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I sindacati di regime alla prova dello sciopero alla Amazon

(14 Febbraio 2018)

DA "Il Partito Comunista", n. 387, gennaio-febbraio 2018

Venerdì 24 novembre 2017 sono scesi in sciopero per la prima volta dalla sua costruzione i lavoratori del gigantesco magazzino logistico Amazon di Castel San Giovanni, a Piacenza.

L’area piacentina per la sua collocazione geografica è un crocevia fondamentale per il traffico delle merci ed il settore logistico vi ha avuto un notevole sviluppo, come d’altronde in tutta l’Emilia e più in generale nella Pianura Padana. Non è un caso quindi che il gigante statunitense del commercio elettronico l’abbia individuata per impiantarvi il proprio stabilimento, nato una decina di anni fa e che oggi occupa 1.800 dipendenti diretti e una quota variabile di lavoratori assunti tramite agenzie interinali, che nei periodi di picco produttivo raddoppiano la forza lavoro presente in magazzino, che può raggiungere le 3.500 unità.

Non è nemmeno un caso che l’area piacentina sia stata una delle prime in cui ha messo radici il movimento di lotta operaia del settore logistico, che mosse i suoi primi passi nel 2008 e che qui vide il sindacato SI Cobas condurre una prima grande battaglia nel magazzino della TNT nel luglio 2011. Oggi nel magazzino piacentino della TNT lavorano circa 320 operai (di cui una novantina con contratto a tempo determinato), quasi tutti iscritti al SI Cobas, dopo che con le lotte sono riusciti a conquistare notevoli miglioramenti. Oltre che alla TNT il SI Cobas si è diffuso in vari altri magazzini nella provincia, come alla GLS e alla Tranconf di Montale, alla XPO di Le Mose e di Pontenure, al magazzino Le Roy Merlyn di Castel San Giovanni, a pochi metri da quello di Amazon.

Le ragioni dello sviluppo del movimento di lotta operaia nel settore logistico in questi anni ci sembrano riducibili alle seguenti:
- l’elevato grado di sfruttamento dei lavoratori del settore, superiore a quello medio della classe lavoratrice in Italia (va però notato che tale grado di sfruttamento si riscontra anche in altri settori) che ha generato rabbia e disponibilità alla lotta;
- la presenza di magazzini in cui sono concentrati da decine a centinaia di operai, offrendo a questi la forza del numero;
- l’efficacia degli scioperi che hanno condotto ad effettivi miglioramenti nelle condizioni di lavoro;
- la crescita economica del settore;
- l’assenza del ricatto della chiusura e delocalizzazione degli stabilimenti, data la natura e la funzione del magazzino logistico;
- l’assenza d’iniziativa da parte dei sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) che in questo settore sono ancor più compromessi col padronato, attraverso il sistema delle cooperative, di quanto lo siano in genere nei posti di lavoro.

Il magazzino Amazon, il più grande impianto logistico d’Italia, è rimasto però una fortezza inespugnabile per il SI Cobas, nonostante in quelli tutt’attorno sventolino le sue bandiere. Questo sindacato può contare solo su un piccolissimo gruppo di iscritti, troppo debole per un’azione di lotta.

Amazon opera diversamente dalle altre aziende logistiche per due circostanze: non applica il Contratto nazionale Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni ma quello del Commercio; in secondo luogo non utilizza il sistema dell’appalto e del subappalto attraverso cooperative e consorzi di cooperative ma assolda la forza lavoro temporanea attraverso le agenzie interinali.

Questi fattori, insieme al rigidissimo controllo e terrore interno e all’elevato grado di sostituzione del personale (turn over) devono aver contribuito a mantenere sinora la pace sociale all’interno dell’impianto.

Ma paradisi aziendali senza sfruttamento e lotta di classe non esistono e quest’anno il baraccone ha iniziato a scricchiolare.

I lavoratori però in questo caso hanno trovato parziale ascolto ed uno strumento organizzativo nei sindacati di regime i quali, diversamente da quanto in genere accade nel settore logistico, hanno assunto l’iniziativa dell’azione di lotta. Forse le rispettive categorie del commercio – Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Ugl Terziario – sono un poco “meno peggio” di quelle, corrottissime, del settore logistico (Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti, Ugl Trasporti)?

Fatte le assemblee coi lavoratori questi sindacati hanno così deciso di promuovere lo sciopero e di farlo in un giorno del tutto particolare, di picco produttivo, ossia nel cosiddetto “black friday”, una giornata tradizionalmente dedicata agli acquisti negli Stati Uniti e che col tempo si sta diffondendo anche in Europa ed in Italia.

La principale rivendicazione da parte dei lavoratori e dei sindacati era quella del riconoscimento di un premio di produzione, così da aumentare il salario complessivo.

