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(13 Settembre 2010) Enzo Apicella
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Alternanza scuola-lavoro: sfruttare uno studente, licenziare un lavoratore

Uno sguardo approfondito sull'alternanza scuola-lavoro, sul suo funzionamento e sui suoi veri obiettivi

(10 Marzo 2018)

alternanza scuola-lavoro

Studente di istituto professionale indirizzo meccanico di La Spezia costretto a quaranta giorni di prognosi per frattura alla tibia dovuta ad un muletto ribaltatoglisi addosso, presso un'azienda specializzata nella revisione e riparazione di motori nautici e industriali. Quattro studentesse minorenni molestate sessualmente più volte dal tutor esterno in un centro estetico di Monza, a luglio scorso. Studenti e studentesse camerieri gratis in varie catene di fast food e non solo, a lavorare all'Ilva di Taranto, a volantinare e pulire bagni per 12 ore e senza pausa, a spillare birre... L’elenco è lungo.
Il governo Gentiloni e la ministra Fedeli riconfermano un modello che dai tempi della riforma Moratti nel 2005 passando per la Gelmini nel 2010 diventa finalmente obbligatorio grazie alla Buona scuola, legge 107/2015: non solo una scuola dell'obbligo classista ed elitista disegnata sulle esigenze del mercato, con docenti precari, tagli al budget etc., ma anche e soprattutto la legalizzazione dello sfruttamento dello studente medio direttamente sul mercato del lavoro, in linea con le premesse del Jobs Act e grazie all'ultima finanziaria.


L'ALTERNANZA SCUOLA- LAVORO: ENNESIMA FACCIA DELLA "UBERIZZAZIONE" DEI GIOVANI

Accanto alla situazione disastrosa che coinvolge gli studenti universitari, fra tirocini e stage dequalificati, fra il sommerso, l'illegale, e il lavoro gratuito; accanto alla situazione dei giovani inseriti, privi di mezzi e tutele, con stipendi da fame e zero potere contrattuale (grazie ai contratti di apprendistato made in Jobs Act), lavori a chiamata, contratti a tutele crescenti, lo sfruttamento 3.0 dei riders fattorini di Deliveroo, Foodora, Just Eat e altri... quest'anno l'offensiva continua, con l'obbligo definitivo di svolgere cosiddetti percorsi di alternanza scuola-lavoro per tutte le studentesse e gli studenti del triennio delle scuole superiori italiane. Un milione e mezzo circa di giovani, soprattutto minorenni, dovranno dedicare a questa ''parte del percorso formativo'' 200 ore nei licei, e 400 ore rispettivamente negli istituti tecnici e professionali. Ma non saranno i primi. Infatti già nell’anno scolastico 2014/2015 gli studenti partecipanti erano 273.000, e il 54% delle scuole aderiva all'alternanza. Nel 2015/2016 i numeri sono aumentati a 652.641 studenti. Gli istituti rientranti nel progetto sono saliti fino al 96%. Si sono moltiplicati i casi da 11.585 a 29.437.
Rispetto solamente agli allievi dell'ultimo anno, se fra il 2014/2015 quelli in alternanza erano 89.752, quest'anno rientreranno nell'obbligo previsto dalla Buona Scuola ben 455.062 iscritti su 502.725, ovvero il 90,6 % del totale delle classi terze, per cui sono stati stanziati 100 milioni l'anno dalla legge 107/2015.

Per avere un'ulteriore idea, basti guardare i numeri per indirizzo, fra licei, istituti tecnici e istituti professionali: rispettivamente dai 12.371 del 2014/2015 ai 227.308 quest'anno, da 31.592 a 140.699 oggi, fino ai 45.789 dei professionali che attualmente sono diventati 87.055.
Come si può notare, l'incremento è significativo: dalla sua introduzione facoltativa via via allargata e divenuta obbligatoria, l'alternanza scuola lavoro indica la volontà di istituzionalizzare in maniera fortemente elusiva i diritti sociali e le tutele dei lavoratori dipendenti; in breve, qualsiasi tipo di rapporto di lavoro normato. Lo studente in alternanza realizza su carta - legalizza - lo stadio ultimo ideale del Jobs Act: zero contratto, zero tutele, zero rimborsi, zero sindacato, zero retribuzione, in balia totale delle esigenze dei padroni, a scapito dell'istruzione pubblica obbligatoria e del diritto allo studio. L'ennesima manna dal cielo del governo a favore delle imprese in corsa per il profitto.

