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La fatalità dominante

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(26 Novembre 2011) Enzo Apicella

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(Di lavoro si muore)

I proletari pagano con la vita la sopravvivenza di un modo di produzione ormai solo assassino

(7 Agosto 2018)

strage dei comunardi

E’ un massacro quotidiano, di dimensioni impressionanti. Fermiamoci a pensare. Quanti sono i proletari che muoiono ogni giorno, nelle fabbriche, nei cantieri, nei “laboratori del sudore”, sulle strade e sui mari, nelle campagne, in tutti gli innumerevoli luoghi di lavoro di un modo di produzione che è ormai soltanto un’infernale macchina di morte, un vampiro affamato che succhia sangue proletario, come già descritto e denunciato fin da Marx ed Engels? E quanti cominciano e continuano a morire, giorno dopo giorno, avvelenati, gasati, corrosi silenziosamente da ogni genere di agenti cancerogeni o svuotati dallo stress psico-fisico di anni e decenni di ritmi sempre più accelerati, di angosce e disperazioni? Abbiamo i dati relativi all’Italia e sono mostruosi, parlano chiaro: solo il rivoltante cinismo dell’ignoranza o dell’indifferenza trattiene dal rabbrividire di fronte a questa strage, a questi omicidi di massa, come non si può far altro che chiamarli. Ma – e nel resto d’Europa, quali potranno essere le cifre? E nelle Americhe? E in Asia e in Africa? I numeri possono solo diventare sconvolgenti: dieci, cento, mille olocausti! I mezzi di disinformazione di massa quei numeri non ce li dicono: si limitano a raccontarci, con tutti gli aggettivi del sensazionalismo e pietismo giornalistico, di una fabbrica che esplode, di una miniera che crolla, di un ponte che si affloscia, di un laboratorio o di un edificio che va a fuoco – dieci, cento, mille morti proletari in una volta sola, e allora sì, l’evento fa notizia. Ma tacciono la contabilità quotidiana di questo massacro – che invece, quando ci si pensi, assume dimensioni gigantesche, orribili.

Andiamo più in là, torniamo indietro nel tempo, negli anni, nei decenni… attraverso i tre secoli di dominio del modo di produzione capitalistico. E qui il solo pensiero è davvero sconvolgente: dalla Rivoluzione Industriale, con i suoi “morti di fabbrica”, uomini che – se erano fortunati – arrivavano ai trent’anni, e donne e bambini straziati, fino a oggi, attraverso tutta l’epopea del “progresso capitalistico”. La macchina stritola-proletari è sempre stata in funzione, ha macinato e distrutto vite, famiglie, aspirazioni, illusioni – trasformando quella carne viva di esseri umani in profitti da gettare nel meccanismo impersonale della produzione per la produzione, della competizione, dell’accumulazione allargata, della legge del valore.

Come se ciò non bastasse, ci sono state e continuano a esserci le guerre. E quanti sono (stati) allora i proletari vittime degli appetiti economici, strategici, politici, di Stati che sono lo strumento del capitale, di nazioni che obbediscono alla legge della “morte tua, vita mia”? Vittime al fronte e vittime nelle retrovie, altra carne da macello spedita nelle trincee a infilzarsi e a gasarsi a vicenda e chiuse come topi in metropoli fatte segno da tutti i più avanzati strumenti di morte? E quei miserevoli sopravvissuti che cercano di fuggire, che vagano da un luogo all’altro, preda della fame, delle ferite, delle malattie, della disperazione più assoluta, in mille e diecimila “viaggi della speranza”? che si lasciano dietro le rovine bombardate o le carestie prodotte da secoli di dominio coloniale e imperialista e, se non affogano o congelano prima, non trovano un posto dove, almeno, sopravvivere, cacciati di qua e di là come fossero cagni rognosi da politicanti farabutti impegnati a stimolare l’ottusa ferocia di piccoli-borghesi che ormai trovano una sola ragione di squallida vita nell’odiare “lo straniero”? E che dire poi dei proletari uccisi sui picchetti, nelle dimostrazioni, nelle rivolte suscitate dalla fame e dall’esasperazione, nelle strade dei ghetti, nelle campagne del caporalato, sulle frontiere blindate, vittime delle bande armate legali e illegali dello Stato difensore del capitale o da individui sub-umani usciti dalle fogne di una società putrefatta? O dei sessantamila Comunardi massacrati a Parigi a fine maggio 1871 dalla ferocia del nemico di classe, o delle altre migliaia e decine di migliaia di proletari eliminati dalla furia controrivoluzionaria abbattutasi di volta in volta su generosi tentativi di “assalto al cielo”?

Questo modo di produzione ha esaurito da più d’un secolo e mezzo la sua spinta positiva, quella che ha permesso – attraverso la rottura violenta – il superamento definitivo del modo di produzione precedente, quello feudale. E da più d’un secolo e mezzo s’è trasformato in micidiale macchina di morte: il vampiro che, giorno dopo giorno, succhia sangue proletario per restare in vita. Contro quel vampiro non servono a nulla il crocefisso e le teste d’aglio. Bisogna ucciderlo una volta per tutte piantandogli il paletto acuminato ben dentro al cuore: violenza contro violenza. Riprendere le lotte, allargarle, estenderle, radicalizzarle, rigettando ogni illusione riformista e ogni divisione nazionalista, a partire dalla parola d’ordine “Un attacco a uno è un attacco a tutti!”. Trasformare il numero proletario (che cresce di continuo, a ogni crisi economica, a ogni apertura di fronte di guerra) in forza e potenza micidiali. Organizzarsi per imparare a difendersi, imparare a difendersi per passare all’attacco. Ritrovare la propria guida indispensabile per le lotte di oggi e di domani – il partito rivoluzionario, il partito comunista internazionale.

Milano 06/08/2018

Partito comunista internazionale
Il programma comunista

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