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Violenza sulle donne

Violenza sulle donne

(30 Aprile 2012) Enzo Apicella

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Sull'appello ai sindacati della rete italiana "Non Una di Meno", ovvero sui tristi accadimenti dell'assemblea del 27 novembre alla facoltà di Psicologia di Roma

Per un 8 marzo di sciopero femminista e di classe!

(30 Gennaio 2017)

Riceviamo e - ai fini del dibattito - pubblichiamo

Il 26 novembre ho partecipato, insieme ad altre, alla oceanica manifestazione contro la violenza sulle donne, la più grande ed importante manifestazione degli ultimi anni nel nostro paese. Il 27 novembre ci siamo ritrovate attorno ad una serie di tavoli di lavoro in cui abbiamo elaborate delle proposte da avanzare in vista della scrittura di un Piano femminista contro la violenza concentrandoci su alcuni dei nodi principali attraverso cui viene perpetrata la violenza sulle donne. In questo contesto, si è ragionato intorno allo sciopero delle donne dell'8 marzo lanciato dal movimento argentino "Ni una menos" da cui quello italiano prende le mosse.

In quanto da sempre impegnata nella lotta contro l'oppressione di genere con lo sfruttamento di classe, ho partecipato al tavolo "Lavoro e welfare". Nel mio intervento ho proposto, insieme ad altre donne facenti parte di altre organizzazioni, di integrare il report finale del nostro tavolo (leggibile qui: https://nonunadimeno.wordpress.com/2016/12/08/report-tavolo-lavoro-e-welfare/) che sarebbe stato poi letto in assemblea plenaria di fronte a tutte le partecipanti di tutti i tavoli, con un appello a tutti i sindacati per cercare di coinvolgere, in vista dello sciopero dell'8 marzo, le donne lavoratrici, che altrimenti non avrebbero potuto partecipare. Tale proposta è stata inizialmente ignorata dalla presidenza del tavolo costituita dalle donne della rete "Io decido", e non c'è stato modo di riflettere seriamente su quella proposta. Alla fine dei lavori del tavolo mi sono avvicinata con alcune donne che sostenevano questa idea, ma siamo state quasi cacciate via. Ci tengo a sottolineare che alla base di questa proposta c'è la volontà di riportare al centro della lotta femminile e femminista le donne lavoratrici, che solo attraverso la proclamazione dello sciopero possono, appunto, astenersi dalla produzione e quindi scioperare. Solo così possono far sentire il peso della loro assenza. Lo abbiamo proposto per un protagonismo delle lavoratrici, quindi, non per quello delle burocrazie sindacali.
Come è possibile leggere sulla home page del sito, adesso la proposta è stata rivalutata, anche se non si sa bene come sia successo, e adesso campeggia in testa, addirittura sotto al logo del movimento.

Meglio, verrebbe da dire. E invece no. Questa è la beffa dopo il danno: nel pomeriggio, infatti, dopo aver distribuito un volantino in cui si avanzavano critiche sulle modalità assembleari e di decisione politica di "Non una di meno" e che proprio quella mattina avevano trovato, di nuovo, espressione, e in cui si leggeva che "Le donne lavoratrici non hanno governi amici" (frase che ha fatto particolarmente arrabbiare le realtà promotrici) mentre mi allontanavo dall'assemblea con due compagne sono stata intimidita da un gruppo di donne facente parte delle realtà promotrici. Sono stata spinta contro il corrimano delle scale dal gruppetto e ricoperta di insulti. A casa, ho scoperto di essere stata espulsa dalla mailing list nazionale del movimento.
Questi sono i metodi, che se, riflettendo, non mi stupiscono più di tanto, mi intristiscono molto perché quella che consideravo anche un po' come casa mia si è rivelato essere un luogo dove si viene prese "a mazzate" con i metodi di quei padri-padroni che critichiamo; d'altro canto sono metodi che mi lasciano senza parole se penso che le promotrici di questo episodio sono le stesse che vorrebbero scrivere un piano contro la violenza... Inoltre, le azioni di queste persone sollevano un problema politico di non poco conto.
Tuttavia, proprio per il trattamento che mi è stato riservato sono ancora più convinta della validità dei contenuti del volantino e delle idee che lo animano; proprio in occasione dell'8 marzo di cento anni fa, infatti, un corteo di donne dava il via alla rivoluzione d'ottobre, quella che avrebbe definitivamente cambiato la storia, quella dopo la quale nulla fu più come prima.
Di fronte alle ottocentesche condizioni di lavoro cui sono obbligate lavoratrici e lavoratori, ormai private di diritti oppure costrette alla disoccupazione, il minimo che possiamo fare è lanciare alle borghesie di tutto il mondo una sfida pari a quella che venne lanciata nel 1917.

Verso l'8 marzo, per uno sciopero femminista e di classe!

S.G.



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Di seguito, il volantino presentato ai tavoli di lavoro del 27 novembre