Ma come funziona nello specifico l'alternanza scuola-lavoro?
Ebbene, si è visto che l'istituto si è modellato nel corso di qualche anno, ma la sostanza non è cambiata: si tratta di un cosiddetto progetto formativo che si distingue dallo stage e dal tirocinio, così come dall'apprendistato (che comporta infatti un contratto di lavoro); lo studente in alternanza non è mai un lavoratore, né è equiparato ad un lavoratore minore nel caso, più frequente, sia minorenne. Non essendo un rapporto di lavoro contrattualizzato, lo studente è merce di scambio fra istituzione scolastica e impresa, le quali stipulano tra loro - studente escluso - una convenzione relativa alle forme con cui questo percorso dovrà svolgersi, rendendo di fatto l'impresa non responsabile direttamente rispetto allo studente.
Tutor interno alla scuola e tutor esterno nell'ente di riferimento sono le due figure in capo alle quali si ha un ibrido poco chiaro fra potere disciplinare, di controllo e direttivo, che in realtà si configura in un asset autoritario, incontrovertibile e incontestabile, su cui lo studente ha zero potere contrattuale: si assume semplicemente che se "sgarra" è fuori, con buona pace di qualsiasi possibilità di esercitare diritti sindacali sul luogo di lavoro per contestare le sue condizioni, di qualsiasi tipo di indennità - già lavorando gratis - nonché sobbarcandosi eventuali conseguenze in termini di andamento scolastico.
Infatti lo studente, o chi per lui se minorenne, si trova a prendere atto del percorso prestabilito da altri (scuola e azienda) attraverso una semplice declaratoria di presa visione, e termina così la possibilità di scegliere per lui stesso, per il suo diritto allo studio.

Doveri di puntualità, obbedire in generale alle direttive dei responsabili di quelle che la Buona scuola definisce ''strutture ospitanti'', ma soprattutto rispettare gli obblighi in materia di fedeltà aziendale, segreti aziendali e privacy: in breve, e non è difficile capirlo, si tratta di lavoro nero, se non sfruttamento minorile per azzerare i costi dei datori di lavoro, poiché si tratterebbe a tutti gli effetti di lavoro dipendente mascherato, gratis e sotto-inquadrato.

Dal punto di vista normativo, quindi, in termini di diritto del lavoro, vi è una elusione illegale totale: paradossalmente, si dovrebbe riconoscere a tutti gli studenti, minorenni inclusi, lo status di lavoratori dipendenti, o meglio, come minimo, una paga. Il lavoro - capitalisticamente inteso - o è retribuito o non può essere.
Dal punto di vista educativo, le mansioni che si affidano arbitrariamente a questi studenti non corrispondono alle loro esigenze formative, ma ai bisogni dei padroni, sulla base di esclusive valutazioni di profitto. Non a caso, poi, l'alternanza si svolge spesso in estate (otto volte su dieci), sulla base di offerte "occasionali" di privati (81% delle esperienze) o di piccole e medie imprese interpellate direttamente dai dirigenti scolastici.


JOBS ACT E BUONA SCUOLA: L'ALTERNANZA SFRUTTAMENTO STUDENTI-LAVORATORI

L'aumento progressivo del numero degli studenti coinvolti, e quindi l'allargamento dell'obbligo, e l'aumento dei percorsi attivati, oltre che delle strutture ricettive; in breve, la definitiva istituzionalizzazione dell'alternanza scuola-lavoro non sono casuali, né tantomeno rispondono a esigenze educative degli studenti, come il governo vuole farci credere, ma appaiono come conseguenze derivanti da specifici fattori economici, e non secondariamente di natura previdenziale.

