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Turchia: agli appelli kurdi Erdogan fa orecchie da mercante

(27 Luglio 2016)

L’Hdp torna a chiedere il rilancio del processo di pace, ma le chiusure del presidente sono già una chiara risposta. Ankara vuole mantenere acceso il conflitto per dominare meglio il paese

selahattin demirtas

Selahattin Demirtas

Rilanciare il processo di pace: è l’appello del co-segretario del Partito Democratico dei Popoli, Hdp, Selahattin Demirtas. A quasi due settimane dal tentato golpe e in piena campagna epurativa di massa, la sinistra pro-kurda chiede al governo turco di sfruttare gli eventi caotici di questo periodo per dare una svolta positiva alle relazioni con il Pkk.

“Torniamo a ripetere il nostro appello al Pkk e al governo – ha detto ieri durante un incontro con i parlamentari Hdp – La Turchia non è più la stessa. Anche se il governo non si sta muovendo verso la democrazia, la società vuole pace e democrazia.
Questa opportunità non va sprecata. Come politici dobbiamo mostrare maturità nel risolvere i nostri problemi al tavolo della pace”.

La chiamata al negoziato di Demirtas non è nuova: da mesi l’Hdp, che alle elezioni del 7 luglio ottenne uno straordinario 13% per poi finire vittima degli attacchi di Ankara, chiede di riaprire il dialogo interrotto unilateralmente dal presidente Erdogan ad aprile dello scorso anno. In mezzo, una devastazione drammatica del sud est del paese: migliaia di civili kurdi uccisi, quasi 300mila sfollati, coprifuoco lunghi mesi durante i quali la vita nelle città kurde si è interrotta e interi quartieri sono stati distrutti dal fuoco dell’esercito turco.

Una campagna anti-kurda pesantissima che si è allargata al nord dell’Iraq, dove i combattenti del Pkk si erano ritirati nel 2013 (quando il leader Erdogan decise per la soluzione pacifica del conflitto con il governo centrale), e al nord della Siria, dove le Ypg kurdo-siriane hanno concretizzato la teoria del confederalismo democratico del Partito Kurdo dei Lavoratori.

Ma la pace non sembra dietro l’angolo. L’Akp, il partito di governo del presidente Erdogan, non intende aprire alcuno spiraglio. Forte di una base di consenso fondata su sentimenti ultranazionalisti ulteriormente accesi dal tentato golpe, Erdogan fa della guerra ai kurdi lo strumento per tenere a bada l’esercito (tradizionalmente immerso in sentimenti anti-Pkk) e per compattare una società tenuta insieme solo dalla paura. E la guerra, in tale contesto, è la migliore medicina ad una malattia artificiale. Già prima della notte del golpe il parlamento aveva passato una legge che garantiva piena immunità ai soldati impegnati in azioni di anti-terrorismo, categoria in cui per Ankara rientra appieno la guerra a sud est.

Non è un caso che, nel primo meeting avuto con le opposizioni dopo il 15 luglio, l’Akp abbia incontrato i leader repubblicano e nazionalista ma non l’Hdp. All’incontro Demirtas non è stato invitato, nonostante le dichiarazioni del premier Yildirim che da giorni parla di riconciliazione nazionale e della necessità di procedere con le riforme insieme alle opposizioni. Demirtas ha definito l’esclusione “senza senso” e parlato di discriminazione politica, vista anche l’immediata presa di posizione anti-golpe dell’Hdp.

Intanto resta tesa la situazione a Imrali, l’isola-prigione in cui da quasi vent’anni Ocalan è prigioniero. Da settimane i suoi avvocati e le delegazioni parlamentari dell’Hdp chiedono di incontrare il leader del Pkk, in isolamento dal primo giorno di carcere e ora impossibilitato da mesi a vedere avvocati e familiari.

Nena News

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