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Come diceva Archimede...

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(30 Dicembre 2009) Enzo Apicella
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Editoriale del n. 67 di "Alternativa di Classe"

Xi Jinping

Xi Jinping

Una data che ai più è passata inosservata è quella di Venerdì 6 Luglio u. s. Per gli “addetti ai lavori” si tratta dell'inizio della “guerra commerciale”, dichiarata dagli USA di D. Trump alla Cina di Xi Jinping. In tale data, infatti, è entrato “...in vigore il primo blocco di dazi sulle importazioni di beni cinesi negli Stati Uniti, una tassa del 25 per cento [annunciata - ndr] su 50 miliardi di dollari (42 miliardi di euro) di prodotti cinesi”. Per dare un'idea concreta di cosa significhi, si noti che nel 2017 l'intero export cinese in USA, in continua crescita, ammontava a 505 miliardi di dollari. Quasi un decimo: non è poco.
Certamente resta vero il dato di fatto che nella fase imperialistica il protezionismo è sempre coesistito con il liberismo (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE n. 53 Anno V a pag. 1), entrambi utilizzati secondo le necessità delle congiunture economiche del singolo Paese imperialista, in un determinato momento ed in un determinato settore, piuttosto che in un altro. Resta, comunque, il dato di fatto, già riportato su ALTERNATIVA DI CLASSE n. 53 Anno V a pag. 2, che, dall'Autunno 2009 all'Autunno 2016, l'insieme di tutti “...gli imperialismi del G20 hanno adottato il quadruplo dei provvedimenti discriminatori di sette anni prima”. Non esiste allora, in realtà, una data precisa d'inizio per la guerra commerciale: come sempre, le esigenze economiche del capitale hanno preceduto le scelte dichiarate dai suoi esecutori politici!...
L'esigenza immediata che guida la politica di D. Trump, sintetizzata dallo slogan “American first (Prima l'americano)” è quella di ridurre il deficit commerciale USA. A Dicembre '17 ammontava a 566 miliardi di dollari, il 12,1% in più dell'anno precedente, la punta massima dall'inizio della crisi mondiale. Particolarmente negativo il deficit relativo allo scambio di beni, per i quali raggiunge la cifra di 810 miliardi di dollari. Ed ha iniziato da lì.
A Gennaio '18 sono partiti dazi del 30% su tutte le importazioni USA di pannelli solari e fino al 50% su quelle di lavatrici: un assaggio. Dopo avere preannunciato, ufficialmente come ritorsione su decennali “scippi della proprietà intellettuale” ma in realtà a scopo intimidatorio, forti dazi espressamente sull'import cinese, dovuti al fatto che il deficit con il colosso asiatico per il 2017 ha superato i 375 miliardi di dollari (quasi la metà del deficit totale per i beni), a Marzo scorso sono entrati in vigore dazi del 25% sull'import di acciaio e del 10% sull'import di alluminio (pur con esenzioni temporanee per i Paesi tradizionalmente alleati, come Canada e UE, ma anche per il Brasile), al fine, in questo caso apertamente dichiarato, di mantenere “l'autosufficienza produttiva” in tema di armamenti, per i quali le due leghe sono essenziali.
Esemplificativo degli obiettivi che D. Trump si prefigge attraverso il forte ricorso ai dazi è l'accordo che è riuscito a concludere con la Corea del Sud, che, in cambio dell'esenzione definitiva per acciaio e alluminio esportati, ha accettato, riconfermando il reciproco Trattato di libero scambio del 2012, un tetto ribassato per tale export, un aumento all'importazione di autovetture made in USA, anche se dotate di minori sistemi di sicurezza, ed, infine, un impegno a non svalutare la propria moneta, il won. La Corea del Sud paga, così, un prezzo altissimo per poter continuare a rifornire gli USA delle materie prime che necessitano a quest'ultima potenza, legandosi, in pratica, ancora di più ad essa.
Ma non tutti i Paesi hanno questo tipo di rapporto con gli USA. I dazi su acciaio e alluminio erano rivolti anche contro la Cina, principale “competitor” e, nello stesso tempo, fondamentale partner commerciale internazionale, che già gliene esporta per 3 miliardi di dollari. La risposta della Cina, nonostante le affermazioni su di una sua contrarietà politica “di principio” al protezionismo, è stata mirata a 128 prodotti di importazione dagli USA, tra cui frutta ed etanolo, sui quali sono stati istituiti dazi, che hanno anche superato il 25%.