Innanzitutto il governo Renzi, con la legge finanziaria del 2016, ha previsto a tal fine incentivi finanziari per le aziende, ciò che ha appunto comportato un incremento del +139% degli studenti partecipanti e del 41% delle aziende coinvolte, diventate 149.795. L'importo dei voucher ed annessi incentivi per le imprese vincitrici è infatti stabilito dal bando istituito presso le Camere di commercio italiane a braccetto con il MIUR, e varia in funzione dei percorsi di alternanza attivati presso l'ente stesso.
Tale politica di favore alle imprese è stata il motore che ha permesso di consolidare il legame tra il MIUR e il mercato, nonché di dare definitivamente vita all'alternanza scuola-lavoro, visto l'impegno del Ministero a partire dall'ottobre 2016, con la promozione dell'incontro ''Campioni di alternanza'', al quale hanno partecipato sedici aziende, ordini professionali, associazioni del terzo settore e PA, per un totale di tredici settori coinvolti (servizi, digitale, automotive, alimentare, ristorazione, finanziario, distribuzione, logistica, abbigliamento, arte e cultura, giuridico, manifatturiero, energia), e che ha avuto il fine di sancire una partnership con le scuole per l'attivazione di 27.000 percorsi.

Fra gli enti ''campioni di alternanza'' coinvolti nell'accordo con il MIUR figurava prima di tutti McDonald's, che ha promesso diecimila percorsi per studenti in 500 locali sul territorio. McDonald's in Italia ha circa ventimila dipendenti, sottoposti a condizioni particolarmente vessatorie, e l'ingresso di diecimila studenti a lavorare gratis di certo comporterà delle conseguenze in termini di licenziamenti e aggravamento ulteriore dello status dei suoi dipendenti.

Per definire ulteriormente la finalità di profitto a costo zero, che nulla ha a che vedere con un arricchimento formativo per uno studente, basti sapere che gli altri soggetti erogatori sono, oltre a McDonald's: Accenture, Bosch, Consiglio Nazionale Forense, COOP, Dallara, ENI, Fondo Ambiente Italiano, FCA, General Electric, HPE, IBM, Intesa Sanpaolo, Loccioni, Poste Italiane e Zara.
Non a caso tutte imprese italiane e/o multinazionali non certo famose per essere modelli lavorativi ed economici educativi verso i più basilari principi costituzionali che invocano diritti sociali e sindacali, ma che, anzi, negli ultimi anni e ancora oggi hanno visto e vedono i lavoratori (dalla logistica ai metalmeccanici passando per il pubblico impiego e i trasporti) scendere in piazza in asperrime vertenze e lotte durature contro licenziamenti, tagli al welfare aziendale nelle indennità, nei sussidi, nei fondi pensioni e assicurativi, contro la repressione sindacale e politica, contro accordi capestri... non certo ''Campioni di alternanza'', semmai ''campioni di sfruttamento''.

Ecco in realtà un'altra ragione per cui si capisce come e perché, secondo il MIUR, l'obiettivo per il secondo anno di obbligo dovrebbe appunto arrivare a 1.150.000 di studenti in alternanza (durante questo anno scolastico) e 1,5 milioni a regime: per inserire forza-lavoro già isolata e priva di mezzi di critica, grazie al modello autoritario della Buona scuola; forza-lavoro ''vergine'', a fronte di una classe lavoratrice che, nonostante i rapporti di forza globalmente sfavorevoli attualmente, dopo un congelamento della protesta contro il Jobs Act a causa della politica complice delle direzioni sindacali, dà sempre più fastidio perché, in realtà, si dimostra capace qua e là di invertire la tendenza, e attraverso la forza dell'autorganizzazione dà vita a innumerevoli mobilitazioni politiche ed economiche sparse nel paese, da ultimo all'Ilva di Genova e all'Embraco.