25 NOVEMBRE: SAREMO #NIUNAMENOS SOLO SE CI ORGANIZZIAMO IN MIGLIAIA
La grande manifestazione di oggi, nata dall'assemblea dell'8 ottobre di Roma, è un risultato molto importante dopo anni di assenza di mobilitazione visibile contro la violenza sulle donne. Con questa manifestazione, siamo riuscite a sfuggire alla narrazione della violenza sulle donne che i media ogni anno ci impongono il 25 novembre, improntata a una visione della donna esclusivamente come vittima. Questo è un risultato importante, perché invisibilizzare la giornata di lotta di oggi sarà impossibile.
Tuttavia, quello che non dobbiamo dimenticarci è che la lotta non finisce qui. Le
mobilitazioni che scuotono in questi mesi l'Europa, i paesi dell'Est e l'America latina sono un chiaro segnale che le donne, in gran parte del mondo, sono stanche di sobbarcarsi il peso di una crisi economica e sociale che pesa soprattutto sulle nostre spalle, e il rafforzamento delle destre, che alzano la testa in tutto l'Occidente, ha tra i primi effetti quello di spingere per
l'approvazione di leggi che vanno contro la nostra libertà, com'è successo in Polonia con il
tentativo di mettere al bando l'aborto.
In Polonia le donne hanno vinto perché hanno agito unite contro un progetto di legge
liberticida e criminale: in Italia non esiste un'unità del genere, e la frammentazione che il
movimento femminista del nostro paese soffre al suo interno è un ostacolo allo sviluppo di un movimento di massa – mai come ora necessario - contro questo sistema che ci vuole sempre più povere e ricattabili. Movimento di massa che deve nascere sulla base di un programma comune di rivendicazioni in seguito ad un confronto reciproco veramente sincero: l'assemblea dell'8 ottobre, in questo senso, altro non è stata che l'autocelebrazione di una parte del movimento femminista che si è reciprocamente riconosciuta per imporre la sua agenda, le sue
priorità e i suoi metodi a tutte.
Non si è votato, né è stato stilato un ordine del giorno – basilare in ogni assemblea che si rispetti – per procedere con ordine in merito ai tanti temi che emergevano: le urgenze sono state dettate dai gruppi e dalle realtà più “riconosciute”. Le proposte sono state votate per acclamazione o quando non piacevano sono state fischiate, oppure sono state lasciate cadere nell'indifferenza generale. Questi metodi assembleari sono profondamente antidemocratici e ostacolano l'emergere di un reale confronto in merito ai contenuti e ai metodi, confronto di cui, oggi più che mai, abbiamo bisogno per capire davvero qual è la lotta che stiamo conducendo. L'unità non si può fondare sul consenso delegato ad un gruppo di collettivi, quanto su dei punti di rivendicazione chiari e specifici.
Diciamo questo perché qualche giorno fa le realtà promotrici (Io decido, Di.Re, UDI) hanno incontrato, per volontà delle istituzioni, la Presidente della Camera Boldrini e l'intergruppo parlamentare sulle pari opportunità composto da un'esponente del Partito democratico, da una deputata del Gruppo misto, e da una parlamentare del Nuovo centrodestra.
Proprio loro che ci hanno imposto negli ultimi decenni misure di austerity draconiane, che hanno smantellato le leggi che ci garantivano un minimo di tutele e un lavoro sicuro, e che oggi ci condannano alla fame e ci rendono ricattabili! Il femminicidio altro non è che l'ultimo atto
finale di una vita fatta di ricatti, che questo sistema giustifica attraverso le sue leggi. Perciò, guardare con simpatia alla presunta “apertura delle istituzioni” - perfettamente consapevoli dello stato di miseria e assenza di welfare e disoccupazione in cui viviamo - significa ingannare quelle donne che sono più ricattabili. Per questo ricordiamo che le donne lavoratrici non hanno governi amici!
La giornata di oggi deve essere quindi l'inizio di una lotta che ci porti a mettere in discussione alla radice il sistema capitalista in cui viviamo e le nefandezze che esso produce, senza farsi ingannare dalla buona volontà di qualche filantropa seduta al Parlamento: dobbiamo lottare,
unite come hanno saputo fare le polacche e le argentine, contro il Jobs Act che smantella il diritto del lavoro e contro la deriva autoritaria di questo governo: per questo è ridicolo non pronunciarsi in merito al referendum, visto che una ipotetica vittoria del sì permetterebbe di far approvare più velocemente leggi contro le donne, le precarie, le povere, rendendoci ancora più vulnerabili di quello che già siamo; dobbiamo inoltre lottare per avere maggiori tutele sul lavoro, per lavorare meno e lavorare tutte a parità di salario; dobbiamo lottare unite contro
l'obiezione di coscienza e per poter partorire in tutta sicurezza, entrambe questioni di salute ormai espulse dalle varie agende istituzionali da molto tempo.
Dobbiamo anche lottare per la chiusura immediata dei CIE, dove le donne subiscono violenze
e non hanno tutele di alcun tipo, e dove vige uno stato di trattamento degli esseri umani
degno del più efficiente campo di concentramento; dobbiamo lottare anche per una reale politica di integrazione, e dobbiamo schierarci contro le guerre imperialistiche che obbligano intere popolazioni a lasciare i loro territori d'origine.
Dobbiamo lottare per la riapertura immediata di tutti i centri antiviolenza chiusi e mai
riaperti, e per l'apertura di nuovi centri.
Dobbiamo lottare contro i trattati economici europei degli ultimi anni, attraverso i quali i
governi e i capitalisti di tutta l'Unione Europea stanno tentando di recuperare ciò che la crisi economica ha tolto loro, rifacendosi su di noi e scaricando sulle spalle di milioni di lavoratrici e lavoratori – ricordiamoci della Grecia! - i costi del fallimento del loro sistema. Contro un sistema universitario che esclude le persone più bisognose, contro le riforme sanitarie che ci impediscono di accedere ai servizi per la salute, mentre la Ministra della Salute col placet del Movimento per la vita organizza eventi che mascherano una politica familiare fascista con discorsi sulla salute, quando con la salute non hanno niente a che vedere.
In America latina, oltre alla parola d'ordine NiUnaMenos, c'è n'è un'altra che attraversa le manifestazioni contro i femminicidi: Se toccano una, ci organizziamo in migliaia.
Saremo NiUnaMenos solo se ci organizziamo a migliaia.

Per info e adesioni: lamiliziana@gmail.com

S.G.

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