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(6 Novembre 2010) Enzo Apicella
Esplode la Eureco di Paderno Dugnano: sette operai feriti, quattro rischiano la vita. In Puglia tre morti sul lavoro nell'ultima settimana

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1° Maggio
La lotta per l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua

La classe operaia deve ancora liberarsi dalle catene, prendere in mano il proprio destino, costruire il proprio futuro e il partito comunista per il cambiamento del sistema capitalista

(20 Aprile 2017)

Da “nuova unità”

Ormai da anni il 1° Maggio - giornata internazionale di lotta del proletariato e degli sfruttati di tutto il mondo, occasione di scioperi, manifestazioni e proteste contro lo sfruttamento capitalista - è stato snaturato dai sindacati di regime e trasformato in una giornata di festa.
I supermercati e i grandi magazzini rimangono aperti e i dipendenti restano reclusi. I sindacati confederali festeggiano con concerti e una manifestazione nazionale all’insegna del pacifismo, dell’unità nazionale, del nazionalismo a sostegno dell’imperialismo italiano, la chiesa celebra San Giuseppe falegname.
In ogni caso in Italia, come in tante parti del mondo, migliaia di operai e proletari insieme a compagni rivoluzionari, comunisti, anarchici, sindacati di base, scendono nelle piazze sulla base dell'internazionalismo e della solidarietà di classe.
Il 1° Maggio i rivoluzionari di tutto il mondo ricordano che la storica conquista delle 8 ore fu un importante passo sulla strada dell’emancipazione operaia e che nel 1886 fu bagnata dal sangue proletario degli operai statunitensi, e che la lotta contro l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua.
La lotta per le otto ore fu la prima lotta mondiale di un proletariato che si riconosceva come classe internazionale. Il 1° Maggio gli operai scioperavano e scendevano in piazza, nelle strade, si radunavano in conferenze e assemblee per dimostrare l’unità degli sfruttati, la solidarietà internazionale, riconoscendosi come classe con gli stessi interessi.
Oggi, dopo 131 anni, lo slogan: 8 ore per lavorare, 8 ore per dormire e 8 ore per educarci, o 8 ore per fare quello che mi pare (quest'ultimo usato in polemica contro chi sosteneva che la riduzione della giornata lavorativa avrebbe portato ad una maggiore ‘dissolutezza’) è ancora attuale. Gli sviluppi della scienza e della tecnica renderebbero possibile un’altra notevole riduzione d’orario, ma oggi persino la “storica” conquista delle 8 ore è messa in discussione e vanificata dalla “modernità” del capitalismo e dalla flessibilità della giornata lavorativa.
Nonostante la crisi, le fabbriche chiuse, gli operai licenziati o in cassa integrazione i padroni e i governi, nella difesa strenua del profitto costringono i lavoratori a lavorare sempre di più e, come si vede dalla tabella che riportiamo, i lavoratori italiani sono quelli che in Europa lavorano di più con salari sempre più bassi.


1) Italia ore lavorate 1.734
2) Giappone 1.729
3) Spagna 1.689
4) Regno Unito 1.677
5) Finlandia 1.645
6) Francia 1.473
7) Germania 1.371
(Ore annue lavorate in diversi paesi, dati OCSE 2014)

Nel “moderno” sistema capitalista lo sviluppo del macchinario, il mezzo che accorcia il tempo di lavoro, l'informatica e la robotica si trasformano per l’operaio in maggiore tempo di vita disponibile per la valorizzazione del capitale. La maggiore introduzione dei robot sostituirà sempre più la manodopera aumentando la disoccupazione e il conseguente impoverimento. I mezzi che potrebbero essere usati per alleviare la fatica e per accorciare la giornata lavorativa si trasformano nel loro contrario e diventano una potente arma del capitale per impedire eventuali ribellioni operaie e scioperi.

La parola d’ordine che portò alla conquista legale delle 8 ore e all’unità del proletariato internazionale nella lotta contro il capitale recitava: “l’offesa verso uno riguarda tutti” e si basava sul principio della solidarietà di classe senza tenere conto della qualifica, della nazionalità o della “razza”.
Il contrario di quello che succede oggi, dove il proletario immigrato, lo “straniero” e l’operaio italiano diventano “concorrenti” e “nemici”.
Il razzismo, fomentato da chi ha interesse ad acuire la concorrenza fra lavoratori mettendo i proletari gli uni contro gli altri, serve solo ad alimentare guerre fra po-veri, abbassare i diritti e il salario a tutti a tutto vantaggio dei capitalisti.
Il lavoratore italiano non potrà mai emanciparsi in un paese dove la concorrenza e lo sfruttamento considerano normale far lavorare come schiavi gli immigrati e dove il numero dei disoccupati aumenta a dismisura, in particolare fra i giovani e le donne.

L’Italia è il Paese europeo con il numero più elevato di persone che vivono in "gravi privazioni materiali", secondo la definizione di “povertà” dell’Eurostat.
Sono 41,092 milioni i poveri in Europa, di cui 6,982 milioni in Italia. Si tratta di persone che non possono affrontare una spesa inaspettata, il dentista, permettersi un pasto a base di carne ogni due giorni o tre giorni, mantenere una casa, fare una vita decente.
Di questi un milione e 470mila famiglie residenti in Italia vivono in condizioni di assoluta povertà, cioè 4 milioni e 102mila persone pari al 6,8 dell’intera popolazione.

