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il pane e le rose

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FIR - Bilancio del IV Congresso del PCL

Prima parte

(1 Aprile 2017)

1. IL CONTESTO POLITICO NAZIONALE E INTERNAZIONALE IN CUI SI
SVOLGE IL IV CONGRESSO
2. LA FASE PRE CONGRESSUALE
2.1 Una gestione antidemocratica delle relazioni e del dibattito interno
2.2 Una struttura di partito senza verifica della militanza e dei tesseramenti
3. UN CONGRESSO CHE CONFERMA UNA POLITICA DI
AUTOCONSERVAZIONE
3.1 Un partito non militante, una politica interclassista
3.2 Elettoralismo e sostegno alla (piccola) borghesia di sinistra alle elezioni
3.3 Confermata la struttura federale e accresciuti i poteri della segreteria politica
3.4 Un intervento opportunista e settario nel movimento operaio, tra i giovani e nel
movimento femminile
4. L’INTERNAZIONALISMO DELLA PIATTAFORMA. A: UNO ZIG-ZAG
INCONCLUDENTE CHE DISTORCE LA POLITICA DI COSTRUZIONE
DELL’INTERNAZIONALE OPERAIA RIVOLUZIONARIA
4.1 Un dibattito congressuale fallimentare
4.2 Salvare il CRQI? Mito e realtà
4.3 Raggruppamento rivoluzionario e trotskismo conseguente
4.4 CRQI: bilancio di un fallimento
5. IL CENTRISMO DEL GRUPPO DIRIGENTE STORICO DEL PCL
5.1 La mancanza di discussione teorica
5.2 Un giornale inadeguato: un’organizzazione senza “organizzatore collettivo”
5.3 La relazione con le opposizioni interne: i fatti post congresso
6. LA PIATTAFORMA B AL IV CONGRESSO: IL NOSTRO PROGETTO
INTERNAZIONALISTA E RIVOLUZIONARIO

1. IL CONTESTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE IN CUI SI E’ SVOLTO IL IV
CONGRESSO DEL PCL

Il panorama politico internazionale è segnato da una crisi organica montante, segnata dalla crisi
democrazia borghese post caduta del muro di Berlino, caratterizzate da una gestione politica di tipo
liberale o neoliberale del capitalismo. Successivamente alla crisi dei titoli subprime del 2008, il conflitto
di classe ha visto una risposta difforme in diversi paesi del mondo, e tutti questi hanno scontato una crisi
di direzione politica del movimento operaio, egemonizzati per lo più da direzioni piccolo borghesi,
riformiste o populiste.
Le lotte delle primavere arabe, gli scioperi generali in Grecia, la sollevazione dei Kurdi, (su un altro
livello) le lotte operaie, in Francia contro la Loi travail, hanno scontato la mancanza di una direzione
politica dal profilo indipendente dalla borghesia. Processi liquidati o ricondotti al binario
dell’elettoralismo da diversi fattori, tra i quali prevale la politica delle direzioni burocratiche e riformiste
che hanno impedito che questi processi si sviluppassero in senso anticapitalista e rivoluzionario. Come
scrisse Trotsky “l’attuale crisi dell’umanità è la crisi di direzione del proletariato”; tale analisi è
pienamente confermata dallo sconvolgimento degli scenari internazionali odierni, dal tracollo di consensi
ed egemonia delle socialdemocrazie e dal rafforzamento dell’estrema destra, e dall’ascesa di forze “neoriformiste”.
Assistiamo a una crisi dei partiti del cosiddetto “centro borghese” composto da conservatori e
socialdemocratici, che per decenni hanno gestito insieme nei principali Stati capitalisti sulla base del consenso neoliberale, la cui base sta nella crisi del 2008. Assistiamo, dunque, ad una progressiva
trasformazione autoritaria della democrazia borghese, che avviene per diversi processi tendenziali - non
ancora del tutto completati - di disarticolazione degli spazi democratici conquistati dal movimento
operaio nella sua lotta contro il capitalismo durante tutto il ‘900. Espressione di questo processo sono le
tendenze alla “crisi organica” in diversi paesi, così coe lo sviluppo dei fenomeni populisti di destra
(Trump, Le Pen, Brexit, Movimento 5 stelle) e di sinistra (varianti neo-riformiste come Syriza, Podemos,
Sanders, Corbyn), che si sono affermati successivamente alla crisi finanziaria del 2008 e che ridisegnano
lo scenario internazionale di rapporti diplomatico-politici tra Stati nazione, in special modo nelle loro
proiezioni nazionaliste, protezioniste e antiglobalizzazione. Tale tendenza, espressione della progressiva
proletarizzazione della piccola borghesia e delle mancate risposte alla caduta tendenziale del saggio
medio di profitto, ha formato il brodo di coltura per il rafforzamento delle estreme destre, la cui salita al
governo in generale non è più considerata dalla borghesia come una soluzione necessaria, data la
debolezza complessiva del movimento dei lavoratori.
La base materiale della nascita di questi nuovi fenomeni politici sta nelle condizioni create durante
decenni di neoliberismo e aggravati dalla Grande Recessione del 2008. Durante i primi anni della crisi
economica, la Cina ha costituito una controtendenza importante di fronte alle tendenze recessive dei paesi
centrali, ma ha poi cominciato a non giocare più tale ruolo, perdendo il dinamismo della sua economia e
facendo sì che la crisi si estendesse ai paesi semicoloniali. Allo stesso tempo, però, si è trasformata in una
potenza che riesce a competere con gli Stati Uniti sul piano internazionale, nonostante contraddizioni
interne importanti. Ciò che si sta verificando ora è la crisi delle politiche con cui gli stati capitalistici
hanno risposto alla crisi del 2008. In questo contesto, il trionfo di Trump e le convulsioni che la sua
elezione sta producendo sul piano internazionale, stanno approfondendo, per ora, le tendenze alla crisi
organica.
Sebbene sia da verificare quali saranno i riallineamenti all’interno delle classi dominanti e tra gli Stati,
fino ad oggi caratterizzati da alleanze attorno agli USA come baricentro egemonico, è evidente che ci
troviamo in una fase iniziale di profondo mutamento del ruolo dell’imperialismo nordamericano e
internazionale.

