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Il mattino ha loro in bocca

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(6 Settembre 2011) Enzo Apicella
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RIPRESA DELLE LOTTE IN FRANCIA

(29 Aprile 2016)

Riprendiamo questo contributo, fatto circolare ieri dal Nucleo Comunista Internazionalista, perché sottolinea con forza che le lotte che si stanno dispiegando in Francia ci riguardano

Dal 9 marzo la Francia è percorsa da scioperi e manifestazioni, ma nessuno sembra accorgersene.

Accade in Italia, ma temiamo che anche altrove le antenne per ricevere e rilanciare i segnali della lotta di classe siano al momento piuttosto disattivate.

In Grecia ci ha pensato il governo Tsipras a smorzare la disponibilità alla lotta. Ha certificato “da sinistra” che “più di tanto non si può fare” sicché è gioco forza piegarsi ai diktat dei “tecnocrati europei e del FMI” (“disumani e irrazionali” certamente, ma dispensatori della liquidità di cui “non si può fare a meno”). A smobilitare la lotta in Grecia, beninteso, è stata l’illusione della massa appagata dallo spostamento del “baricentro politico” verso un governo di “sinistra responsabile”, cui affidare il compito di piatire misericordia e sconti (peraltro improbabili) dai creditori e giammai di aprire lo scontro interno sulle responsabilità di un debito incolmabile. Tsipras ha fatto quel che è scritto nel programma di Syriza, con buona pace dei “rivoluzionari” che gli hanno tributato intempestivi attestati di “abilità” per aver opposto ai diktat dei creditori il “voto popolare”, dal quale Tsipras – lo aggiungiamo noi – non ha mai inteso raccogliere il mandato per decidere – esso, governo “di sinistra” oltre che di Grecia, e non Bruxelles o Washington – cosa andava e va fatto per addebitare ai capitalisti, quelli greci in primis, il loro debito.

Non diversa la situazione in Spagna e Portogallo. Ancor qui l’inizio di una mobilitazione e le azioni di sciopero sembrerebbero aver ribaltato il quadro politico. Le urne hanno certificato, insieme alla disaffezione per i “governi dell’austerità”, una buona dose di sfiducia e confusione. Ne è seguito in Portogallo uno stentato e inedito “governo delle sinistre”. In Spagna è stato disarcionato Rajoy, senza che il Partito Socialista si sia reso disponibile finora alla soluzione portoghese e all’alleanza di governo con le nuove rappresentanze proiettate dai “movimenti” sulla scena politica. Ancor qui gioca l’illusione che le politiche antioperaie possano essere contrastate senza venire allo scontro diretto con il capitalismo (e per questo si accredita la debole – per programmi e non per voti raccolti – opposizione di Podemos). Uno scontro che le masse non vogliono sostenere fino alle conseguenze estreme, ma che il capitalismo continuamente ripropone e impone lasciando sul piatto l’alternativa di un’accettazione minimamente mitigata e, se si vuole, in cangianti forme dei propri indiscussi interessi di profitto e di potere.

Che dire dell’Italia dove nessuna Syriza o Podemos ha guadagnato il successo delle urne? Qui non va in scena lo svilimento successivo di lotte comunque date, ma la paralisi preventiva di ogni lotta. I “realisti” alla manifesto continuano a proporre indigesti laboratori politici sognando di poter fare un giorno “come Syriza e Podemos”. Quel che resta dei cosiddetti “movimenti” si agita in ambito locale su tematiche certo importanti ma limitate (la casa in particolare), con l’occhio rivolto a “sponde politiche” cui apparentarsi nelle prossime elezioni sempre in calendario.

