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La fatalità dominante

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(26 Novembre 2011) Enzo Apicella

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(Di lavoro si muore)

Il modello Fincantieri uccide ancora a Monfalcone

(5 Marzo 2017)

Giovedì 2 marzo l’organizzazione produttiva di Fincantieri ha richiesto un altro tributo di sangue: nello stabilimento del rione di Panzano un operaio originario della Bosnia, dipendente di una ditta esterna in sub-appalto, che lavorava all’allestimento dei nuovi capannoni destinati alla verniciatura delle navi, è precipitato dal sottotetto della struttura restando ucciso sul colpo dopo una caduta di 18 metri.
Le inchieste - sia quella dell’azienda che quella della magistratura - andranno ovviamente a soffermarsi sui particolari tecnici dell’incidente, come quello se l’operaio avesse o meno l’imbracatura, ma la classe operaia cantierina sa che in realtà è il livello di sfruttamento che ha raggiunto il modello produttivo di Fincantieri il vero responsabile dell’omicidio cosiddetto “bianco” di un proletario. Il quarto omicidio dal 2008.
L’incidente è la diretta conseguenza dell’estorsione di plusvalore praticata sulla forza-lavoro incrementando l’intensificazione dei ritmi e dei tempi di consegna dei lavori, un’intensificazione che diventa una vero controllo sui corpi dei lavoratori tanto più che il tutto viene esasperato dalla pressione delle performance di Borsa dei titoli del Gruppo. In questo quadro di valorizzazione capitalista il ricorso sistemico al contracting out, con le sue gare di appalti e sub-appalti dagli imposti tirati al minimo, svolge un ruolo strategico. Oggi il settore delle ditte esterne contribuisce quasi per il 75% del prodotto finito realizzato a Panzano. Ma non solo. Esso costituisce un pungolo concorrenziale per indebolire forza e condizioni di lavoro della stessa manodopera diretta: ne sono prova recente vicissitudini e contenuti dell’integrativo aziendale e del contratto nazionale metalmeccanici, che hanno sancito, tra le altre cose, l’introduzione della predominanza sul salario dell’istituto premiale, che legato ai risultati d’impresa diventa un meccanismo cottimista, il welfare privatizzato che sostituisce la monetizzazione retributiva, la restrizione dell’utilizzo della legge 104, il peggioramento in materia di trasferimenti.
I presupposti dell’incidente mortale di giovedì 2 marzo non sono sorti dal nulla.
I capannoni di nuova generazione deputati alla pitturazione dei tronchi di nave sempre più grandi erano già stati scenari di un’escalation di infortuni minori nel dicembre scorso quando diversi lavoratori dell’indotto ivi impiegati si erano recati all’infermeria accusando dei problemi agli occhi dovuti alle schegge o polveri provenienti dalle lavorazioni in corso. La consegna di queste strutture è prevista in lotti entro la fine del primo semestre. Il rispetto dei tempi di consegna è determinante per la conferma del sub-appalto e ovviamente il tutto viene tramutato nell’intensificazione dei ritmi lavorativi a scapito della retribuzione e della sicurezza.


La valle di Giosafat del plusvalore

L’universo delle 200 e più imprese dell’appaltatura, con 4000 lavoratori contro i 1700 diretti, costituisce una realtà variegata. Vi sono alcune strutture aziendali che rappresentano partnership storiche con Fincantieri accanto ad una miriade di realtà di imprese e micro-imprese dove il confine tra legalità (borghese) e illegalità è una linea tenue e mobile. Una classe operaia atomizzata dalla polverizzazione aziendale e contrattuale (quando i contratti sono reali e non fittizi!) ma anche dalle decine di nazionalità diverse: per parte italiana si tratta per lo più di napoletani mentre il grande contingente “estero” è costituito per lo più da bengalesi e rumeni (58% dell’insieme della forza-lavoro non italiana dell’indotto). Problemi di lingua, cui vanno aggiunti i problemi di inserimento nel tessuto cittadino (1 monfalconese su 5 è immigrato estero) specie correlati alla pressione sulla scarsa disponibilità alloggiativa, spianano la strada a forme di sfruttamento padronale parossistico che sfocia in veri e propri ricatti ottocenteschi e pressioni di tipo mafioso (infiltrazioni mafiose sono comunque accertate anche dalle istituzioni borghesi) sulle modalità di ottenimento dei contratti e quindi dei permessi di soggiorno. Specie nella comunità bengalese questa situazione alimenta fenomeni di gestione verticistica con a capo un boss “comunitario” che gestisce i movimenti migratori degli operai e rispettive famiglie al seguito.
In questa giungla gli infortuni meno gravi si susseguono ma, sotto ricatto padronale, raramente vengono denunciati. Vi sono stati casi di ricoveri ospedalieri effettuati solo al termine della giornata lavorativa e in luoghi lontani da Monfalcone. Per non parlare delle norme di sicurezza: è abbastanza comune che bengalesi lavorino a mani nude la lana di vetro usata per la coibentazione come diffuso è il riutilizzo di mascherine già buttate.
La questione retributiva vede la presenza diffusa del metodo della paga globale dove, ovviamente, è molto facile far sparire ore di lavoro e contributi. Per non parlare della messa in Cig ordinaria del personale per poi farlo lavorare lo stesso a tempo pieno. Seppur bandita per l’intervento della stessa Fincantieri la pratica della “liberatoria” padronale, come nulla osta al lavoratore che vuole cambiare ditta, sembra ancora attuata.