In questo scenario internazionale, l’imperialismo italiano, reduce da oltre 9 anni di crisi, tra recessione e
stagnazione, ha confermato le tendenze che attraversano i più importanti paesi capitalistici del mondo. La
crisi della sinistra socialdemocratica e il rafforzamento dei blocchi populisti di destra (M5S e Salvini),
insieme alle politiche di smantellamento delle tutele contrattuali dei lavoratori e degli spazi di agibilità
politica delle organizzazioni della sinistra di classe, sono segnali di una crisi politica ed economica, che
impedisce alla borghesia di procedere al consolidamento di una “Terza Repubblica” -caratterizzata dalla
disarticolazione dei partiti tradizionali- e a far nascere nuove formazioni, che fondano la propria base di
propaganda sul sentimento antipolitico, impiantato su concezione interclassiste di carattere reazionario,
dove alla contrapposizione tra classi si sostituisce quella tra italiani e immigrati e tra Stato-Nazione
italiano e Unione Europea, cavalcando il malcontento sociale dovuto a perdita di posti di lavoro e a una
disoccupazione giovanile di massa.

In questo quadro il Governo Renzi è stato l’espressione delle politiche di riforma del capitalismo italiano.
L’atto di rinascita dalle proprie ceneri. Una tappa politica neoliberale di trasformazione delle relazioni tra
Capitale e Lavoro e delle proprie relative istituzioni di diritto pubblico. Il suo corso politico ha
rappresentato l’araba fenice delle classi dominanti italiane, riuscendo da un lato a “rottamare” le vecchie
dirigenze dei partiti tradizionali, dall’altro a colpire i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali. Una
politica padronale fatta di manovre populiste, come gli 80 euro, e riforme su scuola e lavoro, presentata
come di sinistra, ma che nella sostanza ha diviso i lavoratori creando un fronte di precarietà contrattuale
senza precedenti. Ciò ha favorito il ripiego del movimento operaio e il distacco di tradizione di lotta tra la
vecchia classe operaia e quella giovane odierna. Un processo iniziato coi vecchi governi di centro sinistra
e che Renzi è riuscito a consolidare, rompendo coi “vecchi” legami del Partito Democratico e con le
burocrazie sindacali.

Il IV Congresso del PCL si è svolto in questo scenario. A fronte di una crisi della sinistra e dei lavoratori a
cui dare risposte di costruzione soggettiva e d’iniziativa politica internazionale (ricostruzione della IV
Internazionale) e nazionale, la costruzione di un forte partito rivoluzionario mediante proposta politica
d’intervento nel movimento dei lavoratori, degli studenti e delle donne, una sfida propagandistica alle
organizzazioni di sinistra, la raccolta dei settori combattivi del movimento operaio, studentesco,
femminile e dei migranti attorno a una piattaforma rivendicativa, il gruppo dirigente del PCL ha
confermato una linea di autoconservazione, di sostanziale resa politica e di ulteriore trasformazione dei
propri cardini teorici. Il IV Congresso del PCL segna la sua crisi politica interna - in special modo nelle
relazioni con le opposizioni di sinistra e nell’impasse sulla proposta politica nazionale - ed esterna, nelle
sue relazioni col vecchio coordinamento internazionale a cui fa riferimento (il CRQI), dove il maggior
partito (il Partido Obrero) ha chiesto esplicitamente la sua espulsione.
Una crisi che il gruppo dirigente uscito vittorioso dal IV Congresso (piattaforma A) prova a risolvere
attraverso una relazione diplomatica con la sinistra del Segretariato Unificato – formata da piccoli gruppi
con una scarsa influenza, ma anche con relazioni formali con altri gruppi. Un modo politico per rallentare
la propria crisi in attesa di un riposizionamento d’opposizione in un eventuale partito ampio o in un nuovo
coordinamento internazionale senza comune strategia.

Al IV Congresso si sono, per questo, contrapposte due piattaforme strutturate su linee strategiche
divergenti. La piattaforma A sosteneva la costruzione del partito fondata sull'asse del popolo della sinistra
rimuovendo la centralità operaia dalla battaglia per la formazione di una direzione marxista
rivoluzionaria. La piattaforma B al contrario proponeva la costruzione del PCL per formazione di
tendenze e frazioni rivoluzionarie nel movimento operaio combattivo (la parte più avanzata delle lotte) e
nei movimenti studentesco e femminile.
Il bilancio della piattaforma A pubblicato sul numero di febbraio di “Unità di classe” presenta una visione
del congresso falsa e superficiale. Innanzitutto perché identifica la discussione tenutasi con una “battaglia
interna nella comune tradizione leninista”, quando, invece, non ci si è preoccupati di far pubblicare alla
piattaforma B un proprio bilancio del congresso. Per questo l’obiettivo di questo documento è stabilire i
punti centrali del bilancio della nostra piattaforma, in contrapposizione alla politica sostenuta dalla
Piattaforma A.

2. FASE PRE CONGRESSUALE

Nell’economia della nostra analisi riteniamo necessario presentare alcuni punti propedeutici al
ragionamento in modo da chiarire il metodo politico su cui si è costruito il partito e contro cui si è
costruita la nostra battaglia.