Il 3 Aprile gli USA hanno annunciato al mondo nuovi dazi diretti, questa volta, su 1333 prodotti tecnologici cinesi, merce sulla quale stanno soffrendo la loro agguerrita concorrenza (ed in particolare sulla “nuova generazione di connessioni ultraveloci” - 5G – il business del futuro), per un ammontare di circa 50 miliardi di dollari. Il giorno dopo la Cina ha risposto con l'annuncio di propri “contro-dazi” su prodotti americani, sia tecnologici, che agroalimentari, come i semi di soia (principale export USA in Cina) ed il sorgo, per la stessa cifra complessiva. Anche se ancora a livello di annunci (con successive specificazioni delle merci interessate e della consistenza dei tassi), e nonostante vari tentativi di apertura da parte di tutti gli imperialismi coinvolti (non ultimi gli incontri USA-Cina di Maggio a Pechino ed a Washington), viste le manifeste intenzioni di D. Trump, la escalation era cominciata.
Agli inizi di Giugno è tramontata poi ogni possibilità di stabilizzazione della esenzione dai dazi USA su acciaio e alluminio per la UE, aprendo lo scontro anche su questo fronte. A parte il ricorso alla Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), organismo internazionale che al massimo può autorizzare “misure di compensazione” sul piano della “legalità internazionale”, la reazione UE è stata immediata, e non priva di “aperture”, dato che questo import USA dalla UE rappresenta solo circa il 3% del totale; in ogni caso da questo mese sono partiti i contro-dazi UE su prodotti USA per 2,8 miliardi di euro.
I problemi maggiori per gli USA sono derivati, però, dalla compatta difesa attuata dalla UE dell'avanzo commerciale di 120 miliardi di dollari, che ha fatto alzare a D. Trump i toni dello scontro antieuropeo (la UE “è nata per approfittarsi degli USA”...) e dal fatto che il mercato europeo potrebbe diventare lo sbocco dell'export cinese di acciaio, con evidenti problemi per tutti i produttori concorrenti e per l'intero mercato internazionale del settore. Esempio di quanto le politiche economiche delle grandi potenze imperialiste, attraverso l'uso di dazi e sanzioni, possa andare ad influire sulle stesse condizioni dei mercati, dei quali “le aggregazioni economiche di aree continentali (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 53 a pag. 2)”, a partire proprio dalla stessa UE, sono ormai interpreti principali.
Dalle parole di Aprile, si è passati ai fatti: il 6 Luglio scorso 818 beni in USA, provenienti dalla Cina, pari a 34 miliardi di dollari, sono stati sottoposti a dazi del 25%; lo stesso giorno, a seguito di ciò, la Cina ha risposto sottoponendo 545 beni importati dagli USA, sempre per 34 miliardi di dollari, a “contro-dazio” del 25%. I risentiti commenti cinesi ostentavano sicurezza: se gli USA colpiscono il 6,7% dei prodotti importati dalla Cina, questa colpisce più di un quarto (il 26,1%) dei prodotti provenienti dagli USA, tra cui proprio la soia, i cui produttori nel 2017 ne hanno esportato per 12 miliardi di dollari (il 60% del totale) in Cina.
Avviata questa spirale, D. Trump, se vuole provare a rendere efficace tale azzardata strategia, dato anche che le esportazioni cinesi in USA rappresentano il 40% delle esportazioni totali, ora non può che rilanciare. E così si diffonde la notizia dell'annuncio USA di sottoporre a dazi del 10% circa 10mila prodotti di largo consumo provenienti dalla Cina (tra cui anche quei prodotti hi-tech “made in China” sui quali essa, ormai da tre anni, punta a modernizzare la propria produzione tecnologica entro il 2025), per un ammontare totale di 500 miliardi di dollari (quasi tutto l'attuale export cinese in USA e certamente di più dell'intero import cinese dagli USA), 200 a Settembre p.v., ed il resto in seguito.
Dalla Cina, che sottolinea il fatto che la strategia USA non risparmia alcun Paese dai dazi, nemmeno Canada e UE, e che ribadisce la propria fede nel “libero mercato”, la dichiarazione, oltre che “scioccante”, è definita “totalmente inaccettabile”. La Repubblica Popolare non può, ad oggi, che minacciare “contromisure”, apprestandosi a differenziare ed articolare la sua politica economica verso i diversi interlocutori a seconda delle diverse condizioni, mentre già da anni ha provveduto ad iniziare a “smarcarsi” dalla interdipendenza con gli USA, diminuendone le importazioni. Tutto ciò avviene in netto contrasto con gli USA, che invece, lasciando libero sfogo ai modi un po' cialtroni di D. Trump, “alzano la voce” verso chiunque, compresa l'alleata UE, ad ogni piè sospinto...
