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L'ultima vittima

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    Domusnovas: se Confindustria, Cgil e Cisl non vogliono la riconversione della fabbrica di bombe

    (15 Luglio 2017)

    riconversione rwm

    Quando la principale associazione degli industriali firma un comunicato assieme alle maggiori organizzazioni dei lavoratori, c'è sempre da preoccuparsi. Lo conferma una presa di posizione comune di Confindustria Sardegna Meridionale, Cgil-Filctem e Cisl-Femca del Sulcis Iglesiente risalente a due giorni fa e fatta circolare "in occasione della convocazione in via straordinaria (...) del Consiglio Comunale di Iglesias per discutere del tema 'Stabilimento Rwm'". Come sanno i lettori più attenti di questo sito, l'altroieri l'organo rappresentativo della città sarda doveva discutere della riconversione della fabbrica produttrice di bombe vendute all'Arabia Saudita, che poi le sgancia sulla popolazione yemenita. Un aspetto, questo, che non è minimamente preso in considerazione dallo scritto in questione, laddove, con una formula retorica d'una certa efficacia, si richiama alla prerogativa "dei lavoratori e della società Rwm Italia SpA" di "esercitare serenamente il diritto al proprio lavoro e alla iniziativa economica".

    In sostanza: non rompete le scatole con questa storia della riconversione, non ci interessa che, rispetto a questo obiettivo, siano scese in piazza moltissime persone, come nella manifestazione del 7 maggio scorso, svoltasi nel sito della fabbrica (Domusnovas). Un passaggio di piazza così sentito e vivacemente partecipato, da suscitare - nei giorni successivi - la costituzione di un Comitato Riconversione RWM, assai composito e veramente rappresentativo di ampi settori della cosiddetta "società civile". Ora, va detto che il comunicato di Confindustria e sindacati confederali, se non affronta neanche lontanamente il tipo di produzione che si svolge nella fabbrica oggetto della contesa, prende però le mosse da problemi reali, che attanagliano la popolazione sarda. Accennando a un dato di fatto: ossia alla collocazione dello stabilimento di Domusnovas in "un territorio già pesantemente colpito da dismissioni industriali e crisi occupazionali senza precedenti". In un quadro siffatto, andrebbero sostenute tutte "le realtà industriali legittimamente autorizzate ed operanti nel pieno rispetto delle leggi vigenti, quali la Rwm Italia Spa".

    Di più, lo scritto di industriali e confederali insiste sul fatto "che tutti i 'fantomatici' progetti di riconversione industriale in Sardegna non sono mai stati attuati", per cui in caso di successo della campagna portata avanti dal Comitato "non ci sarà più lavoro per le 270 famiglie che oggi vivono grazie allo stabilimento né per le future famiglie che avranno un lavoro grazie agli investimenti che la società sta eseguendo nel territorio, né per le numerose imprese di appalto che oggi vivono quasi esclusivamente del lavoro fornito loro dalla Rwm Italia SpA" (società che, aggiungiamo noi, fa capo al gruppo tedesco Rheinmetall Defence).

    Dunque, questi sono gli argomenti scelti nell'esercitare una pressione che probabilmente va oltre il Consiglio Comunale di Iglesias, se si pensa che un esponente del Comitato è stato ricevuto, proprio il 13 luglio, dalla Presidente della Camera Laura Boldrini. E che per il principio della prossima settimana è prevista la discussione sulla spinosa questione dell'esportazione in Arabia Saudita degli armamenti prodotti in Italia.

    Ora, a un'offensiva siffatta, che utilizza l'attuale dramma sociale della Sardegna per giustificare un'inammissibile vendita di strumenti di morte al regime saudita, è necessario dare una risposta forte e vigorosa. Una risposta che sappia superare di slancio il "realismo" poco sano del comunicato di cui abbiamo restituito alcuni passaggi.

    Il punto è che la riconversione della fabbrica di Domusnovas va necessariamente inserita in un discorso di più ampio respiro, teso a ridefinire le coordinate dell'attività economica e produttiva di un'isola tanto splendida quanto, ultimamente, immiserita. Se i vari progetti di riconversione, sin qui, non hanno funzionato, ciò si deve anche - se non soprattutto - alla scarsa volontà della politica locale e nazionale. L'atteggiamento di indifferenza verso le sorti della Sardegna è stata nel corso dei decenni una costante degli esecutivi di questo paese: una costante che non è solo il frutto di distrazione, ma anche della volontà di lasciare l'isola alla mercé dei suoi sfruttatori, di provenienza italiana o anche di altri paesi (si pensi ai massicci interventi dell'Emirato del Qatar, che stanno interessando soprattutto la Gallura e che riguardano sanità, turismo, trasporto aereo ecc.).

    Quel che si è permesso, nel corso tempo, e si continua a permettere ancora, in Sardegna, è un intervento imprenditoriale di carattere predatorio, fatto da soggetti economici pronti a lasciare il campo dopo aver spremuto al massimo la manodopera locale. Un quadro che sembra fatto apposta per far considerare una manna la presenza di uno stabilimento come quello di Domusnovas, a suo modo un'eccellenza, testata quotidianamente sulla pelle di tanti poveri yemeniti.

    Ma se il contesto è questo, bisogna essere all'altezza della situazione e collocare appunto la propria battaglia all'interno di un progetto di rilancio economico - su nuove basi - di un territorio che è tutto fuorché privo di risorse, a partire da quelle naturali. Un rilancio che passa per un uso più ponderato dei fondi europei e per un atteggiamento più partecipe del governo centrale che, nel rispetto dell'autonomia dell'isola, deve però intervenire realmente nelle crisi industriali.

    In sostanza, la battaglia per la Riconversione dello stabilimento RWM può e deve diventare il volano per pensare ad un altro futuro per la Sardegna, per cominciare ad impostare un percorso che miri non solo alla salvezza delle 270 famiglie cui accenna il comunicato confindustrial-confederale ma anche alla soluzione di problemi che vengono da più lontano, come l'inoccupazione e la costante rapina, da parte di pochi, di ricchezze di cui dovrebbero disporre tutti.

    Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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