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A SEI ANNI DALLA SCOMPARSA DI LUCIO MAGRI: ATTUALITA’ DELLA QUESTIONE COMUNISTA IN ITALIA

(27 Novembre 2017)

lucio magri

Mi permetto di dedicare questo intervento al ricordo di Lucio Magri del quale ricorre il sesto anniversario della morte.
Non credo di dover sottolineare ulteriormente il ricordo di Lucio, del suo impegno politico, della sua capacità di elaborazione, del suo senso di anticipazione dei processi politici, dell’acutezza delle sue critiche ai limiti e ai ritardi accumulati dalla rappresentanza politica del comunismo italiano, la sua coerente e intellettualmente raffinata opposizione allo scioglimento del PCI. Opposizione che si concretizzò dal punto di vista proprio dell’elaborazione soprattutto attraverso il testo della relazione svolta al convegno di Arco.
Convegno di Arco nel corso del quale la sinistra comunista chiuse in pratica la propria vicenda politica all’interno della storia d’Italia, almeno nella forma più importante che aveva assunto strutturalmente rappresentata appunto dal Partito Comunista.
Personalmente debbo a Magri, l’uomo politico al quale nel corso della mia relativamente breve militanza sono stato più vicino, buona parte dell’impianto di analisi che seguirà: un’analisi espressa nella convinzione che la “questione comunista” in Italia non abbia ancora esaurito la sua capacità di presenza politica.
Una presenza politica sulla quale ci sarebbe da ragionare in particolare nei tempi in cui viviamo caratterizzati da crescita esponenziale di egemonia, in vari forme, da parte dei burattinai del soffocamento capitalistico e dell’occultamento della verità.
Un’analisi alla quale Magri aveva dedicato il suo lavoro più importante “Il sarto di Ulm”: un testo che avrebbe bisogno ancora di essere studiato e portato di più a conoscenza verso chi intende mantenere un impegno politico e culturale, ma soprattutto verso chi pensa di poterlo cominciare.
La rappresentazione prevalente del Novecento appiattisce e condensa tutti gli eventi del secolo in un processo al contempo catastrofico e liberatorio sfociante nel crollo del 1989.
Secondo tale narrazione l’Europa novecentesca è stata l’epicentro principale del teatro della guerra mondiale che, scoppiata come conflitto militare per decidere a quale potenza statale toccasse il dominio sul mondo, per effetto della rivoluzione russo-bolscevica si è trasformata in una prolungata guerra civile mondiale tra capitalismo e comunismo, tra due sistemi opposti sul piano politico, economico, ideologico.
La lotta tra i due contendenti è sfociata in una sconfitta apparentemente definitiva, quella del comunismo sulla quale si sono innestate le teorie della “fine della storia”.
I critici di questo esito, spesso eredi dei “comunisti critici”, sostengono che le attese miracolistiche nel mercato autoregolantesi e nell’innovazione tecnologica non hanno fatto altro che riprodurre e alimentare le cause della crisi, stando alla base del gigantesco processo di finanziarizzazione speculativa dell’economia verificatosi a livello globale i cui effetti, a causa della ferocia nella gestione capitalistica del ciclo, si stanno esprimendo con grandissima forza sulla realtà delle condizioni materiali delle classi lavoratrici, mentre nello stesso tempo si sta sviluppando l’assalto alle condizioni climatiche del pianeta, arrivate al punto tale da mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’umanità nel giro di pochi anni: condizione dettate da un’élite minoritaria che tiene completamente sotto controllo la nostra economia, i nostri processi di decisione politica e la maggior parte dei mezzi di comunicazione.
La vittoria senza argini del capitalismo sembra così riprodurre e rinnovare le motivazioni pratiche e ideali che hanno alimentato il comunismo novecentesco, e al di là di esso molti altri movimenti e posizioni politiche e ideologiche.
La storia non è finita: la democrazia, lungi dal generalizzarsi (nonostante i tentativi di esportarla “sulla punta delle baionette”) si svuota di contenuto anche nei paesi che l’hanno tenuta a battesimo, le enormi diseguaglianze economiche cambiano forma ma aumentano, l’esibizione delle ricchezze e le tragedie della fame convivono nello spettacolo quotidiano inscenato dai media .
Si è cercato di condensare in queste poche righe le ragioni profonde dell’attualità delle idee di eguaglianza, solidarietà e riscatto sociale che stanno alla base di un’esigenza profonda di rinnovamento e di rilancio di un’identità comunista, che potrà per certi versi risultare inedita ma comunque sempre strettamente connessa e intrecciata con il corso della storia del movimento operaio.
L’Italia, sotto quest’aspetto, non è un paese marginale: anzi presenta elementi sotto l’aspetto del portato teorico e politico dai quali poter ripartire per rilanciare questa “attualità del comunismo”.
“Attualità del comunismo” che rappresenta la ragione per la quale questo breve testo è stato scritto.
Il punto di partenza, da questo punto di vista, non potrà che essere il richiamo al “genoma Gramsci”.
Le potenzialità dl pensiero gramsciano possono essere riscoperte sia pure in un contesto totalmente mutato rispetto alla fase nella quale quel pensiero fu espresso originariamente e non esistendo più i soggetti politici cui era riferito.
Anzi proprio il pensiero gramsciano può essere utilizzato per costruire nuove soggettività politiche poste all’altezza dello scontro i cui termini si è cercato di individuare nella prima parte di questo testo.
Quel “genoma Gramsci” lucidamente individuato da Lucio Magri nel suo “sarto di Ulm” definendolo come base di una piattaforma utile per raggiungere quel grado di autonomia teorica che oggi sembra mancare ai soggetti ancora esistenti.
La storia della sinistra comunista italiana fu bruscamente interrotta con il seminario di Arco del settembre 1990. Ciò avvenne nonostante il tentativo svolto proprio da Lucio Magri in quell’occasione con il suo testo “Il nome delle cose” sul quale tutti espressero un consenso verbale, contraddicendolo però nell’inopportunità delle diverse scelte politiche.
In quel caso le responsabilità complessive del gruppo dirigente che si era opposto alla “svolta” furono assolutamente esiziali: Lucio lo intuì subito senza potersi opporre però efficacemente a quella che si presentò come una vera e propria deriva.
Dalla diaspora di Arco, sviluppatasi all’interno dell’area politica che si era opposta al processo di liquidazione del PCI, sorse infatti una complessiva inadeguatezza politica.

