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L'amavo troppo

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(22 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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Basta violenza contro le donne!

(25 Novembre 2016)

donne in lotta

Il 25 novembre si celebra la Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999. Questa giornata, purtroppo, è diventata soltanto la triste occasione per un bilancio, ogni anno sempre più cruento. Quello della violenza sulle donne resta un problema molto serio in questa società capitalista: superando ogni confine, non c’è luogo al mondo dove la violenza sulle donne sia stata eliminata, non c’è luogo al mondo che possa dirsi sicuro per le donne.


I molteplici volti della violenza sulle donne
La prima causa di uccisione nel mondo delle donne è l’omicidio da parte di persone conosciute. Donne che sono state uccise “in quanto donne” perché la loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna obbediente, brava madre e brava moglie; donne che si sono prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante e, per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte. Il fenomeno è talmente ampio da aver generato la necessità di un neologismo per indicarlo: femminicidio.
Gli stupri, i tentati stupri, le aggressioni sessuali e i maltrattamenti domestici non diminuiscono affatto, ed anzi la gravità della violenza aumenta: il 70% delle donne, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, almeno una volta nella vita è vittima di un episodio di violenza da parte di un uomo che spesso è il marito, il partner o un conoscente: questo vuol dire che un miliardo di donne e di ragazzine sarà picchiata o stuprata durante la propria esistenza. E poi ci sono le minori vittime di mutilazioni genitali e matrimoni forzati.
La violenza subita comporta un’esperienza traumatica con un impatto devastante sulla salute fisica e mentale di donne e bambine vittime di atti di violenza e con conseguenze che variano da fratture a gravidanze problematiche, dai disturbi mentali ai rapporti sociali compromessi.
Femminicidi e stupri costituiscono la parte più evidente del fenomeno chiamato “violenza di genere”, sono la parte più visibile e più appetibile per i media alla ricerca di scoop. Infatti ciò che le cifre e le statistiche non dicono, è che esiste un sommerso di violenze “ordinarie” su bambine, ragazze e donne di drammatiche proporzioni, nel quale rientrano anche forme più subdole, meno eclatanti, che annientano la soggettività della donna sul piano psicologico, economico e sociale, con conseguenze distruttive di vasta portata.
Nell’ambito produttivo, il capitalismo in crisi, nella logica del “profitto ad ogni costo”, spinge le donne ai margini, fino all’interno della casa, non avendo più bisogno di loro. Le donne sono oggi la metà della classe lavoratrice di tutto il mondo e sono sempre più inserite nella produzione sociale. Tuttavia, questa incorporazione nel mercato del lavoro si è sviluppata nel tempo con livelli di disuguaglianza salariale enormi, con impieghi peggio pagati, con peggiori condizioni lavorative e molte volte fuori dal mercato formale.
Tale disuguaglianza lavorativa storica si è approfondita in conseguenza della crisi economica mondiale. Il divario salariale tra uomini e donne è aumentato ed anche la proporzione di donne che lavorano a tempo parziale è di molto superiore rispetto agli uomini, a causa soprattutto del fatto che le donne sono impegnate anche nella cura di figli, anziani o persone malate, che spesso è impossibile per loro accettare offerte di lavoro a tempo pieno andando incontro a precarietà e flessibilità, che spesso sono le prime ad uscire dal mercato del lavoro soprattutto ora, in tempo di crisi, per lasciare posto agli uomini. Come conseguenza le pensioni che riscuotono le donne nella vecchiaia sono più basse di quelle degli uomini e dunque ci sono più donne che uomini che cadono nella povertà in età avanzata.
