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    LEGGE DI BILANCIO E SINDACATI

    (22 Novembre 2017)

    Editoriale del n. 59 di "Alternativa di Classe"

    padoanlobb

    Il Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan

    Martedì 31 Ottobre l'iter parlamentare del Disegno di Legge di Bilancio 2018 (il D.d.L. n. 2960) è arrivato al Senato nella sua forma definitiva. Si tratta della annuale manovra governativa, questa volta da 20,4 miliardi di Euro (€), per “raddrizzare” il rapporto debito/PIL, il cui punto più pubblicizzato è stato il mancato aumento della tassazione indiretta con l'IVA per il 2018, come se il non peggiorare le cose (fra l'altro si tratta solo della dilazione di un anno, e poi è già previsto che tornerà a salire di tre punti fino al 2021!...) fosse davvero uguale, al giorno d'oggi, ad un miglioramento!...
    Molti dei suoi contenuti sono stati anticipati dal Decreto fiscale n. 148, approvato il 16 Ottobre e pubblicato il giorno dopo sulla Gazzetta Ufficiale. Con esso, principalmente, vengono effettuati stanziamenti per le grandi imprese “in difficoltà”, viene aumentata di 300 milioni di Euro la dotazione del Fondo di garanzia per le Piccole e Medie Imprese (P.M.I.), viene esteso il meccanismo della scissione dei pagamenti dell’Iva sull’acquisto di beni e servizi, finora vigente per la Pubblica Amministrazione, anche a tutte le società (miste) controllate, nonché estesa anche la “definizione agevolata (cioè senza applicarvi interessi - ndr) dei carichi fiscali e contributivi” alle aziende debitrici verso lo Stato, ed infine vengono “blindati” (con il cosiddetto “golden power”) quei settori produttivi, il cui fallimento metterebbe “in pericolo l'interesse nazionale”.
    Sempre in divenire le concessioni specifiche per lobbies, accreditate, invece, dal Governo prima delle elezioni siciliane del 5 (poi, comunque, clamorosamente perse dagli amici di Gentiloni), per ora è rimasta la sostanza dei principali provvedimenti, e cioè le facilitazioni per gli acquisti aziendali, con super-ammortamento ed iper-ammortamento, rispettivamente al 130% ed al 250%, un credito d'imposta al 40% per la “formazione” alle aziende che si convertono alla “industria 4.0” (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n.57 a pag. 2) fino a 300mila Euro (€) ed uno sgravio contributivo del 50% per i primi tre anni alle aziende che assumessero degli “under 35” con il contratto “a tutele crescenti” (tanto c'è il “Jobs act”, se diventassero “esuberanti”!...), dato che è divenuto fin troppo chiaro che il cosiddetto “aumento dell'occupazione” si era avuto solo per i “vaucher” prima ed i contratti a termine poi!... In pratica, sempre nuovi regali e prebende direttamente alle aziende, per un ammontare complessivo, stavolta, di quattro (4) miliardi di Euro: anche quest'anno il segno di classe è inequivocabile.
    A fronte di ciò, oltre alla “guerra degli emendamenti”, da poco riavviata tra le lobbies parlamentari, e che proseguirà certamente fino alla fine del mese, per i lavoratori pubblici, da più di otto anni senza contratto, si discute su di uno stanziamento, che non arriva a coprire nemmeno gli 85 Euro (€) medi pro-capite, previsti dall'Intesa del 30 Novembre di un anno fa, né vi sono risposte lontanamente adeguate per i 300mila precari di P.I. e scuola. Sulla questione occupazionale, si bisbiglia appena su di una “ricollocazione anticipata” durante la CIGS e sul “Reddito di inclusione (Re.i.)”: poco più di niente!...
    Completa poi tale meccanismo di trasferimento di risorse dal lavoro al capitale, in modo socialmente più incidente, il capitolo “Pensioni”: l'argomento su cui la Legge di Bilancio sostiene, anche ideologicamente, gli interessi del capitale. Ormai è noto che la famigerata “Legge Fornero (Legge n. 214/'11)”, oltre a dilazionare nel tempo, appena uscita, la “collocazione a riposo” dei lavoratori - lasciandone così alcuni senza lavoro, senza stipendio e senza pensione (i cosiddetti “esodati”) - aveva introdotto un suo stabile collegamento, anno per anno, alla cosiddetta “aspettativa di vita”, fino al certo raggiungimento nel 2021 dell'età di 67 anni per il pensionamento.
    Sul terreno pensionistico, il DdL in discussione in parlamento conferma gli istituti “sperimentali” approvati con la Legge di Bilancio dell'anno scorso per introdurre una “flessibilità in uscita”, e cioè l'Anticipo Pensionistico (A.PE.), volontario, “social” o aziendale, e la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (R.I.T.A.). Si tratta di meccanismi che, gravando ancora sul lavoratore (che a suo tempo aveva già versato i propri contributi), con maggiore o minore pesantezza a seconda della sua personale condizione previdenziale, oltre che con intervento delle banche e/o dello Stato, gli consentono in qualche modo, allo scoccare dei 63 anni di età prima previsti, di poter smettere di lavorare senza aspettare il raggiungimento dell'età procrastinata, evitando di doversi dare, almeno per qualche anno, all'accattonaggio. E' in ballo, su questo piano, uno “sconto” in mesi di anticipo solo per le lavoratrici madri.
