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DALL’ANTIPOLITICA ALL’AUTONOMIA DELLA TECNICA POLITICA

(11 Maggio 2018)

salvini di maio - bacio

Il ritorno sulla scena dell’ipotesi di governo Lega – M5S, ancora tutta da verificare, ha suscitato in autorevoli commentatori l’idea che in Italia si stia avviando un “laboratorio populista”, osservato speciale dall’UE, giudicando i protagonisti impreparati a gestire la complessità di un Paese come l’Italia.
Una visione corrente ma, almeno a mio giudizio, semplificatoria dello stato di cose in atto.
Per avviare un tentativo di analisi sulla base della quale tentare una definizione di fase partirei infatti da più lontana, dalla scaturigine cioè della resistibile ascesa del M5S che poi è all’origine di ciò che è accaduto con le elezioni del 4 marzo e di conseguenza di ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi.
In principio infatti c’è stata “l’antipolitica”.
Un’antipolitica che, nello specifico, si è presentata in condizioni anomale rispetto alla “classica” definizione teorica del termine.
Si è sempre previsto, infatti, che l’antipolitica si sviluppasse e si scontrasse in una situazione di “pensiero forte”, elevando a principi – guida norme teologiche, morali, estetiche e sopravanzando di conseguenza la tecnica politica.
Ciò non è accaduto in Italia nel corso dell’ultimo decennio: non si era in presenza di alcun “pensiero forte” anzi ci si è trovati – da questo punto di vista – in una fase di vera e propria decadenza e di affermazione proprio del “pensiero debole” e la stessa antipolitica non ha espresso alcun valore morale, estetico, teologico che affrontasse questa vera e propria deriva.
Ci si è limitati, da parte dei propugnatori di quella che appunto è stata definita “antipolitica” a lanciare una semplice risposta polemica all’apparente razionalismo dimostrato dall’establishment dominante.
L’establishment dominante (sicuro interprete dell’antico motto marxiano”il governo qualunque esso sia è sempre il comitato d’affari della borghesia”) si è curato soprattutto di svellere le distinzioni ideologiche e presentarsi, in fin di tutti i fini, in una visione comune del potere tra schieramenti “temperati” , accomunati dall’idea centrale della cessione di sovranità dello “Stato Nazione”, in funzione di una sovranazionalità, quella europea, dimostratasi però da subito assolutamente matrigna nei confronti delle condizione materiali di vita dei cittadini.
Una sorta di super – consociativismo (altro che bipolarismo e alternanza!) quello che ha attraversato il sistema politico italiano negli anni della grande e mai conclusa transizione, seguita a Tangentopoli, alla caduta del Muro di Berlino, alla stipula del trattato di Maastricht.
In questo quadro abbiamo avuto una gestione di governo, resa ancor più aspra dalle condizioni contingenti e punitiva verso i ceti deboli della società, che ha finito con l’aprire le porte all’assunzione da parte degli epigoni dell’antipolitica di una veste, questa sì decisamente populista, che ha portato a squilibrare progressivamente il quadro definito dell’alternanza e del bipolarismo “temperato” ridotto dentro il “cercle inn” dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica.
Tutto questo è avvenuto mentre si spegnevano gli ultimi fuochi di quella che era stata definita come globalizzazione e si apriva uno scenario affatto diverso sul piano planetario.
Inoltre, nello specifico, andava a mancare sul piano istituzionale la rappresentanza delle più acute contraddizioni sociali con la pratica chiusura dei soggetti tradizionalmente legati ai ceti in maggiore difficoltà economica e culturale.
L’antipolitica così, affrontata questa parabola adesso cala la maschera e si sta facendo Stato , tentando la via del governo quale compimento dell’atto formale di identificazione con il potere.
Questo fatto conferma la teoria che l’antipolitica non segna nella storia delle idee un momento inaugurale, la comparsa di una categoria nuova, indipendente e realmente alternativa rispetto a quella che era considerata “politica” (da combattere).
Sta accadendo proprio in queste ore che l’antipolitica nel suo tentativo di farsi Stato utilizzi quegli strumenti della tecnica politica che maggiormente contraddicono le sue origini e le stesse ragioni dell’aggregazione del consenso che vi si è riversato attraverso il voto popolare.
L’antipolitica infatti sta usando “a tutto tondo” proprio lo “scambio politico” (al riguardo del quale si stanno adombrate soluzioni che nemmeno al tempo del famigerato CAF) e l’autonomia del politico intesa nel suo senso più deteriore, di totale distacco e contrapposizione rispetto al concetto di delega insito nel meccanismo della rappresentatività.
Sarà un cozzo molto duro quello tra antipolitica e tecnica della politica che potrebbe essere risolto attraverso una visione autoritaria dell’agire politico come soluzione da “nodo gordiano”.
Una soluzione funzionale al sistema di dominio capitalistico che sarà ricercata sulla base di un rilancio di proposte già ampiamente sconfitte sul campo nel nome dell’usurata governabilità nella crisi del modello delle cosiddette democrazia occidentali “mature”: presidenzialismo, centralità del governo, accentramento del potere e svuotamento finale della democrazia rappresentativa, in un quadro complessivo di stretta autoritaria e di riduzione secca nel rapporto politica/società in funzione del taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”.
Così come era già stato tentato dalla Bicamerale del 1997, dalla proposta del centro destra nel 2006, dalle modifiche costituzionali proposte dal PD e poi bocciate dal referendum del 4 dicembre 2016: tutte proposte segnata dalla medesima tensione e dalla stessa ansia: quella della ricerca del potere.
L’antipolitica oggi sta così raggiungendo la sua sublimazione esaltandosi nella più pura delle tecniche della politica e raggiungendo i propri –un tempo deprecati – predecessori nell’affannosa ricerca della governabilità fino a se stessa.

Franco Astengo

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