2.1. Una gestione antidemocratica delle relazioni e del dibattito interno.

La dinamica di relazioni interne tra la piattaforma A e la B sono per noi non semplici problemi di carattere
gestionale, ma il metodo attorno a cui si esplica una determinata impostazione politica.
Nella storia di dieci anni di questo partito nessuno in forma organizzata aveva costruito una piattaforma
congressuale che criticasse l'impianto complessivo dell'attuale gruppo dirigente (salvo una piccola
piattaforma di fatto riformista a cui si permise di parassitare il partito finché non se ne uscì per conto
suo!); tutte le critiche mosse nei congressi precedenti sono state essenzialmente di carattere tattico.
Vedendo minacciata la propria leadership politica, la piattaforma A ha deciso di adottare metodi
antidemocratici al fine di screditare e indebolire i militanti dell’opposizione.
Circa un anno e mezzo prima del IV Congresso, alcuni compagni di varie parti d’Italia (tra cui diversi
sostenitori della futura piattaforma B), si incontrarono in una riunione di discussione politica informale a
Roma, esprimendo posizioni eterogenee, ma tutte critiche nei confronti della linea politica del partito e
volte a formulare proposte pratiche di rilancio del partito. Il gruppo dirigente attaccò questi compagni al
fine di silenziare le loro critiche.
L'articolo 4.4 dello statuto del PCL – uno statuto scritto dagli stessi accusatori - sancisce la libertà dei suoi
militanti di vedersi e coordinarsi per discutere delle linee politiche e svilupparne una battaglia interna.
Nonostante sia formalmente garantita la libera discussione e il coordinamento dei militanti, la vecchia
maggioranza già identificava come un potenziale pericolo un gruppo di compagni che si riunivano per
discutere della linea politica della propria organizzazione. In particolare, si consumò ai danni di un
compagno (partecipante alla riunione e poi sostenitore della piattaforma B) una vergognosa campagna
diffamatoria culminata in un processo privo di prove in Comitato Centrale e in una condanna scritta per
“atti sessisti” nei confronti di una compagna – accusa che, se fosse stata credibile, avrebbe giustificato
ben di più di un richiamo, ma d’altronde lo scopo era quello di infangare la credibilità politica di costui, e
non altro, attraverso la violazione del suo profilo facebook, il furto e la diffusione alterata e “a regola
d’arte” di svariate conversazioni private - operazioni di cui non si conoscono precisamente tutti gli
esecutori materiali, ma nella quale sono implicati per loro stessa ammissione diversi militanti, coordinati
addirittura da un membro della Segreteria, i quali, nonostante le prove a loro sfavore, hanno tentato di
scaricare le colpe del furto di conversazioni su un compagno completamente estraneo alla vicenda.
Un’operazione di polizia politica segreta tollerata quando non esplicitamente appoggiata dal corpo
dirigente del partito.
Successivamente alla notizia di una possibile produzione di una piattaforma alternativa congressuale è
iniziata una campagna di attacchi diffusa nel partito contro i sostenitori della piattaforma B.
Se questa è la “comune tradizione leninista”, non è sicuramente la nostra.