    Sulla questione pensionistica ci pare necessario soffermarsi ancora, fermo restando che, anche a chiunque non sia in malafede nel sostenere gli interessi padronali, risulta lampante come il mantenere a lavorare un lavoratore già anziano, a parte altre considerazioni negative, impedisca l'assunzione di un lavoratore più giovane, limitandone così l'autonomia di vita, oltre a continuare a farlo gravare, direttamente o meno, sul reddito di altro familiare, generalmente più anziano... A questo tipo di dipendenza, sempre meno sostenibile sia, evidentemente, da parte dei giovani, che da parte degli anziani, per i quali il potere d'acquisto si va riducendo sempre più, il Governo non intende certo mettere fine, dato che il Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha ribadito più volte l'intangibilità dell'aumento dell'età pensionabile in accordo con quello della “aspettativa (o speranza) di vita”, essendo divenuto, ormai, un automatico “meccanismo di legge”!...
    A Gennaio '18, infatti, la pensione di vecchiaia dovrebbe andare a 66,7 anni per tutti, per poi raggiungere, già a Gennaio '19, i 67 anni pieni di età. L'Italia raggiungerebbe così la Grecia come il Paese con i pensionandi più anziani d'Europa. Mentre il Governo racconta che i lavoratori italiani sarebbero oggi più longevi (di prima, ma non certo i più longevi!...), omette di dire che già ora, dopo la Legge Fornero, sono divenuti quelli che si godono per meno anni in Europa la “collocazione a riposo”. E non solo, sia nel 2015, che nel primo trimestre 2017, da dati ISTAT, in Italia vi è stato un forte aumento di decessi, non spiegabile certamente con il solo invecchiamento della popolazione verificatosi.
    La questione ha diverse sfaccettature, ed a tali dati contribuiscono certamente, ed in modo determinante, gli effetti della crisi, con la diminuzione della spesa sanitaria pubblica nazionale, il peggioramento delle condizioni di lavoro del personale sanitario, l'aumento dei ticket, nonché l'alto numero di persone costrette a rinunciare alle cure anche in caso di malattie gravi: sono arrivate addirittura a 3,9 milioni!... E chi rinuncia a curarsi, “neanche a farlo apposta”, sono proprio i proletari!...
    Il costo sociale del provvedimento di ulteriore aumento dell'età pensionabile appare sempre più evidente, e la trattativa tra Governo e sindacati confederali, che è stata avviata, si è focalizzata proprio su tale aspetto, anche se, con la CISL praticamente già soddisfatta in partenza, si parla quasi esclusivamente di “categorie da esentare”, e non di rifiuto, mentre le assemblee “di ascolto” dei lavoratori, decise unitariamente dai confederali, non sempre sono state fatte e la CGIL si è limitata ad indire una manifestazione-passeggiata per Sabato 2 Dicembre, peraltro al momento ancora in bilico...
    E' veramente tropo poco, praticamente niente, quanto sta emergendo, a fronte dei numerosi licenziamenti che incombono un po' ovunque nel settore privato, mentre le pretese padronali crescono quanto mai. Un esempio di ciò è quanto avvenuto all'ILVA, dove, mentre a Taranto la pioggia intercetta le polveri della acciaieria, trasformando le strade in fiumi rossi, ARCELOR Mittal e Marcegaglia, i nuovi padroni, nonostante l'occupazione della fabbrica a Genova, ora sospesa per “andare a vedere” il piano industriale, confermano sostanzialmente di voler procedere a licenziare oggi, per assumere, semmai, domani con il “Jobs act”: pretese politiche per affermare un potere sempre più indiscusso ed indiscutibile!
    Alla sempre più evidente insufficienza di quanto esprimono i sindacati ufficiali purtroppo non fa da contraltare il sindacalismo di base che, pur esprimendo molto spesso buoni livelli di conflittualità, non riesce a comprendere quale sia l'obiettivo principale oggi, e cioè quello di colpire concretamente gli interessi del capitale, senza indulgere in pratiche di concorrenza tra sigle sindacali. Esempio di ciò sono i due “scioperi generali”, sacrosanti nei contenuti, ma indetti in date diverse, l'uno per il 27 Ottobre e l'altro per il 10 Novembre, a poca distanza temporale l'uno dall'altro, e troppo spesso senza una adeguata preparazione, mentre è, semmai, proprio sul piano di tale impegno che sarebbe stata comprensibile una competizione...
    A parte il fatto che il ricorso a scioperi generali da parte dei sindacati confederali sembra ormai divenuto solo un'utopia, un miraggio su cui favoleggiare, ormai i due scioperi indetti negli anni in date diverse per l'autunno da parte del sindacalismo di base hanno preso il sapore di un rituale... Non viene capito quanto sia prioritario arrecare effettivamente danni economici concreti attraverso l'arma dello sciopero, piuttosto che la testimonianza di tenere un comportamento a tutti i costi coerente con i propri principi: pare che, come nello sport, l'importante non sia “vincere”, ma “partecipare”. Viene dimenticato tropo spesso, cioè, che il sindacato è uno strumento dei lavoratori e non un fine dei sindacalisti!

    Alternativa di Classe

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