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MOVEMENTEXIT!

la lezione del referendum costituzionale: perdere le catene, non più il tempo.

(29 Dicembre 2016)

C'è una resa dei conti tra frazioni borghesi.
C'è una resa dei conti tra le località topografiche della politica, tra i partiti e dentro i partiti.
C'è una resa dei conti tra opportunismo e rivoluzione.

la lezione del referendum: perdere le catene, non più il tempo
MOVEMENTEXIT

L'ideologia dominante è quella della classe dominante.
E se questa è una società dominata dal capitale, le idee dominanti sono quelle dei capitalisti:quelle dei loro affari, del profitto.
Possiamo dire che le idee dominanti tendono a nascondere, a coprire, comunque ad esprimere gli affari di chi domina.

Una delle idee più pericolose, insinuanti, truffaldine, ma anche una delle idee più diffuse e radicate è quella della “partecipazione”, espressa soprattutto nella pratica della delega elettorale, oggi in crisi verticale nelle democrazie occidentali dato l'alto (nonché compatibile ed assorbibile dal sistema) tasso di astensionismo di massa.
Un'idea che tenta di convincere gli sfruttati di essere padroni del loro destino, votando ogni tanto ed esprimendo i “propri rappresentanti”, esercitando il diritto democratico della “volontà popolare”.
Figlia legittima di questa idea forza è quella forse ancor più subdola del referendum perché attinge a quell'altro grande imbroglio che è la “democrazia diretta”: la possibilità, cioè, del popolo, di intervenire direttamente nelle scelte decisionali di una società (con possibilità solo abrogative per carità ma magari senza quorum come sul referendum costituzionale appena passato).

L'unione di queste due ideologie, partecipazione e referendum, accompagnate da un voluto innalzamento dei toni fuori dalla disanima tecnica in questione (la riforma della costituzione), hanno fatto il miracolo: un esponenziale aumento dei votanti che ha riportato il sorriso sui faccioni preoccupati dei padroni, e dei loro servitori politici, curiali e della carta stampata uniti nel tripudio di una ritrovata “democrazia” al di la dello stesso risultato.

Le idee dei padroni hanno di nuovo la propria copertura di massa nella partecipazione popolare.
Questo il 1° risultato, universalmente acclamato, del referendum del 4 dicembre, e di chi, a vario titolo e con “diverse” posizioni, lo ha frequentato.
La categoria sociologica dei “giovani”, indotta al voto innanzitutto dai raschiatori grillini dell'astensionismo, ha scelto l'urna referendaria per manifestare la propria rabbia ed il proprio scontento, abbandonando la lotta come arma di combattimento e conquista.
I “giovani” (e tra loro molti giovani sfruttati) per questa volta, dando retta alle sirene grilline innanzitutto, hanno segnato il passo decidendo di delegare in tanti alla società della politica politicante serva degli affari padronali.

Adesso, di fronte alla prevedibile presa in giro (anche della formalità democratico-borghese, anche della “partecipazione e della vittoria popolare del no”) del governo fotocopia Gentiloni, non ci saranno insurrezioni pur necessarie, ma solo le annunciate manifestazioni dei mestatori, strumentalizzatori ed accaparratori della vecchia repubblica, mutuati in salsa xenofoba e razzista.
Adesso, Renzi teleguiderà il suo governo fino al compimento della nuova legge elettorale, senza trascurare il congresso P.D. di primavera, ma sopattutto onorerà gli impegni ed i vincoli in sede europea (la nomina Gentiloni ex ministro degli esteri significa pure qualcosa!).
Come se nulla fosse successo, in barba alla loro stessa democrazia, non possono fare altro, a fronte della determinazione economica del ciclo politico attuale, come di tutti gli altri.
Una lezione per tutti gli apologeti del “primato della politica” che, scambiando lucciole per lanterne, continuano ad illudersi di poter incidere o addirittura “cacciare” governi con schede e voti.
Governi che, alla prova dei fatti, vengono puntualmente confermati nella sostanza, e questa volta pure nella forma.
Ai votanti no, e purtroppo a quanti sfruttati hanno votato no, oltre lo “scuorno”, rimarrà la delusione e, probabilmente, la sfiducia in una partecipazione reale al cambiamento necessario e possibile: quello della lotta!
Bel risultato, per i “movimentisti senza movimento”che, non soddisfatti, si attardano ancora in parolai quanto “minacciosi” comunicati su prossimi “poteri popolari” e similia.

Referendum passato, “SI” battuto, governo confermato, non cambia nulla?
No! Seppur nella conferma alle tendenze di fondo alcuni nodi tendono a sciogliersi, determinando nella nitidezza del quadro generale l'unico elemento positivo della tornata referendaria.
Per i padroni, per i loro servi politici e sindacalisti, per i chiacchieroni di “movimento” e per gli sfruttati siamo al dunque.
Di qua o di la, a ciascuno il suo!

