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PRIMO MAGGIO 1947: SETTANT'ANNI FA LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA

(27 Aprile 2017)

strage portella della ginestra

1 Maggio 2017 – 1 Maggio 1947 sono passati settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra, uno dei momenti – chiave delle lotte popolari nell’immediato dopoguerra.
Una strage il cui ricordo rimane intatto a distanza di tanti anni nel segno della sopraffazione violenta delle istanze di libertà, giustizia, equità, progresso portate avanti dai lavoratori italiani e dalle sue organizzazioni politiche e sindacali negli anni difficili dell’immediato dopoguerra.
Quei giorni della primavera del 1947 erano stati contrassegnati dall’inasprirsi delle lotte sociali in una fase di forte difficoltà economica, di disoccupazione, di carenza di materie prime e di indispensabili generi di prima necessità in clima complessivo di tensione e di scontro politico.
In pochi giorni si erano verificati in diverse parti del Paese scontri tra dimostranti e polizia: il 7 Marzo a Messina, il 13 aprile a Petilia Policastro, il 22 Aprile a Roma vi furono alcuni morti.
Il primo maggio si verificò l’eccidio di Portella delle Ginestre.
Il 1º maggio 1947, nel secondo dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime fascista.
Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).
Improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.
A compiere la strage erano stato gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, il presunto colonnello dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) in contatto con la mafia e al centro di trame oscure che avevano coinvolto i servizi segreti italiani e USA.
Quella di Portella della Ginestra fu la prima strage di cui non si sarebbero mai scoperti e punti i mandanti :si aprì così una misteriosa striscia di sangue che avrebbe attraversato una parte rilevante della storia d’Italia fino a Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Ustica, San Benedetto Val di Sambro e tante altre vicende tragiche.
Portella della Ginestra però, rispetto a quegli altri citati episodi storici, presentò caratteri del tutto specifici, data la particolarità della situazione siciliana prima fra tutte quella riguardante la reazione degli organi dello Stato che condussero indagini poco approfondite e che, come scrive Aurelio Lepre nella sua fondamentale “Storia della Prima Repubblica” ( Il Mulino) e “coprirono complicità imbarazzanti, aprendo una pagina, quella degli eccidi impuniti, che sarebbe rimasta anche in seguito tra le più nere della Storia d’Italia”.
Il processo fu celebrato a Viterbo dal giugno 1950 al maggio 1952.
In quell’occasione emersero oscure responsabilità e giudici definirono “eccezionali ed abnormi alcuni comportamenti delle forze di polizia”.
L’ispettore di polizia Ettore Messana e il colonnello dei carabinieri Ugo Luca avevano avuto rapporti con i banditi e il secondo aveva consegnato a Gaspare Pisciotta, luogotenente di Giuliano, un attestato di benemerenza firmato dal ministro dell’Interno Mario Scelba.
Luca, che poi fu promosso generale, disse che era stato lui stesso ad apporre la firma, che era perciò apocrifa, e giustificò il suo operato, che riconobbe come “spregiudicato” con la spregiudicatezza degli uomini che doveva combattere.
Solo nel 1962 fu possibile nominare una commissione d’inchiesta, che non riuscì però a produrre conclusioni unitarie.
Concludiamo quindi questo ricordo che è necessario rimanga a monito imperituro per tutti e che dovrebbe essere posto al centro della celebrazione del primo Maggio 2017 con uno stralcio della relazione di minoranza presentata dai parlamentari comunisti e della sinistra indipendente alla commissione antimafia.
E’ il caso di far notare, in precedenza della lettura del testo, che due dei parlamentari autori della relazione che segue furono poi trucidati dalla mafia.
Cesare Terranova, magistrato, deputato della Sinistra Indipendente, fu assassinato il 25 settembre del 1979 .
Questa la cronaca dell’eccidio:
“ Verso le 8,30 del mattino una Fiat 131 di scorta arrivò sotto casa del giudice a Palermo per portarlo a lavoro. Cesare Terranova si mise alla guida della vettura mentre accanto a lui sedeva il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, l'unico uomo della sua scorta che lo seguiva da vent'anni come un angelo custode
“L'auto imboccò una strada secondaria trovandola inaspettatamente chiusa da una transenna di lavori in corso. Il giudice Terranova non fece in tempo a intuire il pericolo. In quell'istante da un angolo sbucarono alcuni killer che aprirono ripetutamente il fuoco con una carabina Winchester e delle pistole contro la Fiat 131. Cesare Terranova istintivamente ingranò la retromarcia nel disperato tentativo di sottrarsi a quella tempesta di piombo mentre il maresciallo Mancuso, in un estremo tentativo di reazione, impugnò la Beretta di ordinanza per cercare di sparare contro i sicari, ma entrambi furono raggiunti dai proiettili in varie parti del corpo.
Al giudice Terranova i killer riservarono anche il colpo di grazia, sparandogli a bruciapelo alla nuca. La sua fedele guardia del corpo, Lenin Mancuso, morì dopo alcune ore di agonia in ospedale”
Pio La Torre, segretario regionale del PCI, fu ucciso il 30 Aprile del 1982.
Questa la cronaca dell’assassinio:
“ Alle 9:20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito. Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, ad uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili.] Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.”