2.2 Una struttura di partito senza verifica della militanza e dei tesseramenti
Il PCL costruito dal nucleo storico nasceva già con un'impostazione sbagliata. Nelle fasi iniziali della sua
costituzione prevedeva un tesseramento senza criteri di militanza delineati, con militanti e aderenti
considerati sullo stesso livello, con gli stessi diritti politici, e senza un sistema di autofinanziamento
garantito dai militanti stessi che permettesse all'organizzazione di avere una stabilità economica.
L’analisi proposta dalla piattaforma A ribadisce che il partito debba tenere due strutture di tesseramento:
militanti e aderenti, dove gli quest’ultimi hanno pieno accesso a ogni informazione interna del partito, pur
non avendo alcun dovere di attività e di sostegno economico allo stesso. Inoltre, considera una struttura
centralizzata come un “partito di comando” - citato letteralmente dai loro testi -, che deciderebbe sulla
base. Tra il secondo e terzo congresso fu inserita, poi, la doppia tessera con la differenza tra militante e
aderente. Tale distinzione fu la risultante di una mediazione tra i gruppi dirigenti della maggioranza
dell'attuale piattaforma A, tra chi sosteneva una concezione di partito largo, senza criteri militanti (il
gruppo influenzato dai dirigenti italiani del SUQI) e tra chi, proveniente da altre tradizioni, sosteneva un
impianto formalmente più centralizzato.
Questo blocco senza principi è alla base di tutti gli errori teorici, e di conseguenza pratici, dell'attuale
PCL. Lo stesso esito del IV Congresso è stato alterato da questa impostazione.
Il documento organizzativo della loro piattaforma afferma che il PCL è un partito prevalentemente
presente al centro-nord. Dai dati ufficiali congressuali, però, si evince che un terzo dei delegati al
congresso nazionale veniva dal sud Italia: una evidente contraddizione generata da metodi di
tesseramento profondamente diversi da sezione a sezione, con la tendenza, specie al sud, ad un
allargamento tendenzialmente senza limiti alla condizione di “militante”.
Nonostante la regola congressuale prevedesse si chiudessero i tesseramenti 3 mesi prima dello stesso,
diversi militanti, e addirittura alcune intere sezioni, hanno formalizzato il loro tesseramento dopo tale
scadenza. Nel sud Italia, in particolare, il partito ha vissuto un tracollo complessivo della militanza reale,
a fronte dell’espansione di quella formale.
In parecchie sezioni del partito si sono verificati casi di militanti tesserati all’ultimo momento o di
militanti “fantasma”, poco o per nulla presenti nell’attività di partito, accorsi a votare la piattaforma A
(spesso senza votare nemmeno un emendamento).
Un quadro complessivo che, quantomeno, getta seri dubbi sulla validità politica del IV Congresso.
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3. UN CONGRESSO CHE CONFERMA UNA POLITICA DI AUTOCONSERVAZIONE
3.1. Un partito non militante, una politica interclassista
La discussione congressuale ha confermato la linea politica del III Congresso, caratterizzata da una
progressiva sostituzione della centralità del movimento operaio con settori interclassisti, un’orientazione
che ha a fondamento l’idea astratta del “popolo della sinistra”. Confermando un asse analitico
sostanzialmente sovrastrutturale - in cui si evidenziano le dinamiche interne alla sinistra riformista
perlopiù borghese o piccoloborghese (PD, SEL-SI, populismo “partenopeo” etc,), e solo residualmente
quelle relative al movimento operaio -, il Quarto Congresso del PCL sancisce la trasformazione ufficiale
di tale organizzazione in un partito d’opinione e di mera adesione a principi generali, dedito a una
“propaganda combattiva” che non è chiara nemmeno a chi la vorrebbe attuare – la confusione tra
agitazione e propaganda nel partito è ancora molto diffusa, e nella fase congressuale alcuni militanti
hanno affermato che “oggi non possiamo fare agitazione”, mostrando di non essere stati minimamente
formati su questo concetto. IL PCL è descritto esattamente in questi termini dal documento politico
approvato. Una conseguenza logica per una piattaforma congressuale che giustifica le incapacità
soggettive con l’arretramento del movimento operaio e della lotta di classe, cancellando l’intervento di
agitazione e propaganda tra i lavoratori e la gioventù. La linea conferma l’intervento sui settori
simpatizzanti della sinistra riformista, perlopiù borghese e piccoloborghese, accreditandoli come
accreditandoli come centrali nel rilancio del PCL
Lenin conduce nel POSDR una dura lotta contro questa impostazione “Ma la coscienza dei dirigenti non
è all’altezza della spinta spontanea, vasta e potente; fra i socialdemocratici l’elemento predominante è
ormai costituito da militanti di un altro tipo che si sono formati quasi esclusivamente sulla letteratura
marxista "legale", tanto più insufficiente quanto più alta è la coscienza richiesta dalla spontaneità della
massa. Non solo i dirigenti sono in ritardo teoricamente ("libertà di critica") e praticamente
("primitivismo"), ma si sforzano di giustificare il proprio ritardo, con mille e un argomento altisonante.”
Lenin – Che fare.
Per un “partito di propaganda”, come descritto dal documento congressuale della A, la priorità dovrebbe
essere (anche) quella dell’elaborazione complessiva del proprio profilo politico, collegata alla formazione
e all’elaborazione teorica, culturale, scientifica, e dunque alla costruzione di un’ossatura di quadri
rivoluzionari. E’ la stessa piattaforma A ad ammettere, dopo dieci anni di vita di partito, di avere fallito in
questo compito e di non voler costruire una scuola quadri centralizzata nel metodo e nei contenuti.
Su questo punto il Congresso ha discusso in modo acceso. Sono state mosse critiche dure sul modello di
organizzazione che pensiamo sia necessaria. La natura politica centrista del gruppo dirigente della
piattaforma A si è palesata nella concezione espressa in sede di dibattito: un partito quadri fortemente
centralizzato e che non apra le porte dell’organizzazione a chiunque, così come proposto dalla piattaforma
B, è stato più volte definito “stalinista” da parte di diversi quadri politici della piattaforma A. Secondo tale
logica, lo stesso Programma di Transizione del 1938, documento fondativo della Quarta Internazionale,
sarebbe “stalinista” poiché prevedeva un periodo di candidatura (cioè di militanza senza diritti
decisionali) di tre anni per i nuovi iscritti non operai: "La IV Internazionale non intende affatto diventare
una specie di rifugio per invalidi rivoluzionari, burocrati o carrieristi delusi. Al contrario, sono
necessarie norme rigorose preventive [...]: un lungo periodo di candidatura per coloro che non sono