La “modernità” del capitalismo si vede anche dai dati de-gli infortuni e dei morti sul lavoro, un vero e proprio bollettino di guerra. Nel 2016 i morti sul lavoro sono stati, secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna, 641 e, se si considerano i morti sulle strade e in itinere, oltre 1400: si tratta di una stima minima, per l’impossibilità di conteggiare le morti in itinere delle partite IVA individuali, di coloro che lavorano in “nero” e di altre innumerevoli posizioni lavorative, dato che solo una parte degli oltre 6 milioni di partite IVA individuali sono assicurate all’INAIL.
Attraverso il nazionalismo, il localismo, il razzismo, i borghesi e i partiti al loro servizio alimentano divisione e concorrenza fra lavoratori.
L’Italia è presente ed è coinvolta in decine di guerre imperialiste nascoste dietro il nome di “missioni umanitarie”. Con le guerre le industrie multinazionali legate alla produzione di materiale bellico - industria definita pilastro dal ministro Pinotti -, il capitale finanziario, le banche, gli speculatori fanno soldi a palate sui cada-veri insanguinati dei proletari, uomini, donne e bambini e dei popoli del mondo. Intanto nei paesi imperialisti i proletari e le masse popolari vedono le loro condizioni di vita e di lavoro peggiorare inesorabilmente e costantemente.
La storia insegna che senza una teoria rivoluzionaria non è possibile nessun movimento rivoluzionario e oggi la borghesia ha concentrato la sua offensiva proprio su questo.
Dopo la sconfitta momentanea delle rivoluzioni proletarie, la borghesia ha cominciato un’opera di smantellamento, revisione e cancellazione della teoria marxista-lenista dello Stato e dell’analisi delle classi sociali.
Ormai da anni è cambiato anche il lessico comune. Le pa-role padroni e operai – borghesi e proletari – sono state sostituite da “datori di lavoro” e “risorse umane”. Le guerre imperialiste e di rapina sono chiamate “missioni di pace”.
L’imperialismo, dopo aver affossato temporaneamente il socialismo, agisce ormai senza freni. La brutalità del sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo si abbatte contro chiunque ostacoli i suoi interessi per sottomettere ancora di più la classe proletaria, nel tentativo di cancellare la sua memoria storica
La storia e la realtà di ogni giorno dimostrano che il lavoratore isolato come “libero” venditore della propria forza-lavoro è alla completa mercé del padrone.
La conquista della giornata lavorativa di 8 ore è stata ottenuta perché è diventata una rivendicazione di tutto il proletariato internazionale che ha lottato non solo contro il singolo padrone ma contro lo Stato rappresentante dell’intera classe capitalista, cioè di coloro che possiedono tutti i mezzi di produzione.
La lotta contro lo sfruttamento e la conquista delle otto ore è stata il risultato di una guerra civile fra la classe capitalista e quella operaia. Una lotta a volte latente e lenta, a volte pacifica e in alcuni momenti violenta, nella quale il movimento operaio e proletario si è presentato e imposto sulla scena politica come un’unica classe internazionale con gli stessi interessi. Sebbene la Costituzione della Repubblica Italiana formalmente stabilisca l’uguaglianza dei diritti fra padroni e operai, come sempre succede, fra diritti apparentemente uguali vince chi ha dalla sua la forza del potere economico, politico, istituzionale, militare: in una parola, lo Stato borghese.
In mancanza di un combattivo movimento operaio, unito e organizzato che costringa lo Stato (in quanto capitalista collettivo) a obbligare i singoli padroni a mettere un argine sia alle condizioni di sfruttamento nei luoghi di lavoro, sia alle continue delocalizzazioni produttive e spostamenti delle sedi legali delle imprese all'estero, l’unico diritto realmente riconosciuto da questa società è quello al profitto a scapito di tutti gli altri. Senza una propria organizzazione, il proletariato è legato al carro della borghesia imperialista e la classe operaia senza una sua organizzazione, come un gregge di pecore, è condotto al macello.
Il proletariato è una classe internazionale e l’emancipazione della classe operaia, l’unica classe che, liberando se stessa libera tutta l’umanità, si può ottenere solo con il proletariato organizzato nel suo partito. Un partito operaio rivoluzionario, comunista che, conquistando il potere politico, espropria la classe dei capitalisti e si appropria dei mezzi di produzione. Un partito che distrugge la dittatura del capitale e della borghesia imperialista e instaura la democrazia operaia, la dittatura del proletariato in un sistema socialista dove si produce per soddisfare i bisogni degli esseri umani e dove lo sfruttamento capitalista è considerato un crimine contro l’umanità.
È giunto il momento in cui la classe operaia, per liberarsi dalle sue catene, deve smettere di delegare agli intellettuali borghesi di “sinistra” o ad altri il proprio futuro e la costruzione del suo partito ma sia lei stessa l’artefice del proprio destino.

Michele Michelino

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