Tre differenti, ma interdipendenti, rese dei conti sono state accelerate dal referendum costituzionale, dal suo imprevisto risultato, e dall’imponenza di quest’ultimo.
La resa dei conti tra frazioni borghesi, non solo nazionali, vede l’accentuarsi dell’influenza, elettorale ma anche di massa, delle correnti euroscettiche, trasversalmente dislocate dall’estrema destra all’estrema sinistra, nell’utilizzo diversificato di razzismi, xenofobie, sovranismi nazionali e protezionismi economici.
Tale correnti riflettono il relativo indebolimento occidentale (euro-americano) sullo scacchiere mondiale, irradiandosi dal terremoto Trump, alla Brexit, al “NO” referendario italiano, fino alla critica e rimessa in discussione della linea dell’”austerità” tedesca.
Sono correnti che attentano all’intero processo di continentalizzazione europeo, rimettendo in discussione vecchi equilibri mondiali ormai non piu’ corrispondenti alle quote-capitale di ogni singola potenza, rallentando l’unificazione militare e politica a seguito di quella economica sotto l’egida dell’euro, ma che difficilmente potranno invertire il senso di marcia generale del movimento reale verso la competizione planetaria tra blocchi imperialisti.

La resa dei conti tra le espressioni politiche delle diverse frazioni borghesi tende a favorire vittorie elettorali ed influenze ideologiche di massa, spinte dall’oggettivo fenomeno delle migrazioni alla strumentalizzazione del “pericolo migranti” (spacciato anche per “pericolo terrorismno”), di gruppi politici, coalizioni e governi reazionari, ma anche di gruppi politici, coalizioni e governi sovranisti e protezionisti conditi in salsa populista o da “sinistra unita protestataria”.



In Italia questa resa dei conti, dopo il referendum e con la crisi del governo Renzi, chiude il ciclo del bipartito inperfetto figlio del maggioritario, riaprendo le possibilità ad un “nuovo” proporzionale temperato comunque dalla futura legge elettorale.
Anche qui, seppur in presenza di una sorta di rivincita dell’Italia delle piccole patrie, e dei loro agglomerati di potere e denaro intorno alle autonomie locali, potrà rallentarsi ma non certo fermarsi il processo profondo di “riforme strutturali”, di semplificazioni e funzionalizzazioni statuali del resto già in corso e per nulla interrotto, anche e soprattutto perché pressato dal persistente e per certi versi accentuato, vincolo europeo.

L’ultima resa dei conti è quella tra il campo dell’opportunismo ed il campo della rivoluzione.

In se, l’opportunismo, non avendo una propria teoria né strategia, si caratterizza solo come pratica sociale controrivoluzionaria, utilizzata dalla borghesia per corrompere (e quando non basta combattere anche con i fatti) ampi strati di proletariato che, altrimenti ed in presenza di un’organizzazione rivoluzionaria all’altezza della situazione, potrebbe trasformarsi da classe per se a classe in se con tutte le conseguenze del caso.
In questo periodo storico, l’opportunismo di sinistra variamente denominato (da quello classico del vecchio P.C.I., a quello del sindacato di stato, fino agli ultimi epigoni di “movimento”) si è caratterizzato come difensore della democrazia borghese, dei suoi istituti del diritto individuale, delle sue proprie ideologie, in primis quella della “partecipazione”.
Una “partecipazione” delegata, rappresentativa, che usa e abusa del parlamentarismo e della sua causa prima: l’elettoralismo o, quando serve, l’istituto del referendum.
Particolarmente sporca (ed a tratti, purtroppo, efficace!) è l’opera corruttrice della “partecipazione” opportunista , di fronte ad un attegiamento spontaneo di massa astensionista, dovuto a sfiducia e scoramento, certamente incosciente e non rivoluzionario, ma comunque un fenomeno che “toglie in massa la delega” elettorale.
Un lavoro sporco e per questo da tutti i soloni parassiti di questa società apprezzato perché “riconduce il 70% dei cittadini, tra cui molti giovani, nell’alveo democratico della partecipazione”.
A questo si sono prestati pentastellati e megafonatori del “no sociale”, “vincendo” il referendum ma senza però “mandare a casa” nessuno, visto che il precedente governo è ancora in carica con gli stessi ministri alcuni dei quali passati pure di grado.
Ancora di fronte all’evidenza dell’ennesima truffa referendaria ai danni dei “cittadini votanti”(e di fronte alle “rivoluzioni mancate” di Roma e Torino) questi acchiappanuvole continuano a vagheggiare di “poteri popolari” e di “trasformare il risultato referendario in cartelli politici”……….
Appunto, in mancanza di una propria teoria e strategia, dopo aver messo le proprie povere forze al servizio della “partecipazione” dei padroni senza aver raggiunto alcuno scopo tranne questo, invece di ritirarsi a vita privata e smettere di far danni, rilanciano facendo il tifo per un prossimo possibile proporzionale nel quale provare a terminare la propria squallida carriera.
E’ chiaro che questi personaggi immarcescibili, acrobati delle giravolte e del riciclo, non tireranno mai nessuna conseguenza sul loro operato, né politica, né umana.

Spetta agli sfruttati farlo, avviando una riflessione vera e profonda, capace di trarre le vere lezioni storico-politiche, e di tradurle in una scelta di campo chiara e decisa: quello della rivoluzione, della scissione dall’opportunismo, dell’unità e dell’autonomia di classe.

Una scelta di campo non più rinviabile!

Pino ferroviere

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