Un’azione coraggiosa, sarebbe dunque sembrato, da parte di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, ma, come si suol dire, buon sangue non mente. La natura collaborazionista di questi sindacati si è palesata nell’aver sì organizzato lo sciopero nella giornata del black friday ma di averlo voluto fare rifiutandosi di dispiegare un picchetto che dissuadesse i crumiri dall’entrare a lavorare, che desse ai lavoratori somministrati la scusa per giustificare il loro eventuale mancato ingresso in azienda fornendo loro un escamotage per la partecipazione allo sciopero ed infine, fattore fondamentale, che bloccasse l’ingresso e l’uscita dei camion. Cgil, Cisl, Uil e Ugl – com’è loro costume – si sono limitati ad organizzare un innocuo presidio dinanzi lo stabilimento, anche abbastanza nutrito, con oltre un centinaio di lavoratori, a dimostrazione che vi era da parte di questi la disponibilità a lottare.

Così organizzato lo sciopero si è risolto in un fallimento, nel senso che non ha interferito con l’attività produttiva. Secondo fonte sindacale avrebbe infatti aderito circa il 50% dei dipendenti diretti. Gli altri, insieme agli interinali, hanno sopperito all’assenza degli scioperanti, permettendo all’azienda di affermare che non vi sarebbero stati ritardi nelle consegne.

La radicalità nella scelta del giorno dello sciopero è stata così completamente vanificata dalla modalità con cui lo sciopero è stato dispiegato davanti ai cancelli.

La logica dell’azione dei sindacati di regime è sempre la stessa: con lo sciopero non intendono danneggiare l’azienda ma solo accreditarsi ad essa quali interlocutori in un sistema di consultazioni – la cosiddetta “concertazione” – dal quale dovrebbero cadere alcune briciole per i lavoratori. Solo che queste briciole sono sempre più piccole, impercettibili.

Da parte sua il SI Cobas in questo frangente ha dimostrato ancora una volta di essere una spanna al disopra del livello medio del sindacalismo di base. Infatti, nonostante lo sciopero fosse proclamato da sindacati che esso stesso – giustamente – condanna come al servizio dei padroni, non lo ha boicottato bensì ha dato ai lavoratori indicazione di aderirvi. E non si è limitato ad un’adesione verbale ma, nell’arco di circa 36 ore, ha organizzato la partecipazione di un centinaio di suoi operai a un presidio dinanzi Amazon. Ha cioè applicato nel modo più coerente e conseguente il principio dell’unità d’azione dei lavoratori, portando il suo sostegno alla lotta, a prescindere dai sindacati che l’avevano promossa, visto che questi ancora controllavano, e controllano, la maggior parte dei lavoratori del magazzino.

Significativamente, un ingente schieramento poliziesco si è schierato fra il presidio dei lavoratori inquadrati nei sindacati di regime e quello del SI Cobas, a dare pratica esecuzione alla strategia padronale di dividere i lavoratori.

Altro elemento che ha provato una buona dose di intelligenza sindacale da parte del SI Cobas è stato quello di rispettare la volontà dei lavoratori di non operare il blocco delle merci, limitandosi a denunciare l’erroneità di tale scelta durante il presidio.

D’altronde i fatti successivi hanno parlato chiaramente ai lavoratori, con l’azienda che si è fatta apertamente beffe delle loro rivendicazioni e dell’azione dei sindacati collaborazionisti. Dopo lo sciopero, a fine novembre, l’azienda ha chiesto ai sindacati di fare slittare l’incontro successivamente alle festività natalizie, intorno al 18 gennaio per affrontare il tema delle condizioni dei lavoratori in condizioni “più serene e sgombre da pregiudiziali”! Questo nonostante i sindacati di regime avessero ulteriormente calato le braghe offrendo la disponibilità di sospendere lo stato di agitazione purché si iniziasse il confronto entro il 6 dicembre.

In tutta risposta Amazon si era detta disponibile ad incontrare i lavoratori... singolarmente! mettendo da parte il sindacato.

Poi, svoltosi effettivamente un incontro il 10 dicembre, quello successivo del 19 dicembre è stato disertato all’ultimo momento dall’azienda, il cui rappresentante non si è presentato, affermando esservi “troppa tensione”! Si trattava di una ripicca per non aver ricevuto soddisfazione da parte dei sindacati alla richiesta di non svolgere ulteriori assemblee retribuite interne nei giorni precedenti il Natale e di spostarle successivamente, per non intaccare l’attività produttiva. Cgil, Cisl, Uil e Ugl non hanno accettato e di, fronte alla diserzione dell’incontro da parte di Amazon, hanno risposto con uno sciopero ancor più blando del precedente, del 24 novembre: 2 ore a fine turno, al solito con presidio, cioè senza blocco.

Questo balletto fra le parti ancora dura e vedremo per quanto durerà: da un lato un’azienda poco interessata a ricorrere ai metodi del collaborazionismo sindacale per mantenere l’ordine produttivo e la sottomissione operaia nello stabilimento; dall’altra lo stuolo di sindacati di regime che finge d’organizzare la lotta ma lo fa accuratamente evitando di procurare eccessivo danno all’azienda.

L’alternativa sindacale per i lavoratori Amazon è vicina e visibile e, presto o tardi, la imboccheranno ed anche questo fortino padronale sarà espugnato dalla lotta operaia.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

Fonte

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