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Marco Ferrando: perché il Movimento 5 Stelle è un “movimento reazionario di massa”

(26 Gennaio 2018)

Il sito Il Pane e le rose è stato tra quelli che, nell'ambito della sinistra di classe, meno hanno concesso circa la possibilità di usare “da sinistra” i successi elettorali del Movimento 5 Stelle. Alla luce dei fatti odierni, si è trattato d'un atteggiamento sensato ma forse è venuto il momento di spendere parole definitive sulla suddetta organizzazione politica. Per questo, non solo al fine di dissipare le residue illusioni attorno alla creatura di Gianroberto Casaleggio ma anche per collocarla correttamente nel quadro politico italiano, vi presentiamo una conversazione con Marco Ferrando. Le definizioni usate dal portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori sono indubbiamente forti, ma si fondano su una precisa analisi del blocco sociale di riferimento dei “grillini”.

Marco Ferrando

Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL

Anzitutto, vorremmo tue valutazioni circa il consenso elettorale di cui il Movimento gode nei settori popolari...
Credo che tra le ragioni fondamentali vi siano la crisi del movimento operaio e il connesso arretramento della coscienza politica della classe lavoratrice. Stiamo parlando di evidenti responsabilità da parte dei dirigenti politici e sindacali della sinistra italiana. Si pensi solo al fatto che, al piede di partenza di una devastante crisi economica, il governo Prodi s'è reso responsabile della più grande detassazione dei profitti – dell'Ires (Imposta sul reddito delle società) in particolare – mai vista sino ad allora, passata anche con i voti di Rifondazione Comunista. Le burocrazie sindacali confederali, poi, proprio negli anni più bui della crisi hanno, quasi azzerato le spinte conflittuali, giungendo a indire solo tre ore di sciopero contro la Legge Fornero. In questo quadro, la disperazione prodotta dalle gravi difficoltà economiche ha spinto le masse popolari a cercare una sponda diversa da quelle tradizionali, trovandola nel Movimento 5 Stelle.

Per questa capacità di intercettare un disagio sociale diffuso i 5 stelle sono stati spesso accostati a una realtà della politica spagnola come Podemos...

Podemos, però, è una realtà diversa, perché ha un imprinting di sinistra. E si rapporta di più alle lotte: la sua ascesa, in Spagna, è anche legata alla capacità di misurarsi con la mobilitazione degli indignados e le battaglie dei minatori e dei lavoratori dei cantieri. Poi, certo, Podemos rimane pur sempre un'espressione politica distorta di una dinamica progressiva, perché riconduce le spinte classiste al civismo e al riformismo. Ma i 5 Stelle si sono affermati in un contesto profondamente diverso, perché fortemente segnato dal riflusso. Il consenso di cui beneficiano nella classe operaia industriale è la misura indiretta del dramma che s'è consumato nella sinistra di questo paese. Un dramma confermato dalla tendenza ad abbellire il grillismo. Si pensi a Bersani che vagheggia un fantomatico governo progressista con i pentastellati. O a posizioni sbagliate emerse in organizzazioni collocate più a sinistra, come la Rete dei Comunisti che, per un certo periodo, ha assunto questo movimento come una sorta di interlocutore privilegiato del movimento operaio. Questo, mentre importanti esponenti pentastellati, a partire da Beppe Grillo, mettevano pubblicamente in discussione non tanto l'operato delle organizzazioni dei lavoratori, ma l'idea stessa di sindacato.

A questo punto andrebbero spese della parole circa la vera natura del Movimento...
A nostro avviso, pur con alcune peculiarità, il Movimento 5 Stelle ha tutti i requisiti classici del movimento reazionario di massa. Lo si può definire come una variante originale del populismo montante in tutta Europa. Con una spiccata, e sempre più chiara, vocazione filo-padronale. Il suo programma economico-sociale, imperniato sulla centralità dell'impresa capitalistica e sull'ulteriore abbattimento dell'Ires, è in fondo un programma confindustriale classico. La questione è che, per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, andrebbe distinto il blocco elettorale da quello sociale. Il blocco elettorale dei grillini comprende ampi settori popolari, con una forte presenza del proletariato industriale e del precariato giovanile. Ma il blocco sociale di riferimento è borghese, legato in particolare alla piccola e media borghesia, ossia a classi che, storicamente, non possono giungere a una vera autonomia dal grande capitale. Non a caso, tra i loro candidati, in questa tornata elettorale, ci sono molti imprenditori.

A questo proposito, si può dire che i grillini vengono attaccati dalla stampa berlusconiana perché ritenuti concorrenti nella difesa degli stessi interessi sociali?
Sì, è vero, c'è uno sconfinamento nel territorio di rappresentanza tipico di Forza Italia e dei suoi alleati. Ma da parte di Berlusconi e soci vedo anche una precisa operazione politica, nata dalla consapevolezza delle gravi difficoltà del Pd: ossia la tendenza a presentarsi come “voto utile” - riutilizzando a proprio vantaggio una retorica per anni scagliata contro il Cavaliere – in quanto unica forza capace di arginare l'ascesa pentastellata, narrata come un salto nel buio.