La ripresa di lotta in Francia non impatta soltanto con le temperature sociali più che tiepide e quasi fredde dell’Europa circostante. Place de la Republique, dove dal 31 marzo si tengono le assemblee notturne per organizzare la lotta dei giorni che seguono (Nuit debout: notte in piedi), è la stessa piazza dove a novembre i francesi hanno commemorato i morti degli attentati delle cellule dell’islamismo politico collegate al califfato radicato in Iraq, in Siria e altrove. A novembre la piazza era quella del lutto di tutti i francesi. Una piazza orientata dalla propaganda governativa verso il compattamento “contro il nemico esterno”, la giustificazione delle guerre imperialiste “contro i terroristi”, il sostegno all’escalation di aggressioni militari che la Francia ha in corso insieme ai sodali occidentali, in Siria, nei paesi centro-africani, in Libia. Ad aprile, invece, la piazza è di una sola parte dei francesi. E’ la piazza dei lavoratori e innanzitutto delle giovani generazioni senza riserve, cui la Loi Travail sbatte in faccia che in quel “popolo” che si vorrebbe “unito e coeso a difesa della nazione” esistono ben distinte classi con interessi decisamente contrapposti, ed esiste l’insaziabile antagonismo degli industriali – prontamente raccolto dall’esecutivo “socialista” – che reclamano “carne da padrone” per i loro profitti (come è stato denunciato nei cortei: “ni chair à patron, ni chair à matraque”, né carne da padrone, né carne da manganello).

Va da sé che questa piazza e questa lotta impattano con lo stato di emergenza decretato dopo gli attentati di novembre e tuttora in vigore (del quale la piazza ha reclamato la fine), con la legge sulla perdita della nazionalità per i “terroristi” (già naufragata nelle contraddizioni e ritirata dal governo). Dietro queste derivazioni secondarie, la piazza francese che irrompe deve farsi spazio in una scena politica occupata dal macigno delle guerre imperialiste scatenate dalla Francia e dall’Occidente nei paesi dell’Islam – con relativa semina di distruzione e lutti – e i cui ulteriori capitoli occupano sempre i primissimi punti dell’agenda delle cancellerie occidentali, e dalla risposta del radicalismo islamico che lancia attacchi suicidi nelle città francesi e in Belgio così avvicinando quelle guerre “lontane” alla percezione di un’opinione pubblica occidentale piuttosto distratta sui lutti altrui. La lotta contro la Loi Travail non può non fare i conti con questi e altri scottanti temi che investono e potenzialmente lacerano le società occidentali: con il disastro di un’immigrazione biblica dai paesi devastati dalla guerra verso l’Europa, con la dirompente polarizzazione che lo scontro aperto dai governi occidentali in Iraq, Somalia, Afghanistan, Libia, Siria, Mali, senza dimenticare la Palestina e altro ancora..., inevitabilmente induce nella estesa comunità di fede islamica presente in Francia da più di una generazione.

Se questo impatto è per noi dato, non ci sogniamo minimamente di dire che la piazza, che fino all’altroieri agitava i cartelli “je suis Charlie”, abbia adesso le idee chiare su tutti i punti. Jamila Mascat sul manifesto del 22 aprile scrive che “quella contro i diritti del lavoro, del resto, è solo una delle tante guerre che la Francia di Hollande sta portando avanti: insieme alle missioni militari in Mali e Repubblica Centroafricana, ai bombardamenti in Siria e in Libia, alla guerra contro i ’nemici interni’ o presunti tali...”. La massa che ora si mobilita è costretta a misurare la guerra interna che padroni e governo scatenano contro una parte della società: da questo nuovo punto di osservazione quella massa in lotta potrebbe iniziare a considerare diversamente anche la guerra esterna condotta dal proprio governo contro il mondo arabo-islamico, presentata e giustificata da sempre come necessaria e inevitabile risposta ai “terroristi”. La lotta, insomma, oltre a cementare sul campo la distinta unità della parte sfruttata della società francese, potrebbe incubare la scintilla della coscienza collettiva che ricolleghi nella comprensione e nella denuncia uno ad uno tutti i nodi e l’intera catena di effetti negativi e veri e propri disastri – interni ed esterni – causati dal sistema capitalistico e dalla “legge suprema” del profitto.

