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La Gran Bretagna se ne va

(1 Agosto 2016)

Warren Buffett

Warren Buffett

di Daniela Trollio(*)

Dopo l’esito del Brexit, la maggior parte degli analisti a livello internazionale si sono chiesti quali saranno le conseguenze sui mercati, sulle monete, sulle economie. Ma a noi pare molto più importante capire cosa significa in termini politici la decisione dell’elettorato britannico.
Un dato fondamentale del referendum è la sua polarizzazione “di classe”.
Capita poche volte di poter definire così chiaramente un fatto: eppure in questo caso chi ha votato maggioritariamente per l’uscita da quel mostro in cui si è trasformata l’Unione Europea – che era nata, almeno a parole, come un progetto sociale e politico progressista - è stato il proletariato delle metropoli inglesi, quello delle zone più povere del paese, i lavoratori impoveriti dai tagli sociali, dalla scomparsa dei diritti del lavoro. Se nella Londra capitale, quella della “l’intellettualità” delle università, del mondo finanziario e industriale dove si gridava al disastro nel caso di un’uscita, ha vinto il SI, nelle zone operaie di East Midlands, nel North West, nel South West, nello Yorkshire, nell’Humber e in Galles ha vinto il NO. La località dove più ha trionfato il Brexit è stata il West Midlands, zona tradizionalmente laburista, dove l’UKIP (il partito nazionalista e razzista) non ha rappresentanza e dove non esiste un’immigrazione significativa.

Con l’uscita della Gran Bretagna la UE perde la terza economia e il secondo paese per popolazione, il che indebolisce la struttura sovranazionale disegnata da Bruxelles, che è divenuta la longa manus degli Stati Uniti in Europa. Non a caso chi ha mostrato più preoccupazione è stata Angela Merkel, colei che più ha spinto il corso autodistruttivo dell’Unione negli ultimi anni, trasformando l’accordo pan-europeo in un’appendice della grande banca, soprattutto tedesca, ha rafforzato la burocrazia conservatrice della Commissione Europea ed ha fatto della BCE (Banca Centrale Europea) il cane da guardia dell’ortodossia finanziaria imposta a tutti gli stati membri.
Curiosamente – ma non troppo - quanto sopra è avvenuto mentre il neoliberismo batteva in ritirata dalla sua patria di adozione, l’America Latina, lasciandosi dietro enormi rovine. Il governo tedesco gli apriva invece l’Europa, mettendo insieme Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e BCE, quella “troika” che in poco tempo sarebbe diventata il vero governo dell’Europa, buttando a mare qualsiasi contenuto “democratico” tanto sbandierato.
La Grecia, patria della democrazia, è qui a ricordarci la furia distruttiva della troika, capace di fare a pezzi un paese sovrano perché il capitale possa continuare incontrastato a fare i suoi interessi.
E’ ingenuo pensare che i cittadini britannici se ne siano ricordati al momento di votare?
E’ quindi cresciuto il coro di voci che affermano che la globalizzazione non ha mantenuto le sue tanto sbandierate promesse, progresso e ricchezza per tutti, portando invece una terribile disuguaglianza sociale, con l’1% che lascia il restante (!!) 99% nella miseria più totale. Così gli inglesi che non arrivano alla fine del mese si sono resi conto che ad appoggiare la permanenza nell’Unione erano i 1.000 banchieri e i 1.500 dirigenti d’azienda che guadagnano un milione di sterline l’anno e ne hanno tratto le conseguenze.

Questa Europa delle classi dominanti, del capitale finanziario e industriale, è quella che ha ricevuto un grosso colpo e non possiamo certo lamentarcene. E’ l’Europa che ha accompagnato Washington in tutte le sue guerre e in tutti i suoi crimini sullo scenario internazionale e che ora raccoglie i suoi amari frutti. Era ovvio che le distruzioni causate in Iraq, in Libia, in Siria avrebbero provocato una marea di rifugiati, che non avrebbero avuto altra via d’uscita che dirigersi in Europa. Washington poteva allegramente sbattersene, perché è protetta da due oceani che la rendono una meta irraggiungibile per coloro che fuggono dai bombardamenti, dai missili, dagli eserciti, ma l’Europa invece è qui, vicina ai territori distrutti dalla furia imperialistica.