operai, soprattutto se si tratta di ex-burocrati, proibizione per costoro di assumere nel l'organizzazione
posti di responsabilità per i primi tre anni”.
Essi hanno chiarito dinanzi a tutto il partito che il proprio modello è quello di un partito facilmente
penetrabile, che sia a metà tra un partito quadri e uno di massa, facendo più volte riferimento al NPA
francese, la cui nascita sarebbe “la capitalizzazione delle nuove sedimentazioni d’avanguardia prodotte
dalle cicliche esplosioni di lotta”: in questo caso, vale precisamente la critica mossa in generale anche
dalla piattaforma C alla piattaforma A, cioè di un avvicinamento nelle posizioni politiche al SUQI, dato
che si vuole far passare come il frutto di un grande salto della lotta di classe in Francia quella che è stata
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una sostanzialmente manovra del SUQI francese (la vecchia LCR) all’insegna della politica dei “partiti
ampi anticapitalisti” dove diluire il proprio profilo politico, mettendo da parte qualsiasi strategia
rivoluzionaria, potendo così aggregare una platea più ampia di iscritti. In questo aspetto specifico si
spiega il perché della difesa del doppio tesseramento collegato a una mancata politica militante – a
riprova di ciò, in sede di aggiornamento dello Statuto è stato respinto un emendamento presentato dalla
piattaforma B che prevedeva un criterio minimo di militanza (in realtà molto lasso: almeno una presenza
ogni due mesi), a ennesima conferma del totale rigetto di una politica bolscevica da parte del gruppo
dirigente del partito.
L’impostazione da partito di opinione ha delle implicazioni pratiche devastanti nel percorso politico del
PCL. Riflette un profilo strategico che abbiamo il dovere di non sottovalutare.
3.2 Elettoralismo e sostegno alla (piccola)borghesia di sinistra alle elezioni. I documenti della
piattaforma A usciti vittoriosi dal IV Congresso, confermano l’appoggio del PCL alle liste della (piccola)
borghesia di sinistra. Citando a sproposito e strumentalmente le analisi di Lenin in “Estremismo, malattia
infantile del comunismo” sul voto critico alle socialdemocrazie (una tattica rivoluzionaria che serve a
sfidare e colpire nel fianco le dirigenze riformiste dinanzi alle proprie basi operaie), per giustificare la
propria capitolazione alla borghesia.
E’ successo alle elezioni regionali del 2015 in Campania, Veneto e Abruzzo, dove la segreteria dell’epoca
diede indicazione di voto alle sue sezioni per i candidati delle coalizioni liberali di sinistra (“liste Tsipras”
e Sinistra e Libertà). Un voto a gruppi dirigenti senza alcun legame con la classe operaia e senza un
programma operaio riformista. Così come nel 2011 nell’appoggio alle borghesie arancioni di Pisapia e De
Magistris, rispettivamente alle elezioni di Milano e Napoli. Un modus operandi che ricorda molto da
vicino quello del Partido Obrero in Argentina, (ex) partito fratello del PCL nel CRQI, e dei suoi partiti che
hanno chiamato a votare sia Lula che Morales nel corso degli ultimi venti anni. Alle elezioni greche,
questo partito centrista chiamò a votare Syriza, un partito neoriformista piccoloborghese senza relazioni
organiche con la classe operaia, e, cosa più grave, facendolo apertamente contro il suo partito fratello
(EEK), anch’esso presente alle elezioni in maniera indipendente. L’impostazione elettoralista del PCL si è
confermata anche nella sua presentazione elettorale ad ogni costo pure nel 2016, in particolar modo alle
elezioni di Portofino, un piccolo territorio borghese senza alcun peso nel conflitto di classe e nello
scenario politico nazionale.
3.3 Confermata la struttura federale e accresciuti i poteri della segreteria politica.
Un ulteriore elemento di scontro strategico tra le due piattaforme è stato su come si articola
l’organizzazione del partito. Le questioni organizzative non hanno un carattere autonomo, ma soltanto in
esse si rispecchia integralmente la posizione assunta rispetto al programma e alla tattica. Di pari passo con
la svolta verso il “popolo della sinistra”, il IV Congresso ha confermato la struttura federale. Sono stati
aumentati i poteri della Segreteria, rendendola un organo che decide al di sopra del Comitato Centrale (i
documenti del I Congresso del PCL affermavano tale organo, esautorando l’organo sovrano del Comitato
Centrale, fosse incompatibile con la tradizione marxista rivoluzionaria). Allo stesso tempo, nella logica
del “partito-dibattito”, sono stati aumentati i compiti di supervisione e gestione della politica di partito
affidati ai coordinamenti regionali, rendendo di fatto il PCL un partito di federazioni regionali, un
coordinamento tra più partiti locali politicamente autonomi, che gestiscono indipendentemente gran parte
delle proprie risorse finanziarie, versandone solo una percentuale minoritaria alla cassa del CC, e che su
punti generici aderiscono formalmente all’organizzazione.
L’esistenza di tante casse locali è il segnale politico chiaro dell’esistenza di diversi partiti, perché la cassa
è uno degli aspetti centrali per la sopravvivenza di un’organizzazione. La sua costituzione è a tutti gli
effetti un atto politico. Nel PCL esiste una cassa centrale soltanto parziale e tante casse locali del tutto
indipendenti dal centro del partito. Questo ulteriore consolidamento del federalismo stimola una
differenziazione progressiva di programmi con interventi differenti locali, talvolta in contraddizione gli
uni con gli altri.
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Il Comitato Centrale, già divenuto nel tempo poco più che un’appendice della Segreteria politica,
diminuisce il numero di commissioni al suo interno, rendendosi inefficace e completamente subalterno
alle decisioni della Segreteria stessa.
Le commissioni del CC, infatti, nonostante il III Congresso avesse loro dato potere decisionale
sull’ambito d’intervento specifico di cui si occupano, sono state esautorate dalle loro funzioni.
Col IV Congresso l’impostazione lassa, non militante, è stata confermata, ma con un ulteriore elemento
bonapartista di cancellazione dei poteri del CC.
3.5 Un intervento opportunista e settario nel movimento operaio, tra i giovani e nel movimento
femminile
Nel movimento operaio Il gruppo dirigente della piattaforma A intende il proprio intervento come una
strategia di occupazione di posizioni nei posti dirigenti dei sindacati maggioritari. La battaglia condotta in
CGIL, infatti, si limita a un piano di discussione ed elaborazione di critica alle burocrazie. Non si utilizza,
al contrario, il sindacato per entrare nei luoghi di lavoro e costruire la battaglia alle burocrazie attraverso
le assemblee, picchetti e la lotta di classe, ma si preferisce una discussione contro Camusso, Landini e il