Senato della Repubblica — 567 — Camera dei Deputati
LEGISLATURA VI —
DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI
-
DOCUMENTI
RELAZIONE DI MINORANZA
Dei deputati LA TORRE, BENEDETTI, MALAGUGINI
e dei senatori ADAMOLI, CHIAROMONTE, LUGNANO, MAFFIOLETTI nonché del
Deputato TERRANOVA
La Commissione parlamentare antimafia non può rifiutarsi — come fa la relazione di maggioranza — di trarre conclusioni politiche dalla drammatica vicenda della strage di Portella della Ginestra e dalla morte di Giuliano. È fuori dubbio che Giuliano, sparando a Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, intendeva compiere una strage in occasione della Festa del lavoro in una zona nevralgica della provincia di Palermo dove la CGIL e i partiti di sinistra si erano notevolmente sviluppati.
Tale strage si colloca in un momento decisivo della vita politica siciliana: all'indomani delle elezioni della 1“ Assemblea regionale siciliana che aveva visto i partiti di sinistra, uniti nel Blocco del popolo, conquistare la maggioranza relativa dei voti e quindi il diritto ad assolvere ad un ruolo decisivo nel governo regionale, e mentre c’è la crisi dello schieramento antifascista sul piano nazionale e internazionale, e a Roma si apre la crisi di governo con l’obiettivo di escludere il PCI e il PSI dal governo per bloccare le riforme delle strutture economiche e sociali del Paese.
Risulta evidente che ad armare la mano di Giuliano furono forze collegato al blocco agrario siciliano (e anche a centrali straniere) che intendevano sviluppare un aperto ricatto verso la DC per indurla a rompere con i partiti di «sinistra in Sicilia contribuendo cosi ad accelerare anche la rottura sul piano nazionale.
D’altro canto, la banda Giuliano diede un seguito alla sua azione terroristica, e dopo la strage di Portella, nelle settimane successive, si ebbero attacchi alle sedi del PCI e del PSI e delle Camere del lavoro in numerosi comuni del palermitano (S. Giuseppe Iato, Partinico, Monreale, S. Cipirello, eccetera) nel corso dei quali furono assassinati e feriti numerosi lavoratori.
Più in generale, nella gran parte della provincia di Palermo si creò un clima di terrore che rendeva impossibile l’esercizio delle libertà democratiche da parte dei partiti di sinistra e della CGIL. Tale clima di terrore venne alimentato sino alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 che segnarono una profonda modifica dei rapporti di forza fra partiti in tutti i comuni di influenza della banda Giuliano.
Prendiamo ad esempio i dati elettorali di Montelepre. Il 20 aprile 1947 (elezioni regionali), il MSI democratico repubblicano, la lista di Varvaro, prese 1.951 voti, la DC 719 voti, il Partito monarchico 114, il Blocco del popolo 70. Nel 1948 la DC passa da 719 a 1.593, i monarchici da 114 a 1.034, il Fronte democratico popolare, in cui è candidato Varvaro, prende soltanto 27 voti. Occorre vedere, poi, le preferenze personali di Mattarella e degli altri che non erano della zona di Partinico ed esaminare come si impedì (ci sono i documenti in possesso dell’Antimafia) (2) al Fronte democratico popolare di tenere una qualunque forma di propaganda elettorale in tutta la zona. A trarre benefici dall’«intervento» elettorale della banda Giuliano, furono il PNM da un lato e la DC dall’altro. Ciò spiega la difficoltà in cui poi si trovò il Governo nel dare conto al Parlamento e al Paese della morte di Giuliano.
