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sindacati, movimenti, "scioperi generali"
MACERIE UTILI

(8 Ottobre 2017)

sindacati, movimenti, “scioperi generali”
MACERIE UTILI.
Nella vita, come in politica o nel sindacato si può mediare,
cercare a tutti i costi l'unità (magari nella diversità)
o preferire a tutto ciò la chiarezza,
anche se questa provoca rotture, macerie.
A volte, occorre demolire, o meglio, finire di demolire,
per ricominciare, per ricostruire.
Come adesso, come per la fase attuale.

Chiunque frequenti continuativamente un posto di lavoro sa come stanno le cose, sa in quale stato di oppressione quando non di terrore sopravvivono i lavoratori.
La paura è la loro vera compagna di lavoro: paura di tutto, di stare male, di morire, di ferirsi, di esaurirsi, di esser licenziati, di subire provvedimenti disciplinari, ingiustizie, mobbing.
E la paura si tira dietro la solitudine, ed un senso di isolamento che ti porta ad “attaccare l'asino ovunque vuole il padrone”, a guardare con sospetto i colleghi, a competere con loro.
O ad affidarti al dirigente trasformandoti in proattivo leccaculo, o ai sindacati perchè “se succede qualcosa”..... , comunque a non coalizzarti con gli altri, quelli che vivono le tue stesse condizioni, la tua stessa paura, il tuo stesso isolamento.
Insomma, l'assioma piu' elementare del mondo, “l'unione fa la forza”, è rifiutato ogni giorno dappertutto, in ogni posto di lavoro, ed al suo posto “divide et impera” il capitale con tutte le sue ideologie.
E cosi' trionfano l'arrivismo clientelare, l'imboscamento aziendal-sindacale, la prostituzione fisica e mentale, lo spionaggio l'un contro l'altro, la chiacchiera, il pettegolezzo: tutto fa brodo pur di stare illusoriamente un po meglio singolarmente cercando il “posto buono”, il back office, il distacco sindacale, il trasferimento di reparto o di settore.


Un infernale “tutti contro tutti” dove il padrone fa quello che vuole e i sindacati, ormai nemeno piu' “sportello di servizio”, “recepiscono” le direttive aziendali mutuandole in C.C.n.L..

Del resto “hanno vinto”, ed il ciclo del capitale batte il suo tempo, il suo ritmo, le sue leggi, le sue idee.
Una sistuazione che se da un lato ha fatto terra bruciata di diritti, normative e libertà di classe conquistate nel secolo passato, dall'altro, dialetticamente, presenta una situazione in cui il panorama politico e sindacale è chiaro, e si presenta nudo agli occhi dei lavoratori, che infatti ( pur se ancora iscritti in parte a sindacati come chi subisce una vaccinazione ) nel farsi i “propri affari singolarmente” esprimono comunque una sfiducia totale in ogni istituzione, come del resto, purtroppo, anche in qualsiasi possibilità di miglioramento collettivo.

Sfiducia individuale, spesso individualista, ma sfiducia!
Un sentimento sul quale poter intervenire, sindacalmente e politicamente, per introdurre “passaggi di coscienza di classe” in questo pantano, per dare un'alternativa unitaria e matura ai sindacati di stato ed alla politica dominante.
Ma anche questo è stato ed è sempre piu' difficile.
I pochi lavoratori coscienti, avanguardie staccate dalle masse, devono fare i conti con un muro di scoramento e diffidenza provocato da decenni di clientela sindacale nonché dalla corruttela diffusa dell'ideologia dominante; da qui difficoltà di rapporti che, se si escludono lodevoli episodi di lotte di settore anche vittoriose, producono ripensamenti, rinunce e abbandoni anche nelle stesse sparute avanguardie.
D'altra parte, il lavorio quotidiano di coscientizzazione e lotta nel posto di lavoro non può essere delegato alla (buona) volontà individuale, ma è frutto di un'attività organizzata, strutturata, che ri-dia fiducia, forza, gambe e cuore a qualsiasi rivendicazione materiale.
Proprio da qui partiva la scommessa dell'autoorganizzazione sindacale operaia fin dai primi anni '70, dai primi CUB alla Borletti e alla Siemens o tra i ferrovieri, alle assemblee autonome e ai comitati operai alla Magneti Marelli o a Porto Marghera: fuori e contro il sindacato di stato per un lavoro organizzato tra gli operai che superasse la dicotomia politico-sindacale e si ponesse, nelle punte piu' alte del conflitto, direttamente sul terreno del potere, nel posto di lavoro e nell'intera società.
In sostanza, le forme piu' alte dell'autoorganizzazione operaia nate in fabbrica ed in alcuni settori dei servizi, allenatasi alla lotta economica nel proprio posto di sfruttamento, hanno avuto la necesità di fuoriuscirne, per guardare al mondo, ai rapporti tra tutte le classi, e spiegarsi il proprio.
La rottura della separazione politico-sindacale poneva quegli organismi di base sul terreno della lotta politica generale, sul terreno della strategia del “partito informale” degli operai comunisti.

La risposta capitalistica chiuse gli anni '70 in un mix micidiale ristrutturazione+repressione (crisi, automazione, delocalizzazione, licenziamenti e trasferimenti avanguardie) che, accoppiate al cambio di passo del ciclo economico (da espansivo a recessivo), posero fine a quelle esperienze almeno nella forma in cui si erano date.