Qui c’è un altro punto su cui ragionare: in molti hanno sottolineato il razzismo, la paura dell’invasione dei profughi, come dato fondamentale del risultato del Brexit. Può essere, ma non sono state le destre tradizionalmente razziste e xenofobe a coltivarli in questi anni.
Bisogna ricordare che negli anni del governo di Margaret Thatcher venne applicata una politica di favore dell’immigrazione, soprattutto dalle ex colonie, in particolare dall’India. Era necessario spezzare la forza dei lavoratori inglesi sindacalizzati e organizzati per portare a compimento le privatizzazioni (le miniere, i trasporti e i servizi pubblici, ecc.) e serviva una grande massa di lavoratori non sindacalizzati per farlo. Anche la Germania, ben prima, aveva seguito la stessa strada, favorendo l’entrata di lavoratori soprattutto turchi e italiani.
Sono stati i governi “democratici” a sdoganare la guerra, definendola “umanitaria” come quella della Yugoslavia, seguiti immediatamente, almeno in Italia, dalle organizzazioni come la CGIL di Cofferati che la chiamò, a nostra eterna vergogna, “contingente necessità”. Seguiti anche da certa “sinistra” extra parlamentare che ha per anni starnazzato sui “dittatori”, Saddam Hussein, Gheddafi e più recentemente Assad e che non mi risulta abbia avuto un grammo di coraggio per dire “ci siamo sbagliati” neppure quando i diretti responsabili, come Colin Powell, o il vice di Blair pochi giorni fa, sono stati costretti a dire che le balle rifilate nelle assise internazionali per giustificare le guerre di rapina erano – appunto – solenni balle. Così non possiamo dare la colpa alle destre, ma dobbiamo riconoscere che non siamo stati capaci, o non ne abbiamo avuto il coraggio, di denunciare che il capitale, che non è razzista e non guarda al colore della pelle di coloro che sfrutta, è il responsabile di tutto questo.
Non abbiamo saputo – o voluto - spiegare che le classi dominanti, in qualsiasi paese, non hanno bisogno di lottare contro nessuno per sopravvivere, che si limitano ad attizzare le divisioni per uscirne sempre vincitrici.
E che è la politica dei governi europei e britannico, in questo caso, che danno spazio, favoriscono e proteggono l’estrema destra. Se è possibile che il governo austriaco stenda un tappeto al FPO, che è stato sul punto di vincere le elezioni, quando agita il fantasma degli immigrati (90.000) in un paese di 8,5 milioni di abitanti, se nessuno alza una voce davanti alle cariche poliziesche sulle famiglie gasate ad Idomeni, sui morti del Mediterraneo, sul denaro e sulla carta bianca dati a stati (notoriamente “democratici”) come Turchia e Marocco per fermare i profughi, perché ci si dovrebbe scandalizzare davanti alle proposte della destra?

La classe operaia – in quasi tutti i paesi europei - è ormai orfana non solo di una sua organizzazione di classe, del suo partito, ma anche di sindacati rappresentativi, che non difendono più nemmeno i loro tradizionali “rappresentati”, i lavoratori fissi dell’industria (quella rimasta) e della pubblica amministrazione. Il resto è un luogo di precarietà assoluta, dove si entra e si esce dal mercato del lavoro in modo selvaggio. La socialdemocrazia non è altro, ormai da decenni, che una cinghia di trasmissione del neoliberismo che serve gli interessi più marci del capitalismo nazionale ed internazionale e che serve a frenare qualsiasi lotta. Stupisce quindi che crescano i rigurgiti razzisti e xenofobi, in questo immenso vuoto della “sinistra”?
Come ha detto il multimilionario Warren Buffet (verrebbe da dire molto più ‘marxista’ di tanti marxisti) “stiamo assistendo ad una lotta di classe e noi ricchi la stiamo vincendo”. Sarebbe ora che lo dicessimo noi, che ci definiamo “rivoluzionari” o marxisti.

Torniamo alla Gran Bretagna con qualche dato. Là oggi il 63% dei bambini poveri crescono in famiglie dove lavora solo un membro Più di 600.000 persone che risiedono nella seconda città del paese, secondo uno studio recente, “soffrono gli effetti della povertà estrema” e 1,6 milioni stanno scivolando nella miseria. Così il ricorso alle minacce non ha funzionato e il popolo britannico ha detto Brexit. Ridurre quindi il voto della maggioranza operaia e popolare alla paura e all’odio verso gli immigranti è chiudere gli occhi davanti alla realtà del brutale deterioramento delle condizioni di vita che decenni di politiche di austerità, di sfruttamento selvaggio e di distruzione delle conquiste operaie hanno portato.

Per concludere, secondo noi, si può dire che questo, dopo quello greco pur abortito per il momento, è il secondo No all’Europa del capitale. L’indebolimento dell’Unione Europea toglie anche forze all’imperialismo nordamericano, visto che la UE è stata la sua alleata storica fondamentale. E’ vero che Londra resta nella NATO, come si è affrettato a precisare Jens Stolterberg, il suo segretario generale, cosa che in tempi tanto minacciosi come questo è ciò che in realtà importa alla borghesia imperialista. Ma il mondo cambia molto rapidamente e le certezze solide di un tempo stanno cominciando a volatilizzarsi.

(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto San Giovanni

Da “nuova unità”

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