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Trivelle: solo il rilancio di una mobilitazione di massa può dare prospettiva alle ragioni referendarie

(19 Aprile 2016)

pcl in forma

Quattordici milioni di votanti contro i petrolieri e il loro governo sono tutt'altro che un dato trascurabile. Ma il miracolo della vittoria referendaria del 2011 contro la privatizzazione dell'acqua pubblica non si è ripetuto. Era prevedibile. Non solo il tema di scontro era meno direttamente percepibile da una fascia ampia di elettorato popolare. Ma il contesto politico è diverso. Nel 2011 lo scontro referendario aveva un raccordo diretto con anni di mobilitazione di massa antiberlusconiana e con un appuntamento elettorale diffuso, che trascinò la partecipazione. Oggi il referendum aveva come sfondo la prolungata disattivazione dell'opposizione sociale, per responsabilità delle direzioni del movimento operaio e sindacale, e il governo aveva peraltro ben provveduto ad evitare la “pericolosa” combinazione con le elezioni amministrative. Lo scandalo di Tempa Rossa, con la pubblica evidenza delle commistioni dei petrolieri col proprio comitato d'affari, ha sicuramente favorito nell'ultima fase una politicizzazione positiva dello scontro, trascinando una estensione della partecipazione al voto. Ma non tale da poter capovolgere un rapporto di forze, nella situazione data, obiettivamente impari.

Il Capo del governo, sondaggi alla mano, aveva cinicamente investito nell'astensione, per poterne rivendicare il merito. Lo sproloquio recitato a reti unificate dopo cinque minuti dalla chiusura delle urne ha mirato a trasformare l'insuccesso del referendum nella vittoria del capo. Un capolavoro di ipocrisia e di doppiezza: chi ha cancellato lo Statuto dei Lavoratori, imponendo la libertà del licenziamento arbitrario, si è dichiarato “solidale con i lavoratori” per la difesa di un posto che nessuno insidiava; chi ha garantito concessioni eterne ai suoi amici petrolieri si è dichiarato “portavoce” delle energie rinnovabili; chi ha operato per svuotare la partecipazione al referendum si è dichiarato massimo difensore del referendum, ed anzi “vicino” a chi è andato a votare disobbedendo al suo invito. Il perché di queste contorsioni è molto semplice. Renzi vuole evitare ogni possibile consolidamento del blocco elettorale di 14 milioni di votanti in un blocco politico contro il governo capace pesare sul referendum istituzionale di ottobre. L'unico referendum che interessa il Capo: il plebiscito chiamato a incoronarlo Bonaparte. Per questo ha operato da subito per disgregare quel blocco. La campagna referendaria per la svolta istituzionale ha conosciuto ieri, col discorso di Renzi, il suo pubblico esordio. Con tutta la sua volgare demagogia.

Ma una riflessione di fondo si impone a sinistra. L'esperienza ha dimostrato una volta di più che l'arma referendaria non può rimpiazzare la mobilitazione di massa e di classe. Le direzioni politiche e sindacali della sinistra italiana che si affidano alla stagione referendaria dopo aver silenziato la mobilitazione contro il Jobs Act e il movimento di massa nella scuola, si sono assunte una responsabilità pesante. Senza un forte rilancio della più ampia mobilitazione sociale contro governo e padronato non solo non si offrirà alcuna prospettiva alle ragioni del Sì del 17 aprile, ma si rischia seriamente di spianare la strada alla vittoria del plebiscito reazionario del renzismo. Con un ulteriore pesante deterioramento dei rapporti di forza politici e sociali, ad ogni livello.
Per questo il Partito Comunista dei Lavoratori, nel confermare il proprio impegno unitario nel vasto fronte referendario - a sostegno di tutte le ragioni progressive, sociali, democratiche, ambientali - si batterà nei luoghi di lavoro, nei sindacati di classe, sul territorio, per una svolta radicale di mobilitazione di massa. L'unica che può ribaltare lo scenario politico e sociale e sbarrare la strada alla reazione.

Lo sciopero e le manifestazioni dei metalmeccanici del 20 aprile sono stare concepite dalle burocrazie sindacali in funzione del recupero della concertazione col padronato. La FIOM non fa oggi eccezione. Ma lo scontro di fatto apertosi con il rifiuto padronale di rinnovare il contratto può e deve essere trasformato nell'inizio di una mobilitazione vera, generale, radicale, capace di aprire dal basso una nuova prospettiva. Il PCL porterà questa proposta nelle manifestazioni dei lavoratori in continuità con la propria battaglia nelle fabbriche e nei sindacati. Contro i padroni, contro il governo. Per una lotta che vada sino in fondo.

18 aprile 2016

Partito Comunista dei Lavoratori

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