A ciò si associano i tagli alla spesa pubblica e la privatizzazione dei servizi che colpiscono più duramente le donne poiché riguardano i settori professionali (sanità, istruzione, servizi di cura e alla persona) in cui sono maggiormente occupate e la cui mancanza viene spesso sopperita in prima persona: le carenze nei servizi vengono infatti compensate da ogni donna individualmente, secondo un’idea, socialmente condivisa, di “sussidiarietà” con cui viene ratificata la clausura delle donne nella sfera privata della cura familiare e del lavoro domestico. Particolarmente grave in un contesto sociale in cui la vita è più difficile per le donne, in particolare per le madri, è l’attacco ai diritti e alle libertà individuali in tema di maternità, di sostegno alla gravidanza, di diritto all’aborto, di contraccezione, di educazione sessuale. Sono ben 225 milioni nel mondo le donne e le ragazze che vorrebbero pianificare una gravidanza ma non ci riescono perché non usano un metodo contraccettivo efficace. All’origine di questa situazione, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ci sarebbero difficoltà di accesso ai contraccettivi, scarsa qualità dei servizi preposti a orientare e seguire le donne e barriere di ordine culturale e politico. Ogni anno nel mondo 300mila donne muoiono per complicazioni legate alla gravidanza e al parto, pari a circa 830 al giorno. Ma si tratta solo di stime, perché, come segnala l’Oms, in realtà circa il 60% dei Paesi non è dotato di un adeguato sistema di conteggio e rilevazione di queste morti. Tali morti nella maggior parte dei casi si sarebbero potute evitare con cure di qualità e con l’intervento di medicina prenatale. Sono 26 milioni le donne e ragazze in età riproduttiva che nel mondo vivono in situazioni di emergenza e necessitano dei servizi sanitari.
La violenza maschilista è la molestia sessuale sul posto di lavoro o di studio. È la pubblicità e la propaganda che pone le donne come oggetti sessuali. È il traffico di esseri umani a scopi sessuali che riguarda per l'80 per cento le donne: ogni anno si calcola che circa 800mila persone vengano fatte espatriare per essere vendute a tale scopo.
La violenza maschilista è l'uso del corpo femminile come un trofeo di guerra, usato come simbolo del potere dei conquistatori e sottomissione dei popoli e delle nazioni vinte. Le agenzie delle Nazioni Unite calcolano che più di 60mila donne siano state stuprate durante la guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40mila in Liberia (1989-2003), fino a 60mila nella ex Yugoslavia (1992-1995), e almeno 200mila nella Repubblica Democratica del Congo durante gli ultimi 12 anni di guerra. E oggi in Siria, di cui non si parla, e nel Darfur.
La violenza maschilista è negare l'asilo alle famiglie e alle donne con i loro bambini che dopo viaggi estenuanti e pericolosi raggiungono i confini dei Paesi europei e sono ripagate con altra violenza e con la repressione da parte degli apparati di polizia, come si è visto attraverso le immagini che hanno fatto il giro del mondo. Secondo le stime dell’Oms, nei Paesi colpiti da conflitti o da crisi migratorie aumentano i casi di violenza sessuale e di violenza da parte del partner sulle donne. All’interno di questi contesti, pratiche tradizionali dannose per la salute come la mutilazione genitale femminile o i matrimoni forzati e minorili, possono essere ulteriormente esacerbate. Le condizioni stesse in cui donne e adolescenti si spostano le rendono particolarmente vulnerabili: molte viaggiano senza documenti, svolgono attività lavorative a basso salario, o non regolamentate, mancano di protezione, si trovano in condizioni di particolare dipendenza e spesso sono vittime di stupri, di violenza, di tratta.