loro apparato. Stesso discorso per l’atteggiamento dei suoi militanti nel sindacalismo extraconfederale: la
prassi più diffusa è quella di una militanza sindacale “semplice”, senza alcuna seria battaglia contro le
burocrazie e senza alcuna attività volta a organizzarsi in modo centralizzato come comunisti operanti nei
sindacati, a organizzare e a collegare i lavoratori in lotta aldilà degli steccati sindacali, a conquistare le
avanguardie al marxismo rivoluzionario. Lo dimostra platealmente il fatto che a guidare la battaglia
dentro USB contro la firma del Testo Unico sulla Rappresentanza non furono i militanti del PCL, ma
settori bordighisti e dirigenti (spesso già vicini o interni alla cupola della Rete dei Comunisti) che
perlopiù sono poi usciti per aderire al SI Cobas o per fondare e dirigere SGB.
Questa impostazione, oltre a dare una centralità d’intervento su un sindacato rispetto ad un altro,
precludendosi un lavoro politico anche in aziende dove la CGIL non è il primo riferimento per iscritti,
pone limiti anche di carattere formativo dei militanti del Partito stesso. Analizzando i documenti prodotti
dall’area de “Il Sindacato è un’altra cosa” - la cui la dirigenza è in parte formata da quadri nazionali della
piattaforma A - si evince il taglio di questi sia economicista e tradeunionista. Cioè: per la sua stessa
impostazione politica, il gruppo dirigente del PCL non forma rivoluzionari che intervengono nel
sindacato, al contrario si circonda di sindacalisti che fanno riferimento ai dirigenti del Partito. Questo
atteggiamento politico è foriero di errate concezioni d’intervento e forma un apparato di militanti legati
alla figura carismatica di un leader o di un rappresentante sindacale. Abbassa il programma della
rivoluzione a quello delle rivendicazioni economiche.
Al contrario, invece, la proposta della piattaforma B è stata sempre quella di conquistare le avanguardie
combattive del movimento operaio al programma transitorio. In termini espliciti, questo si traduce con la
formazione di tendenze e frazioni rivoluzionarie programmatiche nel movimento operaio, in
iniziative pubbliche di dibattito sulle questioni del lavoro, di momenti di agitazione agli scioperi dei
lavoratori fuori i cancelli delle fabbriche, di proposta di costruzione di una piattaforma intersindacale
dei settori d’avanguardia del mondo del lavoro (non delle sue dirigenze formali). In termini ancor più
specifici, la piattaforma B ha proposto d’intervenire nell’attuale fase nel settore dei lavoratori immigrati,
organizzati principalmente nel settore della logistica, con decine di migliaia di lavoratori sindacalizzati,
che esprime da anni un’avanguardia di lotta, che non scende a compromessi con la burocrazia sindacale
confederale e coi padroni L’intervento in questo ambito, effettuato con posizioni rivoluzionarie e col
metodo dell’agit-prop costruito attorno a un vero giornale, avrebbe una duplice valenza politica: 1) di
presentazione del programma transitorio e di lotta per il fronte unico operaio per smascherare le
burocrazie sindacali; 2) di contrasto alla deriva populista e reazionaria che attraversa l’Italia.
Questo metodo nel PCL è oggi non soltanto cancellato, ma attaccato dal IV Congresso e bollato come una
“torsione minoritaria”, avventurista, avanguardista e settaria.
Al contrario, rinnegare tale tipo di lavoro significa non voler sedimentare l’unità tra i rivoluzionari e il
movimento operaio. E’ una chiara autocentratura di un gruppo interessato al mero dibattito politico
piuttosto che al lavoro per prendere la direzione del movimento. E’ una concezione di chi esclude
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l’importanza della costruzione soggettiva nelle fasi non rivoluzionarie - elemento cardine di tutta la teoria
di Lenin sul perché del Partito - aspettando di farlo durante le fasi di esplosione del conflitto di classe.
Nel movimento studentesco il gruppo dirigente conferma il proprio miopismo politico, frutto della
mancata esperienza d’intervento in tale settore e di un approccio distorto ai classici del marxismo.
Nonostante la Conferenza studentesca nazionale dei giovani del Partito avesse deciso un intervento di
Tendenza tra gli studenti - senza una sovrapposizione tra le due strutture - il documento congressuale
proposto dalla piattaforma A ribalta tale decisione e propone di tenere in forma organica l’intervento del
Partito e della Tendenza, pretendendo in pratica che gli studenti del PCL intervengano pressoché
contemporaneamente come CSR e come PCL. Inoltre, propone l’autocentratura del PCL nel movimento
stesso. Un errore grossolano, perché l’ambito di autorganizzazione della vita delle masse studentesche
non è il partito, ma le sue forme di organizzazione vertenziale, sui bisogni economici e di socialità,
ovvero collettivi, strutture sindacali e associazioni.
I militanti giovani della piattaforma A, di fronte al nuovo compito di costruzione di una tendenza interna
al movimento, hanno spesso scelto invece l’intervento effettuato esclusivamente come partito,
presentandosi sotto le insegne del PCL in tutti i casi e a ogni costo – oppure non conducendo nessuna
attività, né di partito né di tendenza, dedicando ad altre attività le proprie energie. Tale impostazione non
ha portato, e non porterà mai, alcun risultato. Ha stabilito un atteggiamento equivoco dell’intervento
politico e ha anche confermato un’impostazione autocentrata su di sé, piuttosto che sul programma
transitorio, dando una caratterizzazione da setta al partito.
E’ il rischio reale che si corre quando in maniera astratta si propone l’adesione alla gioventù tra le sue fila,
senza partire dai suoi bisogni concreti, dalle sue lotte, senza formare quadri nel movimento studentesco e
giovanile. Una metodologia di adesione senza il principio del dibattito e della formazione della gioventù;
una caratterizzazione che non favorisce l’autorganizzazione del movimento studentesco e la conseguente
adesione militante al partito su basi ragionate.
L’impostazione del gruppo dirigente della piattaforma A nelle lotte della scuola conferma una
caratterizzazione perdente, in quanto nonostante vi siano dei legami col movimento dei docenti dei
militanti del PCL, non viene favorita la costruzione di una piattaforma tra studenti e professori o di un
lavoro organico di questi settori all’interno dello stesso Partito.
I militanti della Piattaforma B hanno negli ultimi anni organizzato un importante intervento in questo
settore, raccogliendo dietro di sé nel complesso migliaia di studenti – in particolar modo a Napoli –,
facendo iniziative pubbliche, volantinaggi e organizzando un settore importante di gioventù a partire dalla
