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Ricordando Stefano Chiarini

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(6 Febbraio 2007) Enzo Apicella
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LA RIVOLTA OPERAIA DI GERMANIA EST

(28 Giugno 2018)

Dal n. 66 di "Alternativa di Classe"

Berlino 1953

Alla Conferenza di Yalta (4 - 11 Febbraio 1945) le principali potenze vincitrici della II° Guerra Mondiale, e cioè USA, Regno Unito e URSS, avevano deciso lo smembramento della Germania, allora divisa in zone di occupazione, completamente smilitarizzate; e così la Germania Ovest andò sotto il controllo degli occidentali e la Germania est dei sovietici.
Mentre gli occidentali ritenevano che un'intera Germania neutrale potesse essere più accondiscendente nei confronti della URSS, Stalin preferiva proprio tale status al confine russo. Gli Accordi di Berlino del Maggio 1952, respinsero la proposta di Stalin di una Germania unita e completamente sovrana: se è vero che abolirono l'occupazione, di fatto lasciarono il Paese nell'orbita economica e politica delle potenze vincitrici, ed il progetto di riunificazione della RDT (creata nell'Ottobre 1949) con la RFT (fondata nel Maggio 1949) fu rinviato.
Sul piano economico-sociale la differenza era tangibile. Mentre la Germania Occidentale visse negli anni '50 un forte boom economico, aiutato dai dollari americani, quella Orientale fece invece molto più fatica a riprendersi: era svantaggiata, sia per le pesanti richieste economiche fatte dall'URSS a riparare i danni subiti nella guerra, sia per i successivi ridotti aiuti economici sovietici, non paragonabili a quelli americani ad Ovest.
La situazione nella RDT era veramente precaria. La "questione agraria" aveva sempre incontrato ostacoli, e le tensioni sociali di questo settore sfociarono nella fuga ad Occidente di decine di migliaia di contadini piccoli e medi. Si combinavano il ruolo crescente della polizia, la Stasi (Sicurezza di Stato) istituita nel 1950, e gli obblighi di "consegne" dei prodotti da parte dei contadini, che, se non rispettati, comportavano misure repressive.
Nelle fabbriche la situazione non era certamente migliore. In mancanza di tecnologie avanzate, il governo espresso dal Partito di Unità Socialista di Germania (SED) optò per l'intensificazione del "lavoro vivo" degli operai già scontenti, malnutriti e malpagati. Il mito dello "stachanovismo" la fece da padrone, e la delazione verso i "fanulloni" era di casa. Inoltre esistevano divisioni tra la forza-lavoro, dovute sia alla differenziazione salariale, in particolare tra giovani e i settori " professionali" della classe, e sia alla promulgazione di "Contratti Collettivi", che non fecero altro che imporre le norme produttivistiche sostenute dal governo e dal Partito, peggiorando il trattamento dei lavoratori su ferie, malattia, permessi, ecc.
A tutto questo va aggiunta la situazione allucinante in merito ai vari mercati dei generi di largo consumo: mercato libero, mercato sociale, mercato nero, che, con il razionamento dei beni, completavano il panorama della compra-vendita "socialista" al dettaglio. La rete di negozi HO vendeva a prezzi molto superiori a quello dei beni razionati, ed infatti, durante la rivolta del '53, ne verranno incendiati molti.
La situazione economica nel '52-'53 era ulteriormente peggiorata, sia per l'aumento degli investimenti bellici a discapito dei beni di consumo, sia per l'aumento del prelievo fiscale sugli agricoltori e della confisca dei beni a chi andava verso Occidente. Inoltre vennero privati dalle “carte annonarie” oltre due milioni di pendolari tra Berlino Est e Berlino Ovest.
Ulbricht, Segretario generale della SED, a questo punto, nell'Aprile del '53 chiese un prestito all'URSS, che non glielo concesse. A sua volta l'URSS chiese al Segretario tedesco, per non inasprire ancora di più una situazione satura di tensione, per giunta con il Gruppo di Forze militari Sovietiche presenti in Germania Est, di allentare la stretta dei Piani Quinquennali, ma Ulbricht, solitamente fedele ed allineato ai sovietici, questa volta rifiutò il consiglio.
Il governo della SED, per uscire dalla crisi che lo attanagliava, a Maggio del 1953 modificò "le norme del lavoro", aumentando del 10% il ritmo del lavoro. Ciò aggiunse malumore a malumore tra i lavoratori, e così si verificò la scintilla il 15 Giugno nel cantiere edile “Stalinallee”: gli operai scesero in sciopero, e cercarono di prendere contatti con i lavoratori di altri cantieri, decidendo di manifestare il giorno dopo. Il 16 Giugno 1953, esattamente 65 anni fa, 1500 operai, provenienti dalla Stalinallee, si mossero dietro a striscioni in cui era scritto "Siamo lavoratori e non schiavi", "Esigiamo la riduzione dei ritmi". Il loro era un obiettivo semplice: consegnare una risoluzione al Governo, che chiedesse la riduzione dei ritmi.
Passando di fronte ai cantieri, ai manifestanti si unirono nuovi gruppi di lavoratori, gonfiando le file del corteo, e via via gli slogan cambiarono, diventando sempre più politici. Una folla di diecimila persone giunse di fronte al Palazzo dei ministri. La delegazione che espressero non fu ricevuta da Ulbricht, ma da funzionari subalterni che promisero di ritirare l'aumento dei ritmi, e, nonostante che per alcuni ciò era da considerarsi una vittoria, ed anche facile, la maggioranza non si fidava della concessione fatta da quei funzionari e chiese di parlare direttamente col Segretario del Partito.
