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Sul Congresso per il Dialogo Nazionale Siriano tenutosi a Sochi il 29 e 30 gennaio

(3 Febbraio 2018)

sochi

Sono passati più di 5 anni da quando, nel giugno 2012, si è tenuta a Ginevra, con l’appoggio dell’ONU, la prima Conferenza Internazionale sulla questione siriana. Il 25 e il 26 gennaio scorsi, ha avuto luogo, stavolta a Vienna, la nona edizione di un appuntamento sempre più rituale, da cui non sono mai sortite serie proposte per giungere alla pace in un paese dilaniato da anni di terribile conflitto. Al riguardo, è interessante confrontarsi con il punto di vista dell’opposizione siriana democratica, quella che ha sempre criticato l’idea che il superamento del regime di Assad potesse passare solo per la lotta armata, ossia per un’opzione tale creare dipendenza dalle potenze fornitrici di armi, più interessate a giocare le proprie partite geopolitiche che a “liberare” veramente qualcuno. Ad avviso di queste componenti della scena politica siriana, il punto è che dalle Conferenze di Ginevra sono state tenute fuori proprio le istanze di quei soggetti che hanno cercato d’indicare una concreta via d’uscita a un impressionante, e ormai di lunga durata, bagno di sangue. Una scelta dovuta alle pressioni dei grandi paesi imperialistici, che ha portato in particolare l’Europa a smentire nei fatti la propria rasserenante immagine di paladina dei diritti umani. I più importanti paesi dell’UE, infatti, nulla hanno sin qui fatto per sostenere i veri combattenti per i diritti umani, appoggiando forze che hanno gravi responsabilità nel disastro attuale. Si pensi alla Francia, un paese che da sempre pone come suo valore fondativo la laicità. Bene, la diplomazia di questo paese da tempo ha assunto, come interlocutore in Siria, una organizzazione che troppo laica non è: la Fratellanza Musulmana. La quale, oltre ad abbracciare la lotta armata, ha diffuso negli anni passati infuocati appelli alla mobilitazione religiosa internazionale contro il regime di Assad. Il che ha contribuito a connotare in senso confessionale lo scontro in atto in Siria, facendolo percepire come una contesa armata tra i sunniti e un potere in mano agli sciiti. Di più, gli inviti lanciati dalla Fratellanza sono stati anche uno dei fattori che hanno creato lo spazio favorevole all’azione di espressioni dell’islam politico ben più estreme nell’assoggettare ogni istanza della vita civile all’elemento religioso. In sostanza, lo spregiudicato modo di agire di certe potenze ha prodotto mostri o, almeno, alcune delle condizioni necessarie all’affermazione di realtà come l’ISIS, con la sua versione allucinata e stravolta della religione islamica e la sua inesorabile logica di morte. Ma se la situazione è scoraggiante, i Democratici Siriani non demordono e cercano di cogliere ogni occasione per trovare sostegno ai disegni di pace che vanno promuovendo da tempo. Lo conferma lo conferma la loro presenza all Congresso per il Dialogo Nazionale Siriano, tenutosi a Sochi il 29 e il 30 gennaio e organizzato dal governo russo con l'accordo di Turchia e Iran. Un avvenimento che ha visto la partecipazione di 1500 personalità della società civile siriana: sindacalisti, ingegneri, medici, politici, magistrati, persone di etnia araba, curda ecc. Ora, pur trattandosi di donne e uomini dai percorsi di vita significativi, il nostro interlocutore Ahmed Kzzo, Dottore in Archeologia e membro del Congresso Democratico Siriano, tiene a precisare che se “1500 è un grosso numero”, noi “non pretendiamo che siano gli unici rappresentanti del popolo siriano”. In questo Congresso si è discusso di questioni urgenti e di grande drammaticità, come la dura condizione dei detenuti nelle carceri del regime e il frequente ricorso ai sequestri di persona da parte dei ribelli armati. E si è toccato pure il nodo, altrettanto stringente, del cessate il fuoco. Ma la discussione s'è molto concentrata sul futuro, cercando, ad esempio, di misurarsi con il tema della formazione di una Commissione Costituente, che dovrebbe essere composta da 30-50 membri (al momento, è stata proposta una rosa di 200 nomi, sulla base della quale operare una selezione). Perché occorre inziare a pensare alla forma che potrebbe prendere, in futuro, una Siria possibilmente pacificata. In quest’ottica, ci ricorda Ahmed, un principio che è stato riaffermato con vigore è quello della laicità. Mentre nelle suddette Conferenze, sponsorizzate dalle potenze occidentali, le opposizioni armate hanno spinto per far considerare la laicità un concetto tabù, nel Congresso per il Dialogo Nazionale Siriano essa è stata un tema spartiacque. Tanto da coincidere con l’idea stessa di pace, ossia con la possibilità di neutralizzare uno dei principali fattori del conflitto. Secondo il nostro contatto chi, oggi, “non accetta la laicità minaccia ogni siriano e pratica l’aggressione verso l’altro”. Non solo, ma è inaccettabile che, come scusa per non dar peso a questa istanza, si adduca il fatto che la maggioranza dei siriani sono musulmani. Sostenere la laicità non vuol dire essere contro le questa o quella religione ma, al contrario, delineare uno spazio pubblico in cui persone di diverso credo possano coesistere in pace, senza che nessuno gruppo confessionale agisca prevaricazioni contro l’altro. Inoltre, si fa un torto ai siriani di fede islamica se si pensa che la loro visione dei rapporti tra dimensione religiosa e sfera politica coincida con quella portata avanti nel paese da quei settori fanatici che non si sarebbero affermati senza un cruento contesto bellico. I più, in Siria, non vogliono sentir parlare di applicazione integrale della Sharia, né di aberrazioni come le punizioni corporali in caso di rapporti sessuali extramatrimoniali. Per non dire del fatto che ribadire il valore della laicità vuol dire costringere in un angolo quelle forze dell’islam politico che, propagandisticamente, offrono ai poveri la sharia stessa come prospettiva di salvezza, distogliendo l’attenzione dalle misure politiche e sociali che sarebbero invece necessarie per combattere la miseria.

Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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