Ma il mondo studentesco non si è prestato a fare da complice del mercato contro i lavoratori, come dimostra la giornata di mobilitazione nazionale indetta il 13 ottobre scorso, importantissimo inizio affinché ci si doti di strumenti, teorici e pratici, per denunciare e respingere l'alternanza scuola-lavoro in quanto abuso e attacco diretto contro il diritto allo studio e ad un'istruzione libera e gratuita, accessibile a tutti.

Il secondo fattore, di natura previdenziale, tocca un aspetto cruciale della condizione in cui lo studente in alternanza si trova, ovvero la salute. Lo studente beneficia, secondo Convenzione e Patto Formativo, di tutele (parzialmente) e doveri (interamente), connessi al d.lgs. 81/2008 TU sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, in attuazione dell'art. 1 della legge 123/2007 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Questo, pur non avendo alcun rapporto di lavoro con l'impresa presso cui svolge l'alternanza.
Ciò infatti solleva diverse obiezioni, alla luce della realtà attuale delle cose.
Il MIUR fino al 2016 ha previsto l'obbligo a carico delle singole scuole di formare gli studenti prima dello svolgimento del percorso in materia di sicurezza, norme infortunistiche e privacy sui luoghi di lavoro. La formazione a questi fini, in materia di licenza e retribuzione, non è però stata contestualmente definita, rispetto ai docenti e/o al personale scolastico. Le scuole si sono naturalmente trovate spesso impreparate di fronte a tale obbligo, penalizzando i lavoratori e gli studenti: con la presenza di corsi di formazione erogati da privati e/o Camere di commercio, i cosiddetti ''Alternanza day'', a carico economicamente delle scuole e degli studenti stessi, e a discapito dell'apprendimento in classe. Come dire: lavori gratis e ti formi a pagamento.

Per non parlare del frangente assicurativo: esclusa la convenzione tra istituzione scolastica e INAIL e regime annesso relativamente alla frequentazione degli ambienti scolastici, per i primi due anni di alternanza non vi era nulla più rispetto al d.lgs. 81/2008 a tutela (formale) degli studenti. Lavori gratis, ti formi a pagamento e non hai coperture sufficienti contro gli infortuni, né conoscenze adeguate per tutelarti. [Il lavoro o è sicuro o non è.]
Un accordo di partenariato INAIL-MIUR è arrivato con la circolare 44 del 21 novembre 2016, per chiarire i criteri per la trattazione dei casi di infortunio (e connessi aspetti contributivi), dopo oltre un anno di buio, in cui le studentesse e gli studenti, oltre che i docenti, sono stati abbandonati a loro stessi, quando gli abusi e gli infortuni gravissimi - di cui le sole e uniche vittime sono stati e sono gli studenti - sono stati e sono all'ordine del giorno. [Per formarti, per lavorare non devi rischiare la pelle.]
Tuttavia, questa circolare resta lacunosa e non risolve il problema, anzi: non fornisce indicazioni sulla tutela rispetto alle parti dell'alternanza che si svolgono all'esterno della scuola e nei casi di percorsi svolti all'estero. Infatti manca una tutela degli studenti in itinere, ovvero durante gli spostamenti da casa verso il soggetto ospitante (l'azienda) e viceversa, quando si tratti di attività svolte al di fuori della scuola. Non vi è copertura assicurativa prevista in caso di infortunio, come non vi sono rimborsi previsti relativi ai costi di spostamento, dei trasporti, sempre a carico degli studenti. Da questo discende inoltre che le famiglie potrebbe attivare contenziosi contro la scuola. [Non devi pagare per lavorare, né tantomeno per lavorare gratis ed essere sottoposto ad ogni genere di rischio.]
Sulla realizzazione di corsi di formazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, l'accordo arriva tardi. In questo anno di applicazione della Buona scuola sono stati appunto numerosissimi i casi di corsi di formazione erogati a costi enormi da società di consulenza o singoli professionisti, di denunce di 'pacchetti formativi' effettuati ammassando più classi in solo ambiente, etc.

