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LA ROTTA di COLLISIONE della SECESSIONE OPERAIA

(19 Novembre 2017)

secessione operaia

Rotta di collisione è la sintesi strategica della
scelta di campo rivoluzionaria,
della linea di condotta verso uno scontro inevitabile.
Significa navigare in mare aperto,
nelle acque agitate capitalistiche, utilizzando ogni flutto, ogni onda, ogni corrente a nostro vantaggio.
Significa evitare le secche e i gorghi
delle rotte mediatorie, accumulare forze,
forgiarle nei marosi delle lotte, compattarle, organizzarle e dirigerle nella tempesta finale.

dentro il movimento reale, contro gli inutili idioti

LA ROTTA DI COLLISIONE
della
SECESSIONE OPERAIA!

Movimenti senza aggettivi non esistono, o sono invenzioni virtuali.
C’è il movimento delle cose, storico-naturale, quel movimento reale che comprende tutti gli altri movimenti.
C’è il movimento della borghesia, all’inizio rivoluzionario, poi a seconda della convenienza e della contingenza storico-politica, progressista, conservatore, o reazionario.
A questo movimento reale corrispondono, spesso in forma squilibrata, i movimenti politici, religiosi ed ideologici, usi consumi e consuetudini sociali.
Poi ci sono le fibrillazioni delle frazioni di classe, media e piccola borghesia, cangianti nelle loro capriole politiche e sociali, spesso a rimorchio del vincitore, quando non all’esplicita ricerca di una propria personale sistemazione.
E ancora il movimentismo opportunista (oggi ridotto a infima minoranza disorganizzata senza masse in movimento) che, dietro una sloganistica arruffata, copre la propria frustrazione ed irrealizzazione umana, il proprio mancato “ingresso” in società .

Infine, c’è il movimento operaio, un movimento oggettivo, internazionale per sua natura di classe, frutto e becchino del capitalismo, che perde spesso e vince raramente.
Oggi il movimento degli operai continua a vivere la lunga fase di riflusso pluridecennale, subendo la scarnificazione sociale imposta dalla globalizzazione di mercato, dalla competizione continentale, dalla concorrenza salariale tra forza lavoro autoctona e forza lavoro immigrata, dagli stati nazionali a sovranità limitata, e dai governi complici.
E’ un movimento, quello operaio, che vive la contraddizione tra la sua diffusione planetaria e l’incoscienza di questo processo, tra numeri e forza, tra possibile potenza ed assenza di strumenti per organizzarla, indirizzarla, scagliarla contro i padroni.
E’ un movimento senza una propria politica autonoma, ed una organizzazione indipendente, distinta e separata da quelle di tutte le altre classi, e per questo possibile preda di ogni strumentalizzazione “europeista” ed “antieuropeista”, xenofoba, razzista, securitaria.
E’ un movimento ripiegato su se stesso, sfiancato dallo sfruttamento, sfiduciato verso il cielo politicante, al punto da non partecipare, in molta sua parte (almeno il 65% dei lavoratori italiani non votano!) ad alcuna tornata elettorale.
Di per se, questa “diserzione” astensionista di massa è perfettamente compatibile con il sistema dominante che, se da un lato continua ad imporre i suoi riti “rappresentativi” della minoranza dei votanti alla maggioranza, dall’altro fa del “non voto” uno dei tasselli fondanti la moderna democrazia imperialista.
Sostanzialmente, si vede nell’altissima percentuale astensionista una sorta di adeguamento a forme moduli e comportamenti diffusi in tutto l’occidente, pronto a metabolizzarla come componente digeribile ed utilizzabile nelle reiterate campagne “partecipative”.
La borghesia, al di la di una “partecipazione” ridotta a slogan ideologico, ha compreso la direzione di fondo del movimento reale che tende al superamento della vecchia forma democratico-di massa del secolo passato, e della sua trasformazione nella attuale cyberdemocrazia funzionale che può fare a meno anche della delega dei suoi cittadini.
Gli unici che non l’hanno capito, e non certo per amore della “partecipazione popolare”, sono i diversi raggruppamenti politici di ogni località politico-topografico-parlamentare, interessati alle poltrone corrispondenti ai voti, al potere e alla bella vita che ne deriva.
D’altra parte, la cosiddetta “partecipazione” al voto, può incidere sul peso relativo nei rapporti di forza tra partiti o interni ad una qualche coalizione, non certo sulle politiche governative, tutte ugualmente vincolate alle direttive continentali stabilite in sede europea.
Proprio questa “inefficacia ed inservibilità” partecipatoria ha determinato un trend occidentale astensionista in crescita che nessun “recuperatore” potrà frenare, tantomeno arrestare.
Anche le pulsioni “euroscettiche” di destra e di estrema destra, inquietanti soprattutto per esser frequentate da settori proletari e sottoproletari, rappresentano minoranza numeriche comunque esigue, raramente al governo, e che difficilmente cambieranno il segno del processo continentale in formazione e rafforzamento.