In verità, oggi, anche i 5 Stelle cercano di presentarsi come solida forza di governo...

Certamente. All'inizio, il Movimento adottava una postura neo-sovranista, in concorrenza con la Lega. Dominava allora lo spartito del referendum sull'euro, poi, però, due fattori hanno spinto a stemperare queste posizioni. Il primo è la minor presa della tematica anti-euro e Ue dopo la Brexit. I rischi di instabilità dei mercati e la paura per una situazione piena di incognite hanno portato ampi settori di piccola e media borghesia a diluire il proprio euroscetticismo. Il secondo elemento è che, in considerazione della già accennata crisi del Pd, risulta appunto forte la spinta ad accreditarsi, presso il grande capitale come forza di gestione dell'esistente, il che implica la piena assunzione delle compatibilità e dei vincoli imposti dall'UE.

Diciamo che l'immagine di alterità del Movimento è attualmente affidata ad altri elementi, come la pratica di quella che chiamano, con molte forzature, “democrazia diretta”...

Anche questo è uno dei tratti del movimento reazionario di massa: attraverso la retorica sulla democrazia diretta si passare l'esaltazione del mito plebiscitario, con il capo che riceve continuamente il plauso di una massa di sostenitori passivi. I gruppi dirigenti non sono formalmente eletti da nessuno e l'unico oggetto di pronunciamento collettivo sono gli editti del capo da votare su internet. Insomma, la cultura plebiscitaria trova una rappresentazione estrema e caricaturale, mentre si spaccia come ritrovato principio democratico la vecchia solfa reazionaria del leader supremo. Per non dire del ruolo della Casaleggio Associati, che ha imposto un garante (Grillo), che è una figura vitalizia e ha selezionato tutta l'infrastruttura del Movimento, nonché indicato Di Maio come candidato alla Presidenza del Consiglio. Una vicenda che ricorda, in piccolo, i rapporti tra Publitalia e l'avventura politica berlusconiana.

Adesso emerge con chiarezza, ma per lungo tempo il funzionamento interno del Movimento è risultato piuttosto opaco. Così come poco chiari continuano ad apparire i suoi riferimenti internazionali...
Secondo noi, anche certi sodalizi politici su scala europea sono indicativi della vera natura del movimento: si pensi a quello delineatosi, nel Parlamento di Strasburgo, con l'ultra-reazionario Ukip di Nigel Farage, frutto della iniziale tendenza “sovranista” del Movimento. Quando si è cominciato a mitigarla, è stato avviato il pasticciato – e non riuscito – tentativo di entrare nell'Alleanza dei Liberali e Democratici per l'Europa, quella di Mario Monti, per intenderci. Vediamo come e con chi i 5 Stelle si collocheranno in futuro. Intanto, però, è significativa, sul piano programmatico, la scelta di celebrare la Riforma fiscale voluta, negli USA, da Donald Trump: un provvedimento pensato a totale vantaggio del padronato, con un fortissimo abbattimento delle aliquote fiscali per le imprese. Non è privo di rilievo neppure il continuo complimentarsi con Emmanuel Macron, dipinto come liquidatore dei vecchi partiti ma soprattutto a capo di un esecutivo che sta portando avanti una massiccia offensiva contro il mondo del lavoro. Queste opzioni continuano ad essere ignorate a sinistra, mentre sarebbe necessario denunciarle, soprattutto per riscattarsi dall'aver indicato nei grillini un possibile referente delle lotte sociali.

A sinistra, sono state più che altro criticate le loro posizioni, assai becere, sull'immigrazione. A questo riguardo si può dire che esse non solo ideologiche, basandosi pure su interessi concreti?
Naturalmente sì: quando vuoi rappresentare la piccola e media impresa ti fai carico anche della cultura del super-sfruttamento degli immigrati. Del resto, tutti sanno che l'attuale ondata migratoria di massa, dall'Africa e non solo, non può essere veramente fermata, ma mantenendo gli immigrati nella condizione di persone senza diritti li si rende più ricattabili e si fa in modo che continuino ad essere la base della prosperità di quelle piccole e medie imprese che sono sopravvissute alla crisi. Va poi segnalato che il salto di qualità compiuto dal governo italiano l'estate scorsa, con la criminalizzazione delle ONG impegnate nei salvataggi nel Mediterraneo, si deve anche alla pressione del Movimento 5 Stelle che, muovendo appunto da motivazioni materiali simili a quelle delle forze canonicamente di destra, ha finito per assumere, rispetto agli immigrati, un approccio particolarmente spietato.