La proposta di sfilare per Berlino, facendo appello allo sciopero generale, fu accolta da clamorosi applausi dai manifestanti. La notizia dello sciopero, durante la notte, si diffuse in tutto il Paese. Si costituirono assemblee di massa, che elessero comitati di sciopero dove vi figuravano principalmente rappresentanti sindacali di base e lavoratori militanti, e le decisioni dovevano essere sottoposte al voto collettivo. I lavoratori presero il controllo della centrale telefonica, organizzarono picchetti e manifestazioni nelle zone circostanti, e le rivendicazioni erano sia sindacali (soppressione aumento dei ritmi di lavoro, parità di salario per le donne...), che direttamente politiche (libere elezioni, liberazione dei prigionieri politici, dimissioni del governo...).
Ben presto la Strausberger Platz era piena di lavoratori, che manifestavano pacificamente, ma il governo mandò le forze di sicurezza per disperderli. I manifestanti, muniti solo dei loro pugni o dei loro attrezzi, riuscirono a disarmare le forze della polizia. A questo punto, come richiesto dal Governo, entrarono in azione i sovietici, coi loro carri armati, ma non riuscirono a disperdere l'assembramento, anzi altri cortei si mossero nei vari quartieri. Furono occupate le stazioni radio ed i sistemi degli altoparlanti, per diffondere gli appelli ai raduni, saccheggiati i locali delle istituzioni di Stato, e presi d'assalto i posti di polizia, nonché le prigioni. Gli studenti buttarono dalle finestre il manuale russo; insomma una vera battaglia: da una parte 13mila militari armati (tremila soldati russi e 10mila Vopos - polizia popolare) e dall'altra manifestanti armati di sassi, attrezzi e bottiglie incendiarie.
Fino a sera gli operai si batterono disperatamente contro i carri armati russi, praticamente a mani nude. Delegati operai percorsero la zona occidentale, chiedendo alla amministrazione tedesca occidentale, alle autorità di occupazione, ai sindacati della RFT aiuto, armi, scioperi di solidarietà, ma invano: trovarono solo un muro di silenzio. Sono ragioni di classe i motivi del rifiuto, le autorità borghesi non potevano certo aiutare una lotta operaia che non erano in grado di controllare e dagli sbocchi che potevano essere pericolosi per la stabilità borghese anche “oltre cortina”.
La rivolta si estese in tutto il Paese, soprattutto nel triangolo ad alta intensità industriale nelle città di Lipsia, Halle, Merseburg, Bittersfeld-Wolfene, Schkeuditz, ma anche nelle campagne si ebbero violente sommosse, con attacco a funzionari di partito e direttori delle fattorie, con un ritiro di massa dai Collettivi Agricoli. Alcuni focolai resistettero per tutto il mese di Luglio, ma i carri armati russi riuscirono a soffocare la rivolta, ed il bilancio fu molto pesante. Secondo alcune fonti, le vittime furono 267 tra i dimostranti, 116 tra la polizia tedesca e 18 tra i russi, inoltre vi furono 2000 feriti e un migliaio di manifestanti condannati a oltre seimila anni di prigione o di lavori forzati.
Intanto bisogna puntualizzare il carattere operaio della rivolta; senza l'intervento dei carri armati russi, il governo della RDT sarebbe certamente crollato: le forze che lo sostenevano erano carenti, e nelle fabbriche la maggior parte dei quadri del Partito e del Sindacato si erano schierate con i lavoratori. E' vero che le richieste politiche agitate erano prevalentemente, anche se non soltanto, richieste democratico-borghesi, come elezioni per il parlamento e la pluralità dei partiti, ma si deve tenere conto del contesto dove questa rivolta si è svolta, cioè in un Paese dove c'era una strozzatura politica, che non consentiva che ci fosse un'organizzazione politica e/o sindacale della classe. Comunque, nonostante la vergognosa propaganda e la speculazione politica dei Paesi occidentali (in Germania Ovest il 17 Giugno divenne poi “festa nazionale”!...), la rivolta operaia della Germania orientale del Giugno 1953 fa parte dell'esperienza rivoluzionaria del movimento operaio.
Ultima considerazione è che la rivolta del Giugno '53 si verificò dopo la morte di Stalin, avvenuta il 5 Marzo 1953, dove all'interno del gruppo dirigente sovietico vi era stata una lotta interna, causata dai dissidi tra i fautori di una profonda innovazione nella gestione del potere (Malenkov e Berja) e di maggior apertura, anche formale, verso gli altri imperialismi, quelli occidentali, ed i sostenitori del vecchio sistema di potere (Molotov e Kaganovic). Berja, comunque, troppo compromesso con il terrore staliniano, venne eliminato in circostanze poco chiare, ed alla fine del 1953 finì la gestione del potere collegiale, nato dopo la morte di Stalin.
Kruscev, che rappresentava una posizione “centrista” rispetto alle altre due, conquistò la Segreteria del Partito in URSS. Tale schema si ebbe anche nella Germania Est durante la rivolta: da una parte i "conservatori" (come Ulbricht), che volevano tenere duro, dato che ogni concessione avrebbe potuto essere letta come un cedimento, e dall'altra i "riformisti" (come Zaisser, Ministro degli interni), disposti a qualche concessione. Ambedue le "correnti", però, erano d'accordo per scaricare sui lavoratori alcune aperture, queste sì possibili, agli strati “intermedi” della società, per cercare sostegno ad un potere “nazionale” decisamente precario e traballante. Ambedue le "correnti", cioè, erano d'accordo per scaricare sulla pelle dei lavoratori il costo del mantenimento dei privilegi di classe e dell'ordine sociale esistente.

Alternativa di Classe

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