In definitiva, viviamo i tempi in cui i padroni dominano senza nemmeno il bisogno della truffa del suffragio universale; “rappresentano” una minoranza ma comandano lo stesso, attraverso i governi, le leggi e gli apparati repressivi dei loro istituti politici, giuridici e militari.

Le elezioni, per altro in Italia particolarmente frequenti, sono il riflesso di una instabilità politica di fondo frutto dell’inadeguatezza statuale nei confronti delle esigenze di mercato, e servono a cambiare musicanti per una musica che rimane sempre la stessa.
Quello che stupisce, ma neanche tanto, e che di fronte a questa realtà evidente di svilimento parlamentaristico, ai soliti soloni “recuperatori” ufficiali di voti grillini e della sinistra di stato, si stiano aggiungendo anche settori movimentisti o centrosocialoidi incuranti del loro esser fuori dalla realtà quanto ignoranti delle reiterate lezioni storiche in questo senso.
Nel momento di massimo astensionismo, questi ultimi arrivati esegeti della “partecipazione”, si propongono di “raccogliere una bandiera della borghesia” ormai abbandonata anche dalla borghesia stessa, comunque inutile e dannosa per il blocco sociale che si pretende di rappresentare.
Inutili idioti a conferma di un opportunismo sfasato ed incapace a comprendere la realtà, che ancora una volta si caratterizza per l’assenza di una qualsiasi strategia di intervento continuativo nella concretezza quotidiana, che sceglie scorciatoie impraticabili, confermandosi essenzialmente come pura pratica controrivoluzionaria.



Resta un massiccio astensionismo europeo di decine di milioni di persone, in buona misura proletario, tanto impermeabile alle sirene della “partecipazione” quanto disorganizzato e quindi attualmente inutilizzabile.
Un terreno sterminato di intervento per il movimento rivoluzionario, se sarà capace di apportare elementi di novità al classico atteggiamento tattico novecentesco rispetto la partecipazione di “denuncia” alla tribuna parlamentare.
Oggi, la diserzione elettorale è uno degli elementi fondanti, insieme all’internazionalismo ed all’antiistituzionalità, la scelta di campo rivoluzionaria, una scelta non contingente, ma strategica, programmatica, per l’oggi e per il domani.

Viviamo i tempi delle secessioni regionali ed interclassiste come quelli delle coalizioni imposte da leggi elettorali raffazzonate; da una parte ci si vuol “separare” per interessi economici e profittuali, dall’altra si è costretti a “stare insieme” per vincere elezioni e governo.
Secessioni e coalizioni da combattere, perché ambedue antioperaie.


Al loro posto, bisogna lavorare alla coscientizzazione di una secessione di classe già avvenuta in se, per trasformarla in per se: quella astensionista!
Le donne e gli uomini interessati ad una scelta di campo rivoluzionaria non possono più esitare, devono dare una risposta chiara e netta al pantano iperpoliticista che rischia di sommergerci, devono parlarsi, contarsi, raggrupparsi, e devono farlo adesso!

Pino ferroviere

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