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Sasà Bentivegna, Partigiano

Sasà Bentivegna, Partigiano

(3 Aprile 2012) Enzo Apicella
E' morto ieri a Roma Rosario Bentivegna, che nel 1944 prese parte all’azione di via Rasella contro il Battaglione delle SS Bozen.

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OTTANT'ANNI FA LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA

(20 Maggio 2016)

no pasaran

Nell’estate del 1936, esattamente ottant’anni fa, si accendeva la miccia della guerra civile spagnola: primo scontro in campo aperto nella storia europea fra fascismo e antifascismo.
Un fatto dai risvolti fondamentali rispetto agli anni immediatamente seguiti: quelli dell’assalto nazi-fascista alla pace e alla democrazia, nel folle intento di assoggettare al proprio dominio interi popoli, usando anche l’arma dello sterminio di massa.
Una storia quella della guerra civile spagnola che merita di essere ricordata con ampiezza di riferimenti storici.
La guerra civile durò dal 1936 al 1939 e si concluse con la vittoria della versione spagnola del fascismo.
In quegli anni l’Italia si accostò definitivamente alla Germania.
Il comportamento ancora una volta di cedimento da parte della Gran Bretagna, in primo luogo (largamente determinato dal timore del prevalere del cosiddetto “pericolo rosso”) e della Francia, contribuì a far pensare all’Italia e alla Germania come si presentassero tutte le condizioni per proseguire nella loro linea di aggressione: si era appena conclusa l’avventura d’Etiopia e la Germania aveva compiuto il colpo di mano della rimilitarizzazione della Renania.
In Spagna, nel 1923, il generale Primo de Rivera aveva stabilito la propria dittatura, in nome del re Alfonso XIII, ma fu costretto, nel 1930, a lasciare il potere a cause della forte opposizione sul tema della riforma agraria.
Le elezioni amministrative del 1931, risoltesi in una clamorosa vittoria per i partiti repubblicani, indussero il re ad abbandonare la Spagna e fu proclamata la Repubblica.
La gravità del problema economico e sociale legato alla terra dominava la Spagna.
Nel 1931 circa 2 milioni di braccianti erano senza terra: 50 mila fra grandi e medi proprietari possedevano circa la metà del suolo spagnolo.
I maggiori proprietari aristocratici, in numero di 99, possedevano da soli 577.000 ettari.
Circa un milione e mezzo di piccoli proprietari poveri avevano in media un ettaro di terra e per vivere si offrivano come braccianti ai grandi proprietari.
In generale l’agricoltura spagnola era contraddistinta da un’accentuata arretratezza tecnica.
Strettamente legata all’aristocrazia fondiaria era la Chiesa, intestataria nel 1931 di ben 11mila proprietà terriere, con vasti interessi nel mondo della finanza e dell’industria (erano sotto controllo banche, miniere, ferrovie).
L’istruzione era fondamentalmente appannaggio del clero.
Tutela tradizionale del sistema sociale era l’esercito, un esercito debole in assoluto, ma assai ben preparato ad agire come strumento di repressione interna.
Il nucleo centrale e più solido era costituito dal “Tercio” della Legione straniera e dalle truppe marocchine.
La borghesia industriale aveva i suoi centri maggiori in Catalogna e in Biscaglia e risultava strettamente connessa con l’aristocrazia fondiaria.
La crisi del ’29 produsse però una contraddizione tra gli interessi degli agrari e quelli della borghesia industriale.
Le elezioni politiche del 1931 diedero una forte maggioranza ai partiti repubblicani e nel periodo 1931-1933 la Spagna fu retta da un governo repubblicano – socialista presieduto da Manuel Azana: un governo sostanzialmente borghese, dal programma riformista limitato nel tentativo di laicizzare lo Stato e di decretare l’autonomia della Catalogna.
Nell’agosto 1932 il generale Josè Sanjurjo tentò un colpo di stato militare che fallì.
Le elezioni del 1933, affrontate dai partiti repubblicani tra divisioni e incertezze, registrarono il ritorno della destra al potere.
Un governo contrassegnato da un rigido centralismo opprimente le minoranze basche e galiziane (a dimostrazione di come il problema regionale sia risultato sempre ricorrente e centrale nella storia spagnola).
Seguirono rivolte a catena promosse soprattutto dagli anarchici: la più tragica fu quella dei minatori delle Asturie (5-17 ottobre 1934) stroncata dalle truppe della Legione straniera che causarono 3.000 morti e 7.000 feriti.
Nell’ottobre 1933 il figlio di Primo de Rivera, Josè Antonio, aveva fondato la Falange, un partito di stampo fascista mentre nello stesso anno Maria Gil Robles aveva fondato la CEDA (Confederazione Spagnola delle destre autonome) e fu lui che assunse alle Cortes, il ruolo di capo della destra.