Ora, se il quadro è questo, rimane però il problema di come arginare questa forza, che almeno sin qui ha contribuito a diffondere illusioni nella classe lavoratrice...
Anzitutto occorre dire la verità, sul piano politico, a quei lavoratori che per noi rimangono il referente sociale. Il PCL ha fatto dell'opposizione al grillismo un proprio tratto distintivo, all'interno di una campagna che denuncia l'esistenza, in Italia, di 3 destre: il Pd e i suoi satelliti, Berlusconi-Salvini-Meloni e, appunto, i 5 Stelle. Ovviamente, denunciarne la vera natura non basta: se i pentastellati hanno tratto beneficio dal riflusso, è evidente che solo la ripresa del conflitto sociale può incrinarne il blocco sociale, separando gli operai che continuano a votarli da quei padroni grandi e piccoli che hanno trovato in loro un consono riferimento politico. Occorre una svolta unitaria del movimento operaio italiano, basata su un programma nitido e su una vertenza generale ed unificante. In una situazione di crisi come l'attuale, non ha senso pensare a scenari come quello prodottosi durante l'autunno caldo, in una fase di boom economico. Allora, le vertenze vittoriose in singoli comparti riuscivano ad alimentare una dinamica positiva. Oggi, si possono ottenere risultati significativi solo mediante una mobilitazione unitaria del fronte di classe.

Per chiarezza, puoi riferirci uno o due punti fondamentali di questo programma che dovrebbe unificare il movimento operaio?
Certo. Per noi è in primo luogo essenziale la battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario: un'istanza storicamente sempre presente nelle fasi di crisi, che rimanda alla ripartizione fra tutti del lavoro che c'è. Purtroppo le forze politiche e sindacali della sinistra qui non ne fanno menzione, con la lodevole eccezione dell'opposizione interna alla Cgil, in cui sono presenti, tra gli altri, anche nostri compagni. A ben vedere, in Italia tale rivendicazione sarebbe ancor più pregnante che altrove: non dimentichiamoci che, tra i grandi paesi capitalistici europei a maturazione imperialista, il nostro è quello che ha perso di più in termini di produzione industriale. Per cui, oggi, è necessario lanciare la battaglia per le 32 ore, come base di partenza per ulteriori riduzioni dell'orario di lavoro. Un'altra rivendicazione per noi importante è quella dell'abolizione del debito pubblico nei confronti di banche e assicurazioni. Non la rinegoziazione di cui si parla in certi ambienti della sinistra alternativa, perché questa in Grecia ha portato sì ad una parziale riduzione del debito, però con la condizione di esser più fiscali nel suo pagamento, il che ha prodotto politiche antipopolari. L'Italia spende cifre astronomiche per riempire le tasche dei banchieri, limitando fortemente la possibilità di adeguate politiche sociali. D'altra parte, anche solo per abolire la Legge Fornero si deve passare per la cancellazione del debito pubblico, a meno che l'agitazione di questa istanza non sia solo propagandistica, come nel caso della Lega di Salvini.

Tra le vostre rivendicazioni, una delle più audaci concerne il superamento della natura privata degli Istituti di Credito...
Sì, per noi questo è un altro punto qualificante: si deve arrivare alla nazionalizzazione delle banche, con la creazione di un solo istituto pubblico. Ciò può tra l'altro arginare i diffusi fenomeni di criminalità finanziaria e di evasione fiscale, poiché le banche evadono per proprio conto e sono spesso il canale attraverso il quale i grandi clienti veicolano l'esportazione all'estero dei capitali. Inoltre, una banca pubblica sotto controllo sociale permette di procedere alla riorganizzazione dell'intera società, nel segno di un ruolo decisivo da parte dei lavoratori. E' una prospettiva, la nostra, che va oltre la Costituzione del 1948, in cui si parla di indennizzi: un'impostazione che, nel caso della nazionalizzazione dell'energia elettrica (1962), ha portato milioni di italiani a doverne pagare il costo per anni, nelle bollette. Siamo contrari a un simile impianto perché i capitalisti, gli indennizzi, se li sono già presi, attraverso decenni di appropriazione della ricchezza collettiva. Da ciò si potrà intuire una differenza rilevante tra noi e l'aggregazione politico-elettorale denominata Potere al Popolo. Nel programma di quest'ultima forza, il problema viene limitato al liberismo e ci si richiama alla necessità dell'intervento statale in economia. Ma a ben vedere lo Stato è già presente in questa sfera, e diffusamente, però nell'ottica di assistere il capitale, di risolvergli i problemi quando si trova in difficoltà, per far ripartire la macchina dello sfruttamento. La questione, quindi, è un'altra: occorre muoversi verso un'autentica socializzazione dell'economia, con nazionalizzazioni che coincidano con il controllo dell'attività produttiva da parte dei lavoratori. Una prospettiva che rinvia al superamento del capitalismo e non solo all'archiviazione, necessaria ma assolutamente insufficiente, delle politiche liberiste.

A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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