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DOPO L'UBRIACATURA ELETTORALE

(29 Aprile 2018)

Da "Il Partito Comunista", N. 388 - marzo-aprile 2018

Quello che esce dal voto nelle urne elettorali, ben diretto dai potenti e rintronanti media borghesi, è sempre e comunque quanto deciso dai massimi mestatori della internazionale classe dominante, i quali non sono eletti e non siedono in parlamento, ma nei consigli direttivi delle banche e delle grandi industrie.

La rissa in Italia di questi giorni fra Lega, M5S e PD è solo una pantomima senza alcun contenuto né politico né programmatico né sociale. Il loro riferirsi a ceti e a classi è solo apparente, di marketing elettorale, perché tutti sono ubbidienti allo Stato borghese e da questo sono stipendiati. Recitano.

Perché, in questi tempi di crisi economica del modo di produzione capitalistico, sempre sul punto di diventare anche sociale e politica, la borghesia deve continuare a trincerarsi dietro il mito democratico e i suoi inganni, solo una maschera delle istituzioni statali, strumento di cui la classe dominante si serve per conservarsi al potere. Non è dunque un caso se continua, nonostante tutto, lo stanco rito dell’appello al “popolo”, entità sovrana che sarebbe in grado di sanare il decrepito e barcollante baraccone del potere, in realtà nelle salde mani della classe dei capitalisti. Lo sforzo del ceto politico a servizio della classe dominante è di dare a intendere a quella dominata che lo Stato borghese sia neutrale, al di sopra di tutte le classi sociali, la cui imparzialità sarebbe sancita dalla Costituzione, testo sacro a garanzia dei “diritti” di ciascun “cittadino”, senza distinzione di condizione economica.

E l’idolatria verso i feticci della democrazia è animosamente condivisa da tutte le anime belle della cosiddetta “sinistra radicale”, anche di quella che si vuole “antagonista” e “antisistema”, che all’infinito ne riscopre le pretese virtù purgative di ogni pubblica corruttela, nel rito lustrale delle elezioni politiche. A tempo utile sorgono “a sinistra” nuovi partitini a riportare nell’alveo della democrazia e della “competizione elettorale” quei proletari che manifestino avversione nei confronti del politicantismo parlamentare.

Per iniziativa di un Centro Sociale “alternativo” napoletano, nelle scorse elezioni ha perfino concorso una nuova lista dal nome altisonante quanto vuoto di “Potere al popolo”. Il nome già dice tutto. Cosa è mai infatti il popolo per noi marxisti se non un amalgama indistinto di classi nemiche e in lotta fra loro? Fare appello al popolo non significa quindi porsi sul piano del più aperto interclassismo? I comunisti non fanno appello al popolo, che esprime l’unità della nazione borghese, ma si rivolgono soltanto ai lavoratori, alla classe dei lavoratori.

Sappiamo bene e in anticipo la traiettoria e l’esito finale di tale genere di operazioni, le quali, dopo avere suscitato effimeri entusiasmi, si concludono col disvelare il loro saldo ancoraggio al campo politico borghese, in verità mai negato sin dall’inizio. Il che non viene smentito dal loro modestissimo risultato elettorale, rimasto ben lontano dalla soglia del fatidico 3% per entrare in parlamento. Ma “Potere al popolo” ha comunque assolto alla funzione di “differenziare l’offerta” spingendo alle urne molti proletari fra quanti se ne sarebbero tenuti lontani.

Per di più l’adesione alla lista di ben nove partitini di “estrema sinistra” in una grande ammucchiata fra posizioni in teoria opposte, dai trotzkisti agli stalinisti, conferma che tutti loro perseguono gli stessi fini nell’agone politico borghese, che nulla hanno a che fare con la lotta di classe e con l’emancipazione del proletariato.

Lo conferma il programma elettorale di questi “rappresentanti del popolo”. Al primo punto “difesa e rilancio della costituzione nata dalla Resistenza”. Si ignora che la tanto incensata carta costituzionale è stata il quadro giuridico all’interno del quale si sono consumati ben 70 anni di dominio della classe borghese in Italia. Guardano anche con vivo rimpianto alle “forze della sinistra” che hanno allora contribuito a sostenere il regime del capitale ingannando i lavoratori con impercorribili “vie italiane al socialismo” o “alternative di sinistra”.

Peggio ancora, quando si avanzano demagogiche rivendicazioni che si vorrebbero a favore della classe lavoratrice, per sostenerle non le si prospetta altra strategia che quella di chiedere voti.

Tutto ciò non ci stupisce affatto. La nostra critica dell’elettoralismo ha radici lontane e parte dalla constatazione che, nei paesi ove il potere borghese e la forma democratica di governo sono ben affermati, le campagne elettorali sono per la classe dominante il migliore antidoto per prevenire il manifestarsi e il generalizzarsi della lotta di classe.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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