Certo quella dell’Isis è una risposta all’aggressione neo-coloniale e imperialista dell’Occidente che noi non ci sogniamo di accreditare. Una risposta che vuole sottrarre l’area medio-orientale al dominio e al saccheggio dell’Occidente per restituirla al suo naturale destinatario arabo (chi potrebbe obbiettare su questo?), ma che giammai manterrà la promessa di un nuovo Eden, promessa che ora gode di un certo credito presso quelle popolazioni, se il suo programma di oscurantismo medievale, inconsistente su tutti i punti, agita tra l’altro la divisione e la contrapposizione nello stesso mondo arabo e innanzitutto lo scontro fratricida tra islam sunnita e sciita (le carte usate da sempre dagli imperialisti e dai suoi manutengoli locali, i vari Israele, Al Sisi, Erdogan, Al Saud...). Ciò non toglie che i lavoratori e i giovani proletari occidentali che difendono il proprio presente e il proprio futuro contro le Loi Travail/Jobs Act dei propri governi sono chiamati a gridare chiaro e forte il rifiuto di arruolarsi nelle crociate che quegli stessi governi continuamente apprestano. Quando in Occidente potrà demarcarsi una forza riconoscibilmente dispiegata su queste posizioni, che tenda la mano offrendo una credibile alleanza ai proletari e agli sfruttati islamici (a cominciare da quelli cui Hollande toglierebbe la cittadinanza francese), solo allora sarà in campo il presupposto cardine per una vera risposta antimperialista di classe degli sfruttati di quei paesi cui unire le nostre forze e da riconoscere come il nostro stesso campo e la nostra stessa lotta.

Questi e altri sono i macigni e i compiti immensi che la ripresa della lotta di classe in Francia, in Europa e nell’Occidente si trovano di fronte.

In Italia si preferisce non scrivere delle oceaniche giornate di lotta francesi: il 9 marzo 500.000 manifestanti in tutta la Francia, giovani e giovanissimi studenti in 150 cortei insieme ai ferrovieri in sciopero contro l’attuazione dello “statuto dell’impresa ferroviaria”; il 17 marzo le piazze ancora stracolme di studenti; il 31 marzo più di 260 cortei e scioperi che hanno paralizzato i trasporti, le amministrazioni, la scuola, con gli striscioni di fabbriche del settore privato presenti nei cortei. Iniziative quotidiane dei giovani che si mobilitano per reclamare in corteo la liberazione degli arrestati, i portuali della Cgt che votano una mozione che promette “il blocco del porto se la polizia toccherà uno studente”, i lavoratori che partecipano alle assemblee di piazza degli studenti, gli studenti che partecipano alle discussioni nei posti di lavoro. “Convergenza delle lotte” è la parola d’ordine decisiva per unire tutte le forze della società minacciate dalla Loi Travail e dal corso generale del capitalismo e poter respingere questo attacco così come nel 1995 fu respinta la legge che voleva istituire il cosiddetto CPE (contratto di primo impiego). La “convergenza” si materializza all’improvviso nelle piazze di Francia e ora si tratta di dargli gambe minimamente stabili e di far sì che non resti soltanto una fiammata. Frederic Lordon sul manifesto del 12/04/16 preconizza la “convergenza” tra i “militanti delle città, di livello scolastico elevato e spesso intellettuali precari” e “i lavoratori sindacalizzati”, due mondi in genere separati e ignari gli uni degli altri. “Ancor più decisiva” sarebbe – prosegue Lordon – la convergenza ulteriore con la “gioventù segregata delle periferie”. Aggiungiamo che un vero decisivo punto di svolta, che non ci attendiamo per dopodomani, sarebbe quello che vedesse conquistati a una lotta che sappia meritarsi riconoscimento e rispetto da tutti anche e soprattutto la componente di provenienza e fede islamica di quella “gioventù segregata delle periferie” francesi. Allora sì che avremmo, insieme a una marea sociale mobilitata senza vuoti od eccezioni contro il governo dei padroni, i protagonisti e le condizioni per un avvicinamento e perché si possa – ai passi successivi – iniziare a ragionare di una prospettiva diversa da quella catastrofica iscritta nei disegni di quanti fomentano lo scontro tra un indistinto Occidente neo-coloniale e imperialista e la visione di una riscossa – interclassista, parziale e pur sempre divisiva al suo stesso interno – del mondo arabo-islamico sotto le insegne religiose dell’Islam (sunnita).

