneficiano di questi sgravi contributivi ma i lavoratori sono condannati ad un precariato a vita ed i licenziamenti non riguarderanno più vere crisi aziendali o negligenze del dipendente, bensì periodici ricambi di forza lavoro che darà diritto a nuovi sgravi alle imprese.

    Nella bieca giustificazione che abbia rappresentato un ostacolo alle assunzioni, è stata compiuta attraverso il Jobs Act , la reale devastazione del diritto fondamentale del lavoro e, ancor peggio, è stato messo in atto un infame tentativo di mettere padri contro i figli , generazione contro generazione, facendo passare per privilegi quei sacrosanti diritti (come il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo) che delineano il confine tra dignità e schiavitù.

    Paola Celletti
    Usb VITERBO

    USB Viterbo

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