Fidando nelle possibilità di autonomia energetica che tecnologie come il “fracking” di gas e petroli, potrebbero garantire agli USA, il potere finanziario che sta dietro a D. Trump punta innanzi tutto a “mettere in riga” i propri alleati, ed in questo senso vanno anche le recenti richieste ai Paesi UE di raddoppiare le spese militari atlantiche, ricercando il dialogo con i singoli imperialismi e puntando a minare la UE, come aggregazione che, in ultima analisi, danneggia i propri interessi strategici. Utilizzando il primato internazionale ancora detenuto, come emerge dall'esame dei dati dello scambio in termini di valore aggiunto, gli USA oggi puntano a reinternalizzare gran parte della produzione tecnologica più avanzata, affinché sia il “made in USA” a vincere le prossime sfide sull'intelligenza artificiale e le altre tecnologie innovative. Anche se risulta difficile valutare quali possano essere i contraccolpi internazionali dello scontro innescato, prima di tutto in termini di ristrutturazione produttiva indotta su intere filiere, e quanti i rischi di una recessione generalizzata.
Per quanto riguarda la Cina, la cui organizzazione sociale la tiene oggi al riparo da scossoni dovuti ad avvicendamenti politici, la strategia di fondo è senz'altro diversa ed a più lunga scadenza. Anche se, come tutti i pescecani imperialisti, non disdegna l'uso del protezionismo, si muove come alfiere mondiale del libero mercato e del “sistema multilaterale”, ponendosi con determinazione obiettivi ambiziosi quali il primato tecnologico e geopolitico per il 2049, con la Nuova Via della Seta, la “Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (AIIB)”, nata nell'Ottobre '14 (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 45 a pag. 10) e la demolizione dell'intera costruzione internazionale del primato economico che gli USA hanno avviato fin dal dopoguerra con Bretton Woods. La prima tappa è proprio quel “Made in China 2025”, tanto indigesto per D. Trump, e che gli induce fretta.
Ai movimenti di D. Trump non sono estranee nemmeno le cause interne, legate ai contrasti politici in patria. Per il vertice con V. Putin di Lunedì 16 a Helsinki, legato alla questione delle sanzioni internazionali per la guerra in Siria e, in realtà, anche a quelle del prezzo dell'alluminio e del gasdotto tra Russia e UE, ha il suo peso la questione delle presunte ingerenze russe nelle elezioni USA. Proprio mentre ci si avvicina alla scadenza di Novembre prossimo, quando in tutti gli States si voterà per il Congresso, per le assemblee elettive dei singoli Stati, e per eleggere alcuni dei relativi Governatori: le cosiddette “Mid term Elections”; un test nel quale Trump potrà misurare il consenso alle proprie politiche, a partire dagli Stati che lo hanno votato come Presidente... Ed è proprio lì che vengono utilizzati i semi di soia, importati dalla Cina!...
Quello che succederà nel mondo nei prossimi mesi, visti i tanti terreni di scontro, apre a diversi scenari, ma il dato di fondo è che, in presenza di una crisi strutturale del sistema capitalistico, vi è una intensificazione delle politiche protezioniste da parte dell'insieme dei Paesi imperialisti, il cui leit motiv è: libero mercato all'esterno e protezionismo in patria. Ed altrettanto certo è il fatto che l'aumento del ricorso internazionale a tali politiche economiche, condite dal rilancio dei nazionalismi, è stata una delle concause sia per la Prima Guerra Mondiale, che per la Seconda Guerra Mondiale, quando, dopo il crollo di Wall Street del '29, furono proprio gli USA ad alzare i dazi medi.
Nei nuovi scenari che si vanno delineando è sempre più urgente per i proletari ritrovare l'indipendenza di classe e l'unità con i proletari degli altri Paesi. Per i comunisti, si tratta di costruire quei rapporti internazionali necessari a ricostruire una forza unica e priva di centro, che rifugga dai blocchi con forze statuali esistenti e dai fronti popolari con forze borghesi, per individuare le specificità dell'azione di classe nelle singole realtà.

Alternativa di Classe

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