Confidiamo che i prossimi vicini appuntamenti del movimento francese possano travolgere gli ostacoli che si oppongono all’estensione della mobilitazione, alla chiarificazione e radicalizzazione dei programmi, alla continuità del protagonismo politico della massa che ha deciso di alzarsi in piedi e restare sveglia, all’eco, all’attenzione e all’ascolto da parte delle classi sfruttate ovunque presenti e alle prese in altri paesi con la medesima sostanza dei problemi. A quel punto i sordi e i ciechi non potranno far finta di non aver visto né sentito. Che il governo Renzi e il suo onnipresente apparato di reggicoda non abbia nulla da dire in proposito lo si può comprendere: la Loi Travail (che cancella definitivamente le 35 ore, introduce le deroghe al contratto nazionale, liberalizza i licenziamenti, riduce l’indennità di disoccupazione...) è la fotocopia del Jobs Act e la risposta di lotta della gioventù francese contro la precarizzazione del lavoro e soprattutto la sua fortissima convergenza di lotta con i lavoratori tradizionali è la più sonora delle smentite di tutta la fuffa propagandistica spesa da Renzie a sostegno della sua “riforma”. Ancora poi si può comprendere che la Cgil volti lo sguardo dall’altra parte: dopo non aver fatto nulla contro il Jobs Act, la Cgil sarebbe ora impegnata in una raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge sulla cosiddetta “carta universale dei diritti”. Come ognun vede si tratta di una iniziativa di nessuna consistenza, presentata dal vertice e imposta a un quadro intermedio dubbioso e incredulo con l’enfasi di chissà quale avvio di pretesa inesistente mobilitazione, e ora platealmente ridicolizzata dalla risposta di lotta in Francia. Meno comprensibile è la disattenzione che registriamo nella “sinistra”. Diamo atto che sul manifesto abbiamo potuto attingere le uniche cronache delle giornate francesi, ma abbiamo l’impressione – e la diciamo come ci viene – di un capitolo, quello francese, che viene percepito e trattato come separato, a parte, a sé stante, oltre che obbiettivamente circoscritto nella sua portata effettiva (il che non vuol dire che escludiamo in assoluto il riflusso della mobilitazione, che certo non auspichiamo). L’impressione è che questo movimento venga a scompaginare i piani di una certa “sinistra” alla manifesto (incontrando peraltro anche il contingente torpore di molti che si collocano “più a sinistra”) tutta centrata sulle prossime elezioni amministrative, sugli eterni laboratori per nuove “sinistre” che possano finalmente risultare vincenti nelle urne, sulla “prova del fuoco” del referendum costituzionale di autunno, sulla gragnuolata di ulteriori inutili referendum che si peritano di proporre in tanti, quanti sono i soggetti e le organizzazioni che dovrebbero organizzare la lotta e invece ci propinano l’inconsistente e pericoloso succedaneo di altri voti abrogativi (valga per la Cgil e i suoi referendum su questo e quell’altro punto del Jobs Act).

Noi confidiamo che la lotta, ora in campo in Francia, possa vincere questi ostacoli e inerzie, che si possa tornare a conoscerne collettivamente più a fondo e a ragionare dei suoi sviluppi ulteriori, dei suoi punti di forza e dei suoi limiti, una volta abbattuta, è compito nostro!, la coltre di silenzio che ora la circonda e la isola, cominciando a riceverne intanto il beneficio dell’indicazione forte di un asse da riassestare anche in Italia sullo zenith della lotta, abbandonando alle ortiche quello che tutto al contrario fa centro sulle reiterate rituali conte di schede, elettorali o referendarie. Quel che accade in Francia ci dice che la ripresa di classe, con tutte le difficoltà del caso e i suoi immancabili limiti, è possibile. Ci dice inoltre che la ripresa non passa per le urne, mentre la malattia dell’elettoralismo, anche in versione referendaria, rende sordi e ciechi all’unica e sola linfa vitalizzante, che è quella della ripresa della lotta.

28 aprile 2016

Nucleo Comunista Internazionalista

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