In sostanza, gli studenti non solo non hanno ricevuto una conoscenza essenziale, di qualità e utile, ma in più hanno dovuto sostenere costi esorbitanti, insieme alle scuole.
Resta perciò fermo il fatto che l'INAIL ha escluso un modello specifico di realizzazione di corsi riferito agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro.
Rispetto alla tutela antinfortunistica, in analogia con la normativa generale, questa si applica per i rischi legati ad attività svolta in ambiente di lavoro, inteso come non solamente il luogo fisico del soggetto ospitante, ma anche «un eventuale cantiere all'aperto o un luogo pubblico, purché in essi si svolga un progetto di alternanza scuola-lavoro».
Rispetto alle prestazioni che l'INAIL eroga, in caso di infortuni e/o malattie professionali, le principali sono: economiche (indennizzo del danno biologico in capitale per menomazioni di integrità psicofisica pari o superiori al 6%, rendita per menomazioni di grado superiore al 16%, assegno per l'assistenza personale continuativa, integrazione della rendita, rimborso spese per farmaci e rimborso viaggi e soggiorno per cure termali e soggiorni climatici), sanitarie (prime cure ambulatoriali, accertamenti medico-legali) e protesiche (fornitura di protesi, ortesi e ausili).
Emerge che gli studenti non hanno diritto all'indennità per inabilità temporanea assoluta.

Ma soprattutto, la responsabilità dell'azienda in caso di infortunio e malattia professionale degli allievi dove sta?
In questo caso, infatti, lo studente deve denunciare l'infortunio al dirigente scolastico o al soggetto incaricato nella convenzione tra scuola e soggetto ospitante. Se lo studente comunica l'infortunio solo all'azienda, quest'ultima deve notificarlo al dirigente scolastico. È compito suo infatti presentare denuncia all'INAIL di infortunio sul lavoro e di malattia professionale degli studenti in alternanza scuola-lavoro. Di conseguenza è l'INAIL che può agire in rivalsa sull'azienda.
Infatti, sulla carta, solo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro lo studente in alternanza dovrebbe essere equiparato in tutto e per tutto ad un lavoratore dipendente; ma, nei fatti, abbiamo visto che non è così.
A carico dell'azienda si configura l'adempimento di almeno tre obblighi fondamentali, prima di inserire lo studente nell'organizzazione produttiva: la sorveglianza sanitaria, per verificare l'idoneità alla mansione o comunque l'idoneità a essere impiegato in un determinato contesto professionale e ambientale; la formazione relativa ai rischi generali e specifici dell'azienda; la consegna dei dispositivi di protezione individuale (Dpi) necessari e sufficienti per assicurare allo studente la possibilità di svolgere la sua esperienza in assoluta sicurezza (tipo guanti, casco, etc.)
Rispetto alla sorveglianza sanitaria, l'azienda ne è in pratica totalmente esonerata, visto che le linee guida del Ministero dell'Istruzione prevedono la stipula di accordi in merito affinché gli adempimenti del caso si considerino assolti per il datore grazie ad una semplice visita medica preventiva, da affidare al medico competente dell'istituzione scolastica, ovvero alla ASL. Rispetto alla formazione, si veda sopra. Essa viene rilasciata in maniera generica, quindi inutile a livello teorico, con costi a carico di scuole e studenti e con zero riscontri pratici. In linea con il dato nazionale, secondo cui in Italia l'investimento aziendale in termini di prevenzione è a livelli minimi se non inesistente (visti i numeri degli infortuni e delle morti sul lavoro). Non sono fatalità.

La previsione sulla sua efficacia resta quindi di dubbia portata, in quanto, come ci dimostra l'infortunio quasi mortale subito dallo studente minorenne a La Spezia, le azienda speculano in maniera folle sugli allievi in termini di rischi, appunto, assegnando mansioni assolutamente inutili dal lato formativo ed estremamente pericolose, inadatte sotto ogni punto di vista, dando ampio sfogo a profili di illegalità penale (ammesso anche solo che, per guidare un carrello elevatore, lo studente avrebbe dovuto come minimo possedere una patente apposita, che mancava, come mancavano evidentemente i Dpi e la formazione relativa all'uso del mezzo). Le stesse considerazioni possono essere svolte per ciò che riguarda il caso pugliese degli studenti mandati all'Ilva di Taranto, per non parlare dello stabilimento di Genova. Un'impresa, quella dell'Ilva, che minaccia da ultimo un minimo di 4.000 esuberi, e dove i lavoratori conducono da diversi anni lotte contro condizioni di lavoro disumane e licenziamenti.
Si ricordi ancora che, come sottolineato in precedenza, gli studenti non hanno in nessun caso diritto all'indennità per inabilità temporanea assoluta nel campo delle prestazioni erogate dall'INAIL.