propria presenza in prima linea nelle lotte del movimento a nome del CSR. Per questo, il metodo politico
che abbiamo sempre sostenuto è stato quello di costruire una corrente rivoluzionaria nel complesso del
movimento stesso, senza anteporre la propria soggettività alle stesse avanguardie degli studenti. Proprio
perché pensiamo che uno dei compiti principali della IV Internazionale sia porre particolare attenzione
alle lotte della gioventù e della nuova generazione del proletariato internazionale. Per questo abbiamo
contributo a costruire il Coordinamento Studentesco Rivoluzionario, così come stabilito dalla Conferenza
giovanile di partito del 2015, volto ad favorire l’aggregazione di studenti esterni al partito attorno a un
programma transitorio, in una tendenza indipendente dallo stesso.
Nel movimento femminile il IV Congresso stabilisce una posizione interclassista sulla questione,
equiparando l’oppressione di genere tra donna proletaria e donna borghese, dando centralità alla lotta nel
campo delle idee, piuttosto che in quello delle condizioni di classe. Se è vero che le forme di maschilismo
sono trasversali alle classi, per cui anche le donne borghesi possono ricevere in una certa misura tale
discriminazione, è altresì vero che sono intrinseche alla struttura familiare che regge la proprietà privata e
il capitalismo stesso. E’, dunque, soltanto attraverso la lotta per l’emancipazione delle operaie che può
esservi anche emancipazione dal maschilismo, sovrastruttura figlia della società patriarcale.
Già Marx sulle questioni di oppressione di genere, etnica, ecc., ribadisce ne “Il Manifesto del Partito
Comunista”, primo programma transitorio della Storia, che la classe operaia liberando se stessa libera
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tutta l’umanità e cioè anche la stessa classe borghese dalla competizione del mercato capitalistico e dalla
sua morale bigotta.
La capitalista opprime e sfrutta le operaie della sua azienda. Non sono accomunate la sua condizione di
donna e quella delle operaie salariate della sua azienda. La donna imprenditrice non è costretta a 8 ore di
lavoro sulla catena di montaggio. Le donne operaie, oltre al lavoro usurante in fabbrica, sono costrette
anche al lavoro domestico. La donna imprenditrice sfrutta in casa donne lavoratrici come cameriere. Non
può esserci nessuna simmetria tra oppressori (le donne borghesi) e oppressi (le donne proletarie).
Ogni allontanamento da questo orizzonte analitico si pone nel campo della borghesia.
La posizione della piattaforma A stabilisce una posizione codista alle direzioni riformiste e liberali di
NiUnaMenos, i cui segnali già si presentarono nel comitato centrale di ottobre antecedente al congresso. I
più importanti dirigenti che si occupano oggi nel Partito dell’intervento nel mondo femminile avanzarono
l’ipotesi che non stesse per scoppiare alcun movimento di massa anche in Italia. Ancora oggi, nonostante
le dimostrazioni di forza della piazza e del movimento delle donne, tendono a sminuire il peso politico
che tale movimento può rappresentare nella dinamica dei rapporti di forza tra Capitale e Lavoro. E’ una
impostazione ideologica, cioè di falsa coscienza, che serve a giustificare le proprie inadeguatezze
politiche e la volontà di evitare il campo della battaglia.
La condotta reale post-congresso della piattaforma A si sta di fatto opponendo alla costruzione rapida di
una tendenza femminile rivoluzionaria all’interno di questo movimento di massa scoppiato nel mondo,
così come in Italia, limitandosi agli sterili rapporti con le piccole realtà riformiste, che hanno messo per
ora il cappello politico sul movimento, e che non hanno alcun atteggiamento democratico tale da poter
accettare una politica di reale fronte unico.
E’ la scelta da parte dei dirigenti della piattaforma A di non costruire una battaglia dal profilo strategico
nel movimento. E’ la rinuncia alla presentazione del programma transitorio, della rivoluzione comunista,
del legame tra i diritti delle donne e l’emancipazione della classe lavoratrice dal capitalismo. Una
posizione anche qui opportunista che non osa lanciare una sfida alle direzioni riformiste e centriste del
movimento e a impegnarsi a fondo per dare un’alternativa politica rivoluzionaria al movimento nel suo
complesso. La piattaforma B, al contrario, parte dal presupposto classista per costruire una proposta nel
movimento femminile di carattere anticapitalista, rivoluzionario, che rivendichi a viso aperto l’assunto
teorico che la donna potrà liberarsi dall’uomo solo se entrambi si liberano dalla schiavitù del lavoro
salariato e dallo sfruttamento capitalistico. Per farlo propone di costruire una tendenza rivoluzionaria, che
non si limiti al dibattito coi gruppi antidemocratici del movimento NiUnaMenos, ma che costruisca tra le
donne lavoratrici e tra le studentesse il suo baricentro d’intervento.
4. L’INTERNAZIONALISMO DELLA PIATTAFORMA A: UNO ZIG-ZAG INCONCLUDENTE
CHE DISTORCE LA POLITICA DI COSTRUZIONE DELL’INTERNAZIONALE OPERAIA
RIVOLUZIONARIA
4.1 Un dibattito congressuale fallimentare
Il dibattito congressuale, anche nella sua parte internazionale, ha mostrato profonde lacune concettuali e
politiche in generale: a partire dal documento internazionale della maggioranza uscente (non molto
diversamente dal documento politico), la discussione non ha prodotto un’analisi approfondita della
situazione economica mondiale e in particolare delle situazioni economiche politiche di intere aree
geografiche, concentrandosi sullo stato politico ed economico della Cina. La mancanza di nodi e compiti
politici immediati sul piano internazionale avrebbe dovuto permettere un dibattito più franco e
approfondito a proposito del CRQI e del raggruppamento rivoluzionario, ma anche qui abbiamo registrato
un’impreparazione e una povertà di argomenti disarmante, arrivando addirittura ad assumere un identico
vago giudizio per FT, LIT e UIT. Queste organizzazioni non possono essere poste sullo stesso identico
piano: hanno una dimensione e un’influenza sulle avanguardie di classe anche molto diversa, e si sono
caratterizzate per linee politiche diverse sulle principali questioni politiche internazionali degli ultimi
tempi, per quanto riguarda il Brasile, il Venezuela, la Siria, l’Egitto, l’Ucraina ecc. Sostanzialmente, si
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paragona chi ha superato le tare storiche della corrente “trotskista” fondata dal dirigente della Quarta
Internazionale Nahuel Moreno (il “morenismo”), cioè la FT (Frazione Trotskista) a chi invece rivendica
pienamente tale tradizione (la LIT, Lega Internazionale dei Lavoratori, e la UIT, Unione Internazionale