L’obiettivo della destra era di tipo monarchico – reazionario mirante a instaurare un ordine corporativo clerico - autoritario sul modello dell’Austria di Dolfuss.
Questa era la situazione quando le elezioni del 16 febbraio 1936 capovolsero i rapporti di forza parlamentari.
Un Fronte Popolare, composto da repubblicani borghesi, socialisti, comunisti, POUM (partito sorto nel 1935 sulla base della fusione di gruppi comunisti antistalinisti) anarchici (che questa volta si recarono alle urne) conquistò la maggioranza con 4.700.000 voti di fronte ai 3.997.000 del Fronte Nazionale delle destre e 449.000 del Centro.
Il programma elettorale del Fronte Popolare prevedeva l’amnistia politica, provvidenze per i contadini, opere pubbliche per favorire l’incremento della produzione agricola, misure per il rinnovamento industriale, controllo sull’attività delle banche, allargamento della legislazione sociale, potenziamento dell’istruzione.
Si trattava dunque di un programma di riformismo democratico borghese definito come ispirato a un regime di libertà democratiche animato da ragioni d’interesse pubblico e di progresso sociale.
Le destre (proprietari, la maggior parte degli ufficiali, fascisti, conservatori delle varie correnti) non accettarono la realtà del responso elettorale e nelle loro fila maturarono subito piani per un colpo di stato.
Per contro l’unità, all’interno dei partiti del Fronte Popolare, era assai scarsa.
I primi mesi di governo del Fronte furono segnati dall’irrompere della collera incontrollata delle masse contro i loro dominatori sociali.
Si ebbero occupazioni di terre nelle campagne e di fabbriche nelle città.
Un’ondata di scioperi attraversò il Paese.
I falangisti, organizzati in squadre armate, scatenarono azioni terroristiche a catena: intanto gruppi di alti ufficiali dell’esercito, monarchici e di tendenze fasciste, preparavano, in contatto con l’Italia e la Germania, una reazione militare.
Il 13 luglio 1936 Calvo Sotelo, l’uomo più in vista della destra alle Cortes, fu assassinato dai socialisti per vendicare un loro compagno ucciso dai falangisti.
Fra il 17 e il 19 luglio, nel Marocco spagnolo e in varie zone del territorio metropolitano truppe regolari, al comando di generali legati alla destra insorsero.
Il 29 settembre 1936 il generale Franco fu proclamato “generalissimo” e la sede del governo ribelle fu posta a Burgos.
Era la guerra civile.
Il 1 agosto 1936 Leon Blum, capo del governo francese di Fronte Popolare, propose alle altre potenze europee un “non intervento” nelle vicende spagnole: aderirono la Gran Bretagna, la Germania e l’Italia.
Ma fascisti e nazisti violarono subito l’accordo e fecero pervenire massicci aiuti a Franco: dall’Italia, sotto l’etichetta di volontari (in realtà formazioni regolari) arrivarono in Spagna circa 50.000 uomini, quasi 800 aerei, 2.000 cannoni, 8.000 automezzi, 90 unità della marina.
La Germania inviò circa 10.000 uomini e soprattutto materiali: aerei, carri armati, artiglieria.
L’unica potenza che diede consistenti aiuti alla repubblica spagnola fu l’URSS, che agì sotto la copertura dell’Internazionale comunista: un aiuto rilevante ma nettamente inferiore a quello prestato da fascisti e nazisti ai franchisti.
L’altro Paese che, accanto all’URSS, diede un certo aiuto alla repubblica fu il Messico.
La guerra civile spagnola assunse subito un carattere ideologico sociale generale.
Accanto ai franchisti vi erano i conservatori di tutto il mondo e la Chiesa Cattolica (in Italia il legame fra fascismo e Chiesa si rinsaldò proprio in quell’occasione).
La Chiesa denunciò i repubblicani come “comunisti atei”.
Accanto ai repubblicani vi erano gli antifascisti, dai democratici borghesi ai socialisti, ai comunisti.
A sostegno della Repubblica e con l’aiuto finanziario e organizzativo dell’Internazionale comunista si formarono le Brigate Internazionali composte da donne e uomini di diverso orientamento politico, ma con un nucleo centrale di comunisti.
Tutti costoro erano uniti dal significato internazionale della guerra spagnola per i futuri sviluppi della lotta al fascismo nel mondo.
I volontari stranieri che si schierarono per la Repubblica, furono nell’insieme poco più di 40.000.
La Repubblica si trovò ben presto in un’irrimediabile debolezza militare.
A questo dato oggettivo si aggiunsero le divisioni interne di carattere politico e sociale, che stavano già alla radice della nascita stessa del Fronte Popolare.