Tutto ciò quando il mercato italiano vede, nel 2017, un aumento delle morti sul lavoro del 5,2%, e zero prevenzione: secondo i dati di settembre 2017, per la prima volta da 25 anni, infatti, infortuni e morti denunciati aumentano nei primi sette mesi dell'anno. 591 morti in sette mesi significa quasi tre al giorno. Di cui la gran parte (431) ha perso la vita sul posto di lavoro, gli altri 160 (in forte crescita) durante il tragitto dall'abitazione al cantiere o alla fabbrica.
Inoltre - e questo varrà chiaramente anche per gli studenti in alternanza con montante da specificarsi, dato che lavorano gratis - bisogna dire che l'indennizzo dell'INAIL (per i lavoratori in genere pari a metà della retribuzione) è legato alla dimostrazione, prova a carico del lavoratore/studente, che l'infortunio sia legato al lavoro svolto. È inoltre necessario essere iscritti all'INAIL prima di perdere la vita. Per i lavoratori viene quindi di solito riconosciuto un 65% dei casi denunciati. Secondo l'Osservatorio indipendente di Bologna che monitora gli infortuni mortali, in teoria, dei numeri del 2017 calcolati fino a settembre si ipotizza che solo 380 degli incidenti mortali saranno indennizzabili. Come dire che il 35%-40% di queste morti non esista, innanzitutto perché i lavoratori non sono iscritti all'INAIL, o sono in nero.
A fronte della realtà italiana, dove non esiste di base la sicurezza di fabbriche e cantieri, e le imprese non investono nella prevenzione tout court, il costo, in termini di salute in primis, ricade solo sullo studente, lanciato in un mercato del lavoro dominato da una logica dei profitti oggi più che mai feroce. Dove il Jobs Act che, in linea con la politica liberista del "pacchetto Treu" e delle leggi di questi ultimi venti anni, ha fornito il seguente quadro (di cui l'alternanza scuola-lavoro è solo l'ultimo tassello): precariato, zero diritti, attacco alla possibilità di scioperare, retribuzioni da fame, lavoro gratuito, dequalificazione, investimenti solamente in incentivi per le aziende in vista dell'abbassamento del costo del lavoro (ovvero degli studenti e dei lavoratori).


STUDENTI CHE LAVORANO GRATIS E LAVORATORI LICENZIATI: ZERO TUTELE E MASSIMO DEI PROFITTI

L'alternanza scuola-lavoro, la Buona scuola, è quindi l'ennesimo regalo al padronato italiano, dopo il Jobs Act. Il costo per gli studenti e per i lavoratori è altissimo in termini di salute, di formazione, istruzione, di diritti sociali e sindacali. La posta in gioco è troppo alta per restare a guardare l'offensiva padronale che colpisce tutti e tutte, e per questo la risposta deve essere unitaria.
Il padronato italiano, sgravato da costi e responsabilità, sfrutta tutta la forza-lavoro disponibile per vessarla e mantenerla in condizione di ricatto: la prese in carico di studenti a lavorare gratis, a fronte di licenziamenti di personale, comunque precario ma ritenuto troppo costoso. Abbattere i costi, aumentare i profitti e, per farlo, abbattere i diritti, ridurre la formazione, per avere forza-lavoro disorganizzata, divisa e non istruita.