Sconfiggere il maschilismo per sconfiggere il capitalismo
L’aumento della violenza contro le donne è un grave sintomo dell’espansione dell’ideologia maschilista, della convinzione che gli uomini sono più forti e più capaci rispetto alle donne e che, quindi, devono comandare il mondo. Quest’ideologia nefasta afferma che indipendentemente dal colore della pelle, dall’età, dalla nazionalità, dal grado di istruzione, dalla religione, le donne sono nate per essere casalinghe, avere dei figli e prendersi cura della famiglia, e che non sono adatte per la produzione sociale e politica; tratta le donne come "esseri inferiori", destinate ad essere schiave della casa, a guadagnare meno degli uomini e ad occupare i peggiori posti di lavoro, a farsi carico delle faccende domestiche e ad essere proprietà privata dei mariti e dei compagni, diventando la scusa perfetta per giustificare tutti i tipi di violenza domestica che porta anche all'omicidio delle donne da parte dei loro compagni. Quest’ideologia è veicolata socialmente attraverso la famiglia, la scuola, la religione, la cultura e le tradizioni.
L’Onu è perfettamente a conoscenza della situazione perché i dati che abbiamo utilizzato sopra, sono diffusi dalla sua agenzia per la salute (Oms), ma si limita a promuovere una giornata commemorativa per l’eliminazione della violenza contro le donne. Trattandosi di un’organizzazione al servizio dei governi capitalisti e dell’imperialismo mondiale, nel promuovere questa giornata, secondo un’abitudine già utilizzata per altri problemi come i diritti umani, i diritti dell’infanzia, il diritto alla maternità, ecc. cerca di “legittimare” il sistema capitalista, di dimostrare che c’è una soluzione all’oppressione e al maschilismo dentro al sistema, convogliando l’attenzione per un problema sempre più grande in un’unica giornata. Fumo negli occhi per le masse oppresse e sfruttate, un misero tentativo di ridurre la questione e di far ricadere sulle stesse vittime il peso della soluzione.
La radice della violenza contro le donne è da ricercare nel sistema capitalista putrefatto che utilizza l’ideologia maschilista per sfruttare, opprimere e discriminare in generale i più deboli della società, nello specifico le donne. Il capitalismo si nutre delle differenze naturali tra uomini e donne e la utilizza per dividere la classe lavoratrice e per trarne il maggior profitto. Questo sistema non può e non vuole risolvere la questione di genere perché su queste differenze si basa il controllo sociale di una classe su un’altra. L’ondata di violenza che ha investito l’universo femminile mondiale non è frutto di un’emergenza, ma la conseguenza di scelte precise, operate da un sistema in crisi, quello capitalistico, che cerca di autoconservarsi. E’ perciò ipocrita pensare che lo stesso Stato capitalista che contribuisce a creare e a fomentare questa situazione di isolamento domestico delle donne, questa mancanza di autonomia economica e di autodeterminazione, possa poi tutelarle nei loro diritti. Le condizioni di miseria e di povertà sono il terreno ideale perché la violenza ed i maltrattamenti verso le donne si esasperino.
Come donne proletarie, oppresse e sfruttate, siamo chiamate a partecipare alle mobilitazioni che verranno organizzate su questo tema perché lotteremo fino alla morte per sconfiggere la violenza maschilista e l’oppressione della donna. Ma dobbiamo denunciare nello stesso tempo questa politica ingannevole tanto propagandata dall’Onu.
È necessario trasformare questa giornata in un momento di lotta contro le cause concrete della violenza, ma, soprattutto, contro il sistema capitalista che promuove guerre, genocidi e sfruttamento contro i popoli, rendendo il mondo sempre più pericoloso per le donne, specialmente per le più povere, le nere, le immigrate e le lavoratrici di tutti i Paesi; contro i governi che ingannano le donne con le loro politiche di empowerment e di welfare, lasciando credere loro che questa è la via per risolvere il problema dell’oppressione e della violenza, mentre scaricano sopra le spalle dei lavoratori e dei poveri i loro violenti piani di miseria e sfruttamento.
Occorre lottare per dire basta alla violenza e al peggioramento delle condizioni di vita delle donne, che stanno reagendo a questi attacchi tesi a limitarne la libertà. Sono state e sono l’avanguardia della classe lavoratrice che si solleva in molti Paesi contro i regimi (Egitto, Tunisia, Siria), contro l’attacco dei diritti in Europa (Spagna e Polonia), contro gli stupri (India), contro le manovre economiche (Brasile), contro la violenza e i femminicidi (Argentina).
E’ necessario avviare un percorso di lotta in grado di estendersi a tutti i settori della classe lavoratrice, in cui siano chiamati a partecipare, esprimendo solidarietà alla condizione femminile, anche gli uomini, perché non c’è liberazione dell’umanità che non passi per la liberazione della donna. La lotta per l'uguaglianza delle donne non riguarda solo le donne ma è parimenti doverosa per tutti gli uomini, dato che il maschilismo oltre ad essere odioso divide la classe. E le donne costituiscono la metà della classe.
È attraverso l'unità della classe lavoratrice sulla base di una comune posizione di classe indipendente da genere, razza od orientamento sessuale, e con la lotta per le mete comuni del socialismo che si abbattono i pregiudizi contro cui noi comuniste e comunisti ci battiamo quotidianamente. La lotta per il socialismo si basa sul potere delle classe lavoratrice – non di maschi o femmine, ma di tutti i lavoratori, siano uomini, donne, immigrati, lgbt, neri o nere. In questa lotta tutti i lavoratori e le lavoratrici hanno un ruolo fondamentale: la vittoria della classe lavoratrice sarà possibile solo se oltre agli uomini lotteranno anche le donne. È per questo che il lavoratore cosciente che vuole cambiare il mondo deve combattere il maschilismo, anche all'interno della classe lavoratrice, e difendere l'uguaglianza della lavoratrice nella lotta della nostra classe contro la borghesia e il sistema capitalista-imperialista.
Basta maschilismo e sfruttamento! Basta violenza contro le donne! Il sistema economico socialista eliminerà le basi materiali dell'oppressione di genere e la lotta per instaurarlo abbatterà i pregiudizi sessisti, dimostrando nella prassi l'uguaglianza tra uomini e donne.
Occorre seguire l'esempio delle donne argentine e della loro avanguardia, che cominciano a organizzare blocchi della produzione, insieme coi lavoratori, contro la violenza e per i diritti della donna.
Il capitalismo uccide! Morte al capitalismo!

Segreteria Internazionale Donne
Lit–Quarta Internazionale

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