Cisint la vendicatrice….

La sindaca leghista Cisint, che tenta di instaurare un rapporto con i sindacati dello stabilimento perché conscia che senza i grossi voti della Monfalcone operaia (che alle elezioni comunali dello scorso autunno si è astenuta in massa facendo sprofondare il PD ) difficilmente può prospettarsi un cammino plurimandato, ha enfatizzato da sempre la questione sicurezza e legalità nel sito di Panzano (soprattutto in funzione anti-bengalesi), e ha proclamato di far invalidare quel contratto di transazione mediante il quale la giunta di centrosinistra aveva abbandonato la posizione di parte civile del Comune nei processi per i morti da amianto (oltre 320 in città), ma finora di concreto non si è visto nulla. Il proclama di lutto cittadino da parte della Cisint, per un operaio non italiano, atto più simbolico che altro visto che il giorno dopo era previsto normalmente lo svolgimento della parata dei carri carnevaleschi, suona come un’operazione di spot da “salvatrice della patria” con gli annessi canovacci melodrammatici come quello dell’invito ai dirigenti scolastici di “disporre che i docenti attuino durante la giornata didattica attività formative volte alla riflessione sul tragico evento” come si legge nell’ordinanza.
Ma la giunta di centrodestra, confermando il suo ruolo di dispositivo della valorizzazione capitalista (ovviamente avendo avuto la strada spianata in questo dalle precedenti giunte PD con il fedele e mimetizzato Prc a far da buon valletto), invece di richiedere l’internalizzazione delle attività conto-terziste presenta a Fincantieri un protocollo per la concertazione istituzionale dell’utilizzo dell’outsourcing (privilegiando le ditte appaltatrici “storiche” e il ricorso al lavoro interinale) attraverso la costituzione di una struttura giuridica (Rete di imprese), con offerta di incentivi finanziari pubblici per le imprese che ne faranno parte (attraverso Fondo Gorizia, CCIAA e Confidi), e proponendo adeguamenti alla formazione scolastica da “tarare sulle esigenze aziendali”…


Per una trasformazione politica delle lotte

Le condizioni di lavoro in Fincantieri (come in qualsiasi altro grande gruppo) sono una questione direttamente politica. La grande partecipazione unitaria, pressoché totale, allo sciopero spontaneo di giovedì che ha fatto terminare la giornata lavorativa, ha dimostrato che esiste una forza operaia che potrebbe spendere il suo peso politico nel confronto diretto con l’azienda (che in parte è emerso anche con il No nel referendum contrattuale) se fosse dotata di una forma di rappresentanza e di organizzazione di lotta adeguata, costituita direttamente nei reparti lavorativi e per questo in grado di attivare e unificare tutte le maestranze dello stabilimento, di produrre una piattaforma rivendicativa unificante dell’intera classe operaia cantierina; un organismo elettivo di lavoratori che superi così le difficoltà che le attuali strutture di rappresentanza della forza-lavoro stanno attraversando, vuoi per la complessità della frammentazione produttiva, vuoi perché il terreno non è solo sindacale (e riguarda anche il TU sull’esigibilità) ed inoltre riguarda l’intero Gruppo Fincantieri. Che questa difficoltà per le Rsu esista, che la protesta operaia di giovedì si sia sviluppata al di là delle intenzioni dei sindacati, qualunque esse fossero, sono fatti confermati il giorno dopo: il corteo sindacale per le vie della città organizzato per la mattina di venerdì 4 marzo, “sponsorizzato” persino dal commissariato di PS che prevedeva una partecipazione di “duemila lavoratori”, ha visto coinvolte in realtà solo alcune centinaia di operai.
Il discorso della costruzione di un potere politico operaio in fabbrica è un discorso che matura nella più generale prospettiva del governo dei lavoratori perseguita dal PCL. Anche in termini attuali di sola prospettiva essa è politicamente propedeutica per la necessaria contrapposizione agli apparati aziendali e di governo, come orientamento per la ricostruzione di un protagonismo politico della classe operaia della grande industria in qualità di soggetto aggregante dell’intera popolazione del mondo del lavoro e del non-lavoro, contro la governabilità capitalistica e contro i blocchi sociali reazionari. Questa trasformazione politica delle lotte operaie, proprio perché inferente all’esigenza del superamento dell’attuale stato di arretratezza della classe, deve partire dalle concrete condizioni in cui i lavoratori conoscono lo sfruttamento capitalistico, dall’analisi del piano del capitale visto nella sua realizzazione aziendale. Ed in questo deve consistere l’ipotesi di lavoro politico dei marxisti rivoluzionari.


Monfalcone, 3 marzo 2017

Partito Comunista dei Lavoratori - Nucleo isontino

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