Si verificò, in questa circostanza, un fatto enorme. Il Governo si servì della mafia per eliminare il bandito. Giuliano doveva essere preso morto perché non potesse parlare. Si creò, così, la messinscena della sparatoria nel cortile De Maria a Castelvetrano. Il Ministro dell’interno dell'epoca emanò un bollettino con cui si accreditava la falsa versione della morte di Giuliano e si promuovevano sul campo tutti i protagonisti dell'impresa. Il colonnello dei Carabinieri Ugo Luca venne promosso generale. Il prefetto Vicari fu promosso prefetto di prima classe e da lì spiccò il volo sino a diventare Capo della polizia. Ma bisognava anche impedire che la Magistratura aprisse una qualche inchiesta sui fatti e allora si pensò di «tacitare» il Procuratore generale di Palermo, Pili, che era alla vigilia di andare in pensione.
Il Presidente della Regione (che era allora l'onorevole Franco Restivo!) si incaricò di offrire a Pili un importante incarico: al momento di entrare in quiescenza lo nominò consulente giuridico della Regione siciliana. E così il cerchio si chiuse.
(2) Vedi la deposizione resa l’8 gennaio 1971 dall’onorevole Varvaro al Comitato ristretto della Commissione antimafia presieduto dall’onorevole Bemandinetti (pubblicata come allegato 23, alle pagine 741 e seguenti del Doc. XXIII, n. 2 sexies, Camera dei deputati, l Legislatura).
Tutti gli organi dello Stato furono in verità coinvolti in una operazione che. doveva servire ad impedire che si accertasse la verità sulle collusioni fra alcuni uomini politici e la banda Giuliano. Ma per raggiungere questo risultato si fece ricorso alle cosche mafìose che ne uscirono rafforzate e accresciute nel loro peso politico. Tale peso politico la mafia lo utilizza nel contrastare le lotte contadine per ila riforma agraria e 11 rinnovamento sociale della Sicilia.
(1) Di particolare interesse, a questo proposito, appare quanto si legge a pagina 74 della «Relazione sull'indagine riguardante casi di singoli mafiosi» pubblicata nella scorsa Legislatura (Documento XXIII, n. 2quater, Camera dei deputati,,V Legislatura): «Il dottor Navarra, che era rimasto estraneo al fascismo, si schiera, secondo l’orientamento comune dei maggiorenti mafiosi dell’epoca, con il Movimento di indipendenza siciliana sin dal suo nascere. Il movimento era, come è noto, appoggiato da tutta la mafia isolana e così il Navarra ne approfittò per consolidare i vincoli di amicizia e ”rispetto" con gli altri capimafia dell’entroterra (Calogero Vizzini, Genco Russo, Vanni Sacco ed altri), incrementando, conseguentemente, il suo già alto potenziale mafioso e venendo tacitamente riconosciuto, per "intelligenza” e per essere uno dea più vicini alla capitale dell’Isola, quale influente esponente di tutta la mafia siciliana, ottenendo così non solo la stima ma anche la "deferenza” degli altri mafiosi di grosso calibro.
«Venuto meno il Movimento, il Navarra ed altri si orienteranno poi verso il PLI, partito al quale avevano dato le loro preferenze anche taluni grossi proprietari terrieri della zona.
«Solo allorquando, dopo il 1948, la DC apparve come ài partito più forte, si assistette — sempre a titolo speculativo ed opportunistico — al passaggio in massa nelle file della DC di grandi mafiosi, con tutto il loro imponente apparato di forza elettorale.
«Anche il Navarra non fu da meno degli altri capimafia e in Corleone e comuni viciniori (Marineo, Godrano, Bisacquino, Villafrati e Prizzi) attivò campagne elettorali e sensibilizzò le amicizie mafiose, onde dirigere ed orientare votazioni su personaggi ai quali, in seguito, si riprometteva di chiedere favori, così come ormai era nel suo costume mentale».

Franco Astengo

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