Solo nominalmente alcune di queste esperienze continuarono ad esistere, lasciando intatto a volte solo il nome delle stesse, ma cambiandone ragione sociale d'esistenza, obiettivi e moduli organizzativi, e sostanzialmente trasformandosi in piccoli sindacati certo piu' combattivi e conflittuali di quelli di stato, ma che ne ripercorrevano l'esclusività economicistica e la strutturazione burocratica.
Sindacatini di base quindi, ma pur sempre sindacati, con le loro brave deleghe sullo stipendio, le loro federazioni, i loro esecutivi, e poi le lro r.s.u., le loro firme, i loro tavoli, e con l'ambizione di togliere “clientela” a C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L..
Del Gasparazzo “che cos'è l'esecutivo” come della capacità passata di smuovere (seppur minoritari!) intere categorie su terreni specifici e generali, non se ne trova traccia, cosi' come diminuisce fortemente l'impatto nell'industria a favore di sacche di presenza organizzata nei servizi e nel terziario ( dai Cobas nella sanità a quelli nella scuola eredi diretti del movimentismo anni '70, alle r.d.b. nel pubblico impiego e tra i vigili del fuoco, al COMU-COMAD-CNPV nei trasporti ferroviari figli della contestazione alla CGIL di Moretti & c.).

Da metà anni '80 parte quindi una sorta di secondo ciclo del sindacalismo di base, molto piu' sindacale che politico, molto piu' strutturato, che fin da subito si presenta diviso piu' per vecchie ruggini politico-personalistiche, che per reali differenze di metodo ed azione concreta.
Scartata da subito la possibilità di “unità sindacale di base” per le frizioni di cui sopra, si è piu' volte tentato, localmente e contingentemente, o nazionalmente e “strategicamente”, di dar vita a “cartelli unitari”, che, “uniti nelle diversità”, “camminano divisi, ma colpiscono insieme”: tentativi tutti lasciati fallire nonostante la “base” (e la realtà dei rapporti di forza!) li invocasse a gran voce.

Anzi, a fronte della necessità storico-politica dell'unità dei lavoratori almeno sul terreno sindacale, con l'avvento della grande crisi del 2008, la litigiosità tra sigle si è trasferita anche all'interno delle sigle, provocando ulteriori fratture e schegge spacciate per altri (nuovi!) sindacati di base.
E cosi', sotto i colpi padronali contro diritti e libertà normativo-contrattuali, sotto l'attacco precarizzante, si è andati ognun per se, addirittura nella proclamazione di “scioperi generali” in date diverse, alternativi tra loro e concorrenti.
“Scioperi” senza dati reali, con scarsa partecipazione, a sfruttare l'effetto sigla e quello annuncio su utenti e sindacatini concorrenti.
“Scioperi” nei quali i dati dei partecipanti sono stati sostituiti dai cortei, e quelli dei picchetti da manifestazioni “plurali” di studenti e “movimenti” non meglio identificati.
Alla fine anche lo sciopero in se, arma storica della lotta operaia economica, politica ma anche insurrezionale, è stato svilito, svuotato del suo significato e della sua valenza dalle regolamentazioni statuali e legislative, dal riduzionismo sindacale di stato (3 ore di “sciopero” “contro” la legge Fornero), e, non ultimo, dal litigioso virtualismo sindacale di base.
Ormai, quando si sciopera, si sciopera come e quando dicono i padroni, impediti quindi, a recar danno alla produzione o alla circolazione, pena sanzioni pecuniarie per le oo.ss. e provvedimenti disciplinari per i lavoratori.

Certo, ci sono le eccezioni, come la battaglia contro Atesia del comitato lavoratori Atesia, o alcuni scioperi selvaggi nei trasporti, o la lotta dei lavoratori migranti nella logistica; lotte esemplari e a volte anche vittoriose ma episodiche, frammentate, scoordinate, sulle quali tra l'altro non è mancata la concorrenza (e lo sciacallaggio) tra i vari gruppi del sindacalismo di base.

Insomma, una pletora di sigle litigiose tra loro che, se da un lato ha perso la scommesa sotitutiva con il sindacato confederale, dall'altro si ripropone come sua piccola copia non capendo che oggi, una lotta per il salario o contro lo sfruttamento, essendo immediatamente politica, necessita di uno strumento politico, o quanto meno politico-sindacale!
La comprensione di questo passaggio d'epoca, l'insufficienza in se del terreno rivendicativo-contrattuale alla lotta di classe, potrebbe essere la chiave di volta dell'eterna debolezza e divisione dei sindacati di base.
Una strettoia di fase non eludibile, che ha a che fare con l'adeguatezza degli strumenti operai nella lotta di classe attuale, con i rapporti di forza attuali, nelle quali la sola lotta economica, che resta oggettiva ed ineliminabile, è destinata alla sconfitta o a vittorie isolate e contingenti, comunque riassorbibili dal ciclo capitalista.

Occorre una visione strategica,
un'organizzazione autonoma politico-sindacale
capace di far fruttare la “scuola di guerra” di scioperi e lotte operaie nella prospettiva della battaglia futura per un'altra società.

E' una riflessione dell'oggi non piu' rinviabile che non riguarda solo il sindacalismo di base,
ma il tessuto sconnesso dei lavoratori coscienti,
dei gruppi di movimento antagonista piu' accorti.

Anche le attuali macerie possono essere utili per l'avvenire!

Pino ferroviere

Pino ferroviere

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