Dal lato degli studenti, nel quadro dell'alternanza-scuola lavoro il padronato sfrutta la filastrocca dell'uberizzazione: l'autorealizzazione, la cosiddetta acquisizione di competenze e strategie produttive per accrescere la propria formazione, volta ad incentivare una filosofia individualista, che con la pretesa generazionale divide. Una filastrocca secondo cui l'obiettivo dello studente, asservito in realtà al mercato il cui interesse è massimizzare il valore del prodotto, non di chi lo produce, è la schermata dell' autoimprenditorialità. L'autoimprenditorialità come obiettivo spacciato dall'economia liberista, alla quale l'istruzione pubblica si piega, nasconde invece la realtà di estremo sfruttamento e precarizzazione, come appunto nel caso dei riders di Foodora, spesso universitari, comunque quasi tutti giovani, la cui consegna in Italia è pagata 3,60 euro netti, con spese di manutenzione della bici e le divise a carico loro, senza premi, malattie, indennizzi e coperture sanitarie/assicurative: sono infatti autoimprenditori.

Per cui la realtà della gig economy attuale cosa dimostra veramente? Che il sogno dell'uberizzazione, dell'autoimprenditorialità, di cui l'alternanza scuola- lavoro viene impregnata, significa isolamento dei lavoratori, impossibilità di esercitare diritti sindacali, di fare sciopero (non essendo formalmente dipendenti a contratto) e rischi altissimi a livello di sicurezza e salute. Il tutto nella totale esenzione, irresponsabilità della azienda, contro cui legalmente per esempio non è possibile impugnare un licenziamento, non essendoci da contratto un rapporto di lavoro subordinato. Non a caso, emerge che l'unico contenzioso di lavoro verificatosi contro Foodora, in Italia, a Torino, sia quello per riconoscere che ricorrono tutti i presupposti perché il rapporto di lavoro venga riconosciuto come subordinato.
Tutto ciò riesce a dare ancora un altro esempio pratico della portata base che assume l'alternanza scuola-lavoro, ma con contorni, nello specifico, aggravati: non vi è retribuzione nemmeno a cottimo, è prestazione gratuita e non è considerata in alcun modo rapporto di lavoro che sia dipendente o autonomo o finto autonomo. E questo non è una ''esperienza'' che lo studente deve fare.


FUORI IL JOBS ACT DALLE SCUOLE E DAI POSTI DI LAVORO!

Contrastare tutto questo significa opporsi alla divisione fra gli studenti, alla divisione fra studenti e lavoratori che i padroni vogliono imporci, quando invece tutti subiamo lo stesso attacco, che si concretizza in un presente di precarietà assoluta e disoccupazione, che supera in peggio e in termini quantitativi - perché tocca tutta la classe - la condizione della cosiddetta generazione no future.
Questo significa solamente una cosa: è necessario unirsi, attraverso assemblee generali, comitati di mobilitazione, in manifestazioni per rigettare Jobs Act, Buona scuola e i loro effetti che in soli due anni si sono rivelati devastanti; vedendoli come faccia di un'unica medaglia, per rilanciare un movimento contro l'offensiva padronale. Tutto ciò è possibile, come è stato dimostrato nel maggio 2015, quando il movimento degli insegnanti e degli studenti si è mobilitato contro la Buona scuola, mettendo in atto uno dei momenti di lotta più grandi contro il governo Renzi, e uno dei più importanti da decenni.

A questo serve lo strumento dello sciopero generale, e la giornata del 13 ottobre scorso (come le successive date in novembre) contro l'alternanza scuola-lavoro, il lavoro gratuito, per un'istruzione garantita a tutti e tutte, è stata l'occasione per intraprendere questa strada, continuata il 27 ottobre.

Rifiutiamo l'alternanza scuola-lavoro tutti insieme! Per l'autorganizzazione degli studenti e dei lavoratori della scuola, dei lavoratori e degli studenti nei luoghi di lavoro, per la libertà di scegliere e di decidere sulla nostre condizioni di studio, vita e lavoro secondo i nostri bisogni e necessità, non secondo il mercato!
Fuori il Jobs Act dalle scuole e dai posti di lavoro!

9 marzo 2018

Marta Positò - pclavoratori.it

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