Un’inadeguatezza sancita non tanto e non solo dall’incapacità di risolvere il dilemma: governo o opposizione (tradotto nell’incapacità di scegliere tra autonomia e subalternità) ma soprattutto determinante per favorire due scelte tragicamente sbagliate che hanno segnato irrimediabilmente il destino dei soggetti politici residuali da quella diaspora già citata :
1) l’accettazione del modello maggioritario – presidenzialista (fino al limite, esploso successivamente in Sel dell’adozione del modello di partito “personale – elettorale” con esiti molto negativi)
2) la confusione tra autonomia del politico e movimentismo. Una confusione che ebbe nell’occasione del G8 di Genova nel 2001, il suo punto di vera e propria crisi nell’illusione del “movimento dei movimenti”.

Un’inadeguatezza complessiva che ha portato a una sorta di isterilimento politicista che ha coinvolto tutta l’area della sinistra alternativa e che abbiamo visto dimostrarsi con chiarezza in molteplici occasioni nel corso degli anni.
La richiesta che s’intende avanzare in quest’occasione è molto semplice da far emergere quanto complessa da attuare: si tratta di mettere in moto un processo di costruzione dei quadri, all’interno del quale emerga uno spazio chiaro d’indirizzo verso la storia e la ancora possibile realtà della sinistra comunista in Italia.
Senza concessioni a diversi “ismi” principiando da economicismo e movimentismo, ma avviando un lavoro serio di costruzione di ricerca storica e d’identità.
Dal rinnovamento della presenza dei comunisti in un Paese come l’Italia può nascere una possibilità di riannodare le fila di percorsi che forse più di altri hanno qualcosa da dire al tempo presente e al futuro imprevedibile che ci attende: tenuto conto che, nell’articolazione estrema del quadro internazionale con specifica urgenza di quello europeo, ci troviamo di nuovo di fronte a un “caso italiano” all’interno del quale appare decisiva e prioritaria la questione della rappresentanza democratica , un “caso italiano” rovesciato rispetto a quanto avevamo imparato ad osservare decenni addietro.
Un “caso italiano” arretrato all’interno del quale si dovrebbe cercare di riprendere il “filo rosso” della storia.

Franco Astengo

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