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PARTITO DELLE AZIENDE, LOTTA PER IL POTERE, POPULISMO ALL'ITALIANA

(10 Aprile 2017)

Si sta definendo con maggiore chiarezza il quadro politico italiano in vista delle prossime scadenze:

1) Il Movimento 5 Stelle esce definitivamente dall’equivoco di essere considerato un partito (o movimento) di stampo populista. Si è aperta, al suo interno, una lotta “classica” tra governo o non governo e soprattutto se n’è evidenziata la struttura da “partito delle aziende” (naturalmente “pigliatutti”: chi dedica a questa variante pagine di giornali le dedica semplicemente alla scoperta dell’acqua calda). “Partito delle aziende” omaggiato dai poteri più o meno forti. Soprattutto da quei poteri, come quelli collocati nel campo dei media, che abbisognano di accreditamento politico. In ogni caso chi pensa di aver rivolto la propria attenzione in un senso, per così dire, “antisistema” (semplifico, ovviamente) dovrebbe rendersi conto di aver sbagliato indirizzo;

2) Il resto del “populismo all’italiana” si sta accoccolando ai piedi di un altro pezzo di potere costituito: quello del prototipo – a suo tempo – del “partito – azienda”. Troppi interessi in ballo nella patria del “conflitto” tra questi e non certo del “conflitto sociale”. Quindi “parole grosse” e accomodamenti elettoralistici all’ombra di chi dispone davvero di mezzi e di accreditamento;

3) Rimane il PD: prototipo di un’altra variante di soggetto politico specifico dell’anomala vicenda italiana. Quello del “senza sinistra e senza popolo” che, in soldoni, descrive Luca Ricolfi nel suo ultimo, interessante, “Sinistra e Popolo”. Arriveranno anche un po’ di voti ma la strutturazione sbagliata in partenza di questo PD impedirà comunque di svolgere la funzione pensata di “Partito della Nazione” e di soggetto pivotale del sistema, essendo ormai saltata (se mai ce ne fosse stata la possibilità) la “vocazione maggioritaria”;

4) In conclusione un sistema politico che presenta vuoti nei quali sia una sinistra riformista sia una sinistra “radicale” (uso per comodità proprio le definizioni di Ricolfi anche se le cose non stanno proprio così) non riescono a riempire neppure minimamente. Dove finirà allora il risentimento di cui scrive Revelli (pensandolo indirizzato verso un populismo che invece non c’è)? E’ questa la grande incognita nell’immediato futuro: incognita che dovrà essere confrontata soprattutto con i venti di guerra che spirano a livello globale e che rappresentano la priorità assoluta. La risposta rimane comunque sospesa.

5) Sarebbe quindi il caso di rifletterci meglio proprio perché la prima cosa che manca è l’analisi sulla base della quale sviluppare un minimo di progettualità politica alternativa. Intanto stabiliamo un altro punto: quello della società del futuro fondata sulla tecnologia della rete e sulla liquidità dei rapporti sociali per adesso è una bufala. Siamo di fronte a due fattori inequivocabili: la materialità della geopolitica e della logica degli spazi vitali e del potere sulle fonti di energie e l’allargamento smisurato, a tutti i livelli, di dinamiche di sfruttamento che fanno pensare piuttosto alla prima rivoluzione industriale che a un ipotetico domani “liberato” dal lavoro. Tutto questo se pensiamo in termini di “mondo” (Arrighi, Wallerstein) e non di orticelli separati. A questo livello davvero il tanto omaggiato convegno di Ivrea è davvero poca cosa e i populisti nostrani i soliti mendicanti di voti

Franco Astengo

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