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James Mattis

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Nel documento letto dal piantagrane Trump, presidente degli Stati Uniti dal gennaio 2017, ma scritto da James Mattis, Segretario alla Difesa, gli Stati più citati come una minaccia alla sicurezza e agli interessi politici e soprattutto economici degli Stati Uniti sono la Cina (citata 33 volte), la Russia (25), l'Iran (17) e la Corea del Nord (16). Monta arrogante la voce del più forte che rivendica apertamente l'uso sia della sua diplomazia (sull'aggettivo "segreto" si sorvola) sia dei suoi strumenti militari sia economici, e possiamo aspettarci nel prossimo futuro un valzer di alleanze delle medie e piccole potenze per corteggiare i grandi imperialismi in guerra per il mercato mondiale.

Il grande nemico degli Stati Uniti viene chiaramente identificato nella Cina, largamente in testa fra i nemici della grande nazione americana. Del resto se la Cina avesse la stessa franchezza metterebbe ugualmente Washington al primo posto!

Per quanto riguarda il Medio Oriente, ora è chiaro che gli Stati Uniti sono lontani dal ritirarsi dalla regione come promesso dal “pacifista” Obama. Né lui né Trump hanno toccato la massiccia presenza militare statunitense nel Golfo, e con la presidenza Trump sono aumentate le truppe Usa in Iraq e in Siria! L'Iran ora diventa l'obbiettivo principale della diplomazia americana in Medio Oriente. Ma già prima la diplomazia più "cortese" di Obama aveva lo stesso scopo. Si trattava e si tratta di contrastare l'azione del potente dragone cinese, che si nasconde in giro per il mondo, spesso accompagnato dal piccolo orso russo.

Trump e Mattis (ex generale dei Marines nelle guerre in Afghanistan e in Iraq, dal piglio arrogante) denunciano l'espansione regionale dell'Iran con la sua influenza su un territorio che attraversa il Medio Oriente dal Golfo Persico al Mediterraneo: in Iraq (dove l'intervento americano ha sbarazzato l'Iran del nemico Saddam Hussein), in Siria (attraverso il sostegno di Teheran a Bashar Assad, con la complicità con la Russia), in Libano (alleato di fatto alla milizia degli Hezbollah). Teheran sarebbe anche responsabile della mancata risoluzione della questione palestinese a causa del sostegno dell'Iran ad Hamas.

La diplomazia americana cerca quindi un riavvicinamento con Israele, che si riconferma la fortezza degli USA, e con quegli Stati arabi sunniti che si sentono minacciati dall'Iran. È noto che le reazioni che hanno fatto seguito alla decisione a tutto volume di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele ha incontrato reazioni tenui tra i governi arabi della regione, tra cui quelli dell'Arabia Saudita e dell'Egitto. Il "salvatore" Ben Salman in Arabia Saudita – che concede "generosamente" alcuni diritti alle donne ma imprigiona per “reati economici”, in realtà politici – era solo in attesa di questo, essendo l'Iran la potenza regionale più pericolosa per il suo Paese (i due Stati sono schierati su fronti opposti nella guerra in Yemen), superando in questo la Turchia.

Ma l'Iran ha altre risorse. A causa dell'errore tattico del blocco economico saudita contro il Qatar, in ritorsione del sostegno dato questo ai Fratelli Musulmani e per colpire il canale televisivo di Al Jazeera, Teheran, e la Turchia, hanno potuto riavvicinarsi a Doha con cui l'Iran condivide lo sfruttamento del più grande giacimento di gas naturale del mondo. Inoltre Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è stato il centro commerciale dell'Iran durante il periodo delle sanzioni ed è oggi la capitale finanziaria di quel Paese!

La questione della risoluzione del problema palestinese è sempre più secondaria per tutte le borghesie, ad eccezione di quelle rappresentate a Bruxelles che ancora persistono nel nominare uno Stato palestinese a cui nessuno crede, compresa una buona maggioranza dei palestinesi, presi nella morsa tra la repressione esercitata dell'Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza da un lato e quella israeliana dall'altro.

Infine il grande gioco sulla scacchiera regionale continua con l'entrata di truppe turche nel nord della Siria per attaccare la città di Afrin, controllata dal 2012 dalle Forze Democratiche Siriane, vicine al PKK, con lo scopo di impedire la formazione di una zona controllata dalle milizie curde sul confine siriano con la Turchia, un'azione per la quale certamente Erdo?an ha ottenuto l'assenso di Mosca.

Il generale Mattis ha dichiarato che «comprende le legittime preoccupazioni di sicurezza» di Ankara (“Le Monde”, 24 gennaio), quindi l'"alleato" statunitense non interverrà e lascerà che i curdi vengano di nuovo calpestati. Si tratta ancora una volta per i clan curdi di prendere atto che la loro funzione di mercenari li espone ad essere da tutti sfruttati e traditi.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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