dei Lavoratori). Si è dunque fatto un passo indietro rispetto al documento votato dal Comitato Centrale
dello scorso maggio, arrivando al paradosso per cui a tali soggetti si riconosce semplicemente una linea
“classista”, ma ci si lamenta del fatto che non si siano già fusi col PO e col CRQI – e al contempo si
argomenta (giustamente) che non si può può esaurirsi nella prospettiva di “fronti strategici” con i soggetti
centristi: infatti ci si auspica direttamente la fusione con tali soggetti – cosa che potrebbe avvenire anche
oggi, se si trattasse solo di sottoscrivere i quattro punti fondativi del CRQI, e che nel 2004 fu rifiutata dal
CRQI stesso (dirigenti italiani compresi) nei confronti della FT, che ovviamente non aveva alcun
problema a sottoscrivere tali punti. Un cortocircuito logico sintomo della mancanza di un metodo
coerente di analisi e di costruzione.
Sul piano pratico, siamo usciti dal congresso ribadendo una linea di raggruppamento astratta e parolaia,
che non fa alcun bilancio critico della genesi del CRQI, ma che al contrario ne replica le tare, con la quale
vorremmo interfacciarci con realtà, come la FT e la sinistra del Segretariato Unificato – Quarta
Internazionale (SUQI) che, al contrario del PCL, rivendicano percorsi di raggruppamento a partire da una
convergenza politica concreta, sperimentata nell’intervento nella classe e nella prassi, che punti alla
costruzione di reali partiti rivoluzionari: in questo senso, va chiarito una volta per tutte che, aldilà del
nome che un gruppo si può dare, un partito dell’avanguardia di classe, per considerarsi tale, dovrebbe
avere un radicamento significativo e riconosciuto, appunto, nell’avanguardia di classe del proprio paese e
nelle sue lotte. Cosa che, con i suoi numeri modestissimi e la sua assenza da settori strategici del conflitto
di classe in Italia, il PCL non può vantare.
4.2 Salvare il CRQI? Mito e realtà
Significativo è il messaggio costituente il saluto del DIP (sezione turca del CRQI) al quarto congresso del
PCL, dove afferma con grande sprezzo del reale che il CRQI sarebbe stato il solo e unico ad avere tratto
(non solo sul momento, ma anche negli anni seguenti) un corretto bilancio marxista del ciclo
controrivoluzionario mondiale legato alla caduta dell’URSS, così come falsamente rivendica un’identità
di vedute del CRQI sulla ribellione che ha portato alla caduta di Gheddafi in Libia (il PCL appoggiò
inizialmente la ribellione, a contrario del DIP). Il DIP insomma conferma la posa settaria per cui, al di
fuori del CRQI stesso, sostanzialmente nessuno ha avanzato una corretta analisi del capitalismo della
nuova fase post-crisi 2007-8, e quindi non si trovano ad oggi forze politiche trotskiste vere e proprie. Un
ragionamento ripreso, anche se più velatamente, dal compagno Ferrando, portavoce della Piattaforma A,
nel suo messaggio di saluto al recente congresso del DIP, dove “la comune politica rivoluzionaria su tutte
le scelte fondamentali” (che purtroppo non esiste, vedi sopra caso libico, vedi questione ucraina con
posizioni semi-campiste dell’EEK (sezione greca del CRQI), vedi questione siriana dove c’è la più totale
e anarchica moltiplicazione di analisi e prese di posizione separate, e vedi la polemica pubblica come al
solito vistosa del Partido Obrero contro l’EEK perché non aveva dato indicazione di voto all’elezione che
incoronò Tsipras premier greco) “ha segnato di fatto la linea di demarcazione del CRQI dal centrismo e
riformismo internazionale, in tutte le loro articolazioni”. Dunque, il CRQI (e solo il CRQI) grazie alla sua
comune linea politica rivoluzionaria (che tecnicamente in realtà non esiste, dato che non c’è nemmeno un
minimo corpo dirigente del CRQI a elaborarla) si distinguerebbe da tutte le altre organizzazioni che,
evidentemente, nel caso migliore sono “centriste”. Una concezione che cozza con le posizioni espresse da
Grisolia e Ferrando a seguito della pubblicazione della piattaforma di apertura della battaglia
congressuale della “sinistra” del SUQI: per la piattaforma A, questi compagni sarebbero passati
ultimamente dal campo del centrismo a quello del“trotskismo conseguente” dopo aver scritto un solo
documento di battaglia politica, le cui posizioni peraltro saranno tutte da verificare nella pratica, così
come andrà verificata l’effettiva rottura con l’eredità politica del Segretariato, ad oggi assolutamente non
avvenuta. Un concetto, quello della verifica del proprio “trotskismo conseguente” nella pratica che
d’altronde manca proprio a partire dal PCL, dal reclutamento e dalla (mancata) formazione dei suoi
militanti alla mancata costruzione internazionalista. Un concetto che è venuto a mancare a tutto il CRQI
quando ha limitato il terreno del suo raggruppamento a quanto punti politici generali, che non si
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esprimevano minimamente sui compiti programmatici concreti, legati al fatto che si vive in una fase
concreta della storia e non in un’altra, e che non individuavano alcun criterio di analisi, di intervento
politico e di organizzazione. Un approccio che, al contrario di quello che Grisolia e Ferrando vanno
affermando da anni, non è assolutamente lo stesso di quello della Terza e della Quarta Internazionale –
basta leggere i rispettivi testi con i criteri fondativi di delimitazione per verificarlo. La realtà cruda dei
fatti è che i partiti che compongono il CRQI hanno utilizzato per un ventennio tale “coordinamento” per
coprire la propria politica “nazional-trotskista”, basata su relazioni diplomatiche e patti federativi
completamente opposti a una politica internazionalista e centralizzata, degna di partiti rivoluzionari. A
partire questo impianto federalista di fondo, il PCL ha sviluppato una politica opportunista di apertura di
molteplici fronti di interlocuzione con soggetti molto diversi, nella speranza di trovare in tempi brevi un
appiglio per sopravvivere alla dissoluzione del CRQI: agita contro la piattaforma B la possibilità di non si
sa quale battaglia politica nel CRQI (di sicuro, una cosa di cui i dirigenti del nostro partito non hanno
grande esperienza, dati i movimenti passati che a tutto assomigliano tranne che a una seria battaglia
politica nel CRQI); apre contemporaneamente un canale preferenziale con la Sinistra del SUQI e con
Sinistra Anticapitalista, sezione italiana del SUQI stesso (che ha mandato ben due oratori all’ultimo
congresso del PCL), con la quale ha condiviso il posizionamento all’opposizione CGIL. Il tutto, senza
aver tirato un bilancio del fallimento e dell’inconsistenza della propria strategia di “raggruppamento
rivoluzionario”.

Frazione Internazionalista Rivoluzionaria - Opposizione di sinistra nel PCL

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