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Barcellona, dove prosegue la caccia all’infedele

(17 Agosto 2017)

strage barcellona

Furgone, Tir o auto lanciati a falciare l’infedele occidentale, turista o residente che sia, ripete il copione già drammaticamente visto a Nizza, Berlino, Stoccolma, Londra. Stavolta colpisce a Barcellona e avrebbe potuto farlo ovunque, perché questa è la codificazione più semplice offerta al jihadismo ‘fai da te’ per seminare sangue e panico alla stregua dei miliziani addestrati che sanno usare tritolo e kalashnikov. Lo si afferma da mesi: le sconfitte sul campo e gli spazi ristretti del Daesh mediorientale, restituiscono all’Europa un buon numero di foreign fighters, le Intelligence ne contano oltre tremila (un migliaio di Francia, settecento belgi e via andare anche per i duecento italiani e altrettanti spagnoli) che potrebbero tornare, o già sono rientrati, nelle città comunitarie. Costoro potranno proseguire la militanza jihadista colpendo il cuore dell’Europa, sebbene parecchi siano conosciuti, schedati, magari già osservati e intercettati. Ma per il genere d’attentato, simile a questo catalano (13 vittime che potrebbero aumentare per le condizioni disperate di alcuni degli 80 feriti) servono identificazione a una causa e sangue freddo, non necessariamente l’esperienza militare sui campi di battaglia siriano o afghano. Fra l’altro, il reclutamento per azioni che diventano sanguinose come queste delle vetture lanciate sulla folla, non avviene in particolari luoghi d’incontro, né tantomeno in quelle moschee ostaggio di predicatori radicali. Abbiamo visto come sia la grande rete virtuale a dare corpo e vigore alle nuove leve jihadiste, in genere giovani, senza un passato né politico né di radicalismo religioso. Tutto è molto rapido, libero diremmo facile, se non si trattasse di scegliere la via che semina morte nelle strade; seppure nella mente dei nuovi combattenti si tratta d’una scelta che vuol restituire, colpo su colpo, quella destabilizzazione che gli eserciti “infedeli” conducono altrove. Eppure la casualità dell’obiettivo spagnolo è meno casuale di quel che sembrerebbe. E se Qaeda nel marzo 2004 colpiva la stazione madrilena di Atocha, causando 192 vittime, per punire l’impegno iberico nelle missioni Nato mediorientali a cominciare dall’Iraq, oggi il pensiero degli analisti corre al Sahel, alle sue contraddizioni, agli interessi europei in quelle aree, che sono francesi più che spagnoli e coinvolgono Paesi come le ex colonie di Mali e Mauritania. Ma la Spagna, che pure addestra i peshmerga nemici dell’Isis, conta un numero non esiguo di immigrati marocchini, che assieme ai tunisini hanno in questi anni ingrossato le file jihadiste. Dati ufficiali raccontano di circa duecento sospettati fondamentalisti fermati dall’Intelligence di Madrid negli ultimi due anni, molti di loro erano appunto maghrebini, com’è marocchino uno degli attentatori di cui è stata diffusa l’identità. Giallo nel giallo, lui non sarebbe il vero Driss Oukabir, di cui sono stati ritrovati i documenti serviti per il noleggio del van stragista, bensì il fratello diciottenne Moussa. L’ha rivelato alla polizia il vero Driss, presentandosi in un commissariato dopo aver appreso la notizia della mattanza. I suoi documenti sarebbero stati sottratti e usati dal più giovane, che, però, avendo complici non sembrerebbe proprio un attentatore solitario. Cosicché la filiera della vicenda è ancora al vaglio d’investigatori e osservatori geopolitici. Lo è anche la rivendicazione dell’Isis, giunta in serata. Vera? Falsa? Bisognerà studiarlo. Come sempre non manca di retorica e di finalità propagandistica quando, in riferimento al luogo dell’agguato, rievoca i fasti islamici dell’Andalusia. Se l’Isis, pur in crisi, sta cercando macabri rilanci in terra europea sembra non tralasciare mito ed enfasi che distolgono i seguaci dall’inevitabile nuova scia di sangue. Oppure li inebriano.
17 agosto 2017

articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it

Enrico Campofreda

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