Nelle zone sotto controllo degli anarchici e del POUM (Aragona e Catalogna), in aggiunta ai successi militari, ci fu una vasta Rivoluzione sociale Dalla metà di luglio alla fine di agosto 1936 i lavoratori e i contadini collettivizzarono i trasporti urbani e ferroviari, le industrie metallurgiche e tessili, il rifornimento d'acqua e alcuni settori del grande e piccolo commercio. Circa 20.000 imprese industriali e commerciali furono così espropriate e gestite direttamente dai collettivi dei lavoratori e dai loro sindacati con validi risultati dal punto di vista produttivo, dovuto in gran parte a nuovo atteggiamento partecipativo e solidale dei lavoratori rispetto al prodotto del proprio lavoro. Un Consiglio dell'Economia venne costituito per coordinare l'attività dei diversi settori della produzione. Nel settore agricolo la collettivizzazione fu più radicale con misure quali l'abolizione della moneta, la collettivizzazione dei beni e dei mezzi di produzione, la modifica dei limiti comunali, la creazione di organizzazioni di mutua assistenza fra collettività ricche e povere, la parificazione delle remunerazioni, la creazione di salari familiari e la messa in comune degli attrezzi e dei raccolti.
La necessità di accelerare e completare la rivoluzione rivendicata da parte della sinistra libertaria e poumista, venne avversata dai comunisti, appoggiati dall'Unione Sovietica, e dai repubblicani democratici; i primi perché contrari all'opportunità di affrontare una rischiosa rivoluzione sociale, nella quale non avrebbero potuto assumere una posizione egemone, i secondi perché spaventati dallo sconvolgimento economico che ne sarebbe derivato. I rivoluzionari ribattevano che solo la mobilitazione rivoluzionaria delle classi subalterne avrebbe fornito lo slancio necessario in termini anche di alto morale alla popolazione per sconfiggere il fascismo. Con il progredire della guerra, il governo e i comunisti furono in grado di fare leva sul loro accesso alle armi sovietiche per ripristinare il controllo politico, sia con la diplomazia sia con la forza. Nelle giornate di maggio del 1937, i contrasti all'interno del campo antifascista esplosero in conflitto aperto quando i comunisti staliniani cercano di conquistare militarmente il controllo degli edifici pubblici di Barcellona, difesi dagli anarchici. Già precedentemente il Partito Comunista, per sconfiggere Franco, aveva sostenuto l'opportunità di un blocco sociale il più esteso possibile rinviando quindi ogni prospettiva rivoluzionaria alla fine della guerra e questo elemento rappresentò un punto di divisione di forte indebolimento per la difesa repubblicana.
Nel Maggio del 1937, la tensione che si era creata a Barcellona tra il governo autonomo catalano (controllato dai comunisti) da un lato e gli anarchici e il POUM dall'altro, sfociò in uno scontro aperto che durò quattro giorni, lasciando sul terreno numerosi morti e feriti.
La Repubblica resistette, comunque, in maniera molto forte nonostante la disparità di forze e le divisioni interne.
Fra novembre e dicembre 1936 si svolse la battaglia di Madrid che si risolse in un’epica resistenza da parte delle forze repubblicane all’insegna del motto lanciato dalla “pasionaria” Dolores Ibarruri “no pasaran”.
Durante quella battaglia perse la vita uno più prestigiosi capi anarchici, Buenaventura Durruti.
Madrid, salvata dall’occupazione fascista, avrebbe dovuto sostenere un assedio durato ben 28 mesi.
L’ultimo grande azione offensiva della repubblica fu la battaglia dell’Ebro, sostenuta dal celebre Quinto Reggimento comandato da Modesto, Lister e Vittorio Vidali: dopo grandi successi iniziali i fascisti riconquistare le posizioni perdute.
La guerra era ormai decisa.
Barcellona cadde il 26 gennaio 1939.
Grandi masse di militari e civili che avevano difeso la Repubblica si rifugiarono in Francia.
Il 27 febbraio Francia e Gran Bretagna riconobbero il regime franchista.
Il 5 Marzo, con l’esclusione dei comunisti, venne formata a Madrid una giunta di difesa che in realtà si preparava alla capitolazione.
Il 28 Marzo i franchisti entrarono nella capitale senza incontrare Resistenza.
La guerra civile, durata due anni e 254 giorni, e costata un milione di vite umane, era finita con il trionfo del fascismo franchista.
Il significato storico e internazionale della guerra civile spagnola era stato immenso.
Per la prima volta i fascisti per trionfare in un Paese avevano dovuto sostenere una guerra durissima.
Si era imposta la volontà di restaurare una disumana oppressione sociale e politica.
In Spagna si era avuto il preludio di un grande conflitto tra antifascismo e fascismo: il preludio di quella che poi sarebbe stata la vittoriosa Resistenza Europea.

Franco Astengo

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