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(7 Settembre 2018)

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Come Cub Immigrazione da sempre seguiamo con attenzione le novità che si producono nel dibattito politico a sinistra, soprattutto quando rinviano a una discontinuità col passato recente, segnato dalla subalternità ai poteri forti e dall’accettazione delle politiche liberiste imposte da Confindustria e Unione Europea.

Su questo fronte, ci sembra collocarsi la nascita dell’Associazione Patria e Costituzione, di cui progetto e coordinate culturali saranno esplicitate in un’iniziativa che si tiene a Roma l’8 settembre presso la Sala della Protomoteca (dalle ore 10.30 in poi).

Quel che è già stato anticipato, in particolare dall’onorevole Stefano Fassina, tra gli animatori di questo nuovo soggetto, rimanda al tentativo di rilanciare quei principi di egualitari che la Costituzione del 1948 non solo enunciava, ma traduceva in precise indicazioni in relazione ai diritti sociali e ai limiti da porre all’azione delle imprese.

Come sempre avviene a sinistra, il solo richiamo al concetto di “patria” ha provocato diversi malumori e l’iniziativa in questione è stata arbitrariamente associata ai deliri che da tempo leggiamo sulle reti sociali come Facebook e Twitter. Luoghi virtuali in cui, ad esempio, pullulano i cosiddetti “comunisti per Salvini”, ossia dei buontemponi che da un lato si considerano eredi dei bolscevichi e dall’altro definiscono legittime le pratiche dell’attuale Ministro dell’Interno, a partire dalla tenuta in ostaggio per giorni degli immigrati soccorsi dalla Nave Diciotti.

Uno spettacolo grottesco: militanti che si autodefiniscono marxisti-leninisti e che, però, assumono come verità assoluta il presupposto delle odierne campagne razziste: la circostanza – smentita da tutte le statistiche sui flussi migratori – che l’Italia sarebbe soggetta a un’”invasione”.

Ma la nuova iniziativa di Fassina e compagni non ci pare avere molto a che fare con le esternazioni di certi fenomeni da baraccone. Spiegandone i contorni all’Huffington Post, il nostro ha distinto tra il suo richiamo alla patria, nutrito di principi costituzionali, e lo sguaiato e arrogante nazionalismo dei nostri tempi, capace di calpestare ogni umano valore.

Non ha caso, Fassina ha citato quell’articolo 11 che – ripudiando “la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” - pone le basi per una politica estera aliena da qualsiasi avventurismo e fondata sulla ricerca di una più ampia cooperazione tra le genti d’ogni dove.

Tuttavia, al fine di sgomberare il campo da ogni confusione, proponiamo a Patria e Costituzione di dare un segnale inequivocabile, tale da creare un confine ancor più netto fra questo patriottismo e il becero nazionalismo irresponsabilmente amplificato da tv e giornali. Si tratta di veicolare l’idea di una patria finalmente inclusiva, in cui l’italianità non venga barbaramente ridotta a una “questione di pelle”. Si tratta, ancora, di scrollarsi di dosso per sempre quello che è un retaggio degli autoritarismi del secolo scorso: la rappresentazione della comunità nazionale come “comunità di sangue”.

In sostanza, chiediamo alla nuova Associazione di lanciare una battaglia affinché si compia quella riforma della cittadinanza che il Pd, in uno dei suoi innumerevoli tradimenti, nel corso della precedente legislatura non ha voluto portare a termine. Oggi, sono tantissimi i figli di immigrati nati qui: parliamo di italiani a tutti gli effetti, che sono immersi nello stesso contesto culturale vissuto da tutti i loro coetanei ma che vivono una condizione giuridica indefinita, “sospesa”, espressione odierna delle tante forme che ha assunto, nel corso dei decenni, la discriminazione.

La quale colpisce persone che possono rappresentare il vero ponte tra due mondi che una politica sempre più squallida vuole separare e contrapporre: quello dei loro genitori, lavoratori immigrati che contribuiscono notevolmente alla ricchezza nazionale e quello dei cosiddetti “italiani doc”, frastornati da violente campagne di stampa tese ad indicare in chi viene da fuori la causa di tutti i mali del paese. Introducendo lo Ius soli, ossia l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza dell’esser nati in questo paese, oltre a togliere dalla circolazione una vergognosa limitazione di diritti per tanti giovani, si può rafforzare quell’integrazione che non è un processo facile ma che costituisce una sfida che ogni democrazia matura deve mostrare di saper sostenere. Ad esempio, coinvolgendo chi è giunto qui per cercare una vita migliore nel rilancio dei principi fondativi di questa società (che, nonostante le spacconate del Ministro Salvini, rimangono quelli fissati in una Costituzione non solo avanzata per il tempo in cui fu scritta, ma ricca di spunti su come organizzare, oggi, la vita associata in un paese moderno).

Questi principi possono essere riconosciuti come propri da chi è venuto da altre parti del pianeta perché rinviano ad aspirazioni (ad esempio, relative alla giustizia sociale) già presenti nelle culture d’origine, anche se, ovviamente, formulate in un linguaggio differente. Ma per far sì che tale percorso virtuoso si traduca nella realtà, è bene che tante donne e tanti uomini immigrati percepiscano le frasi, spesso splendide, della Carta del ’48 come qualcosa di concreto e non in quanto enunciazioni astratte: e cosa c’è di più concreto, per chi è genitore, che vedere i propri figli crescere in piena tranquillità, al riparo da qualsiasi vessazione e in una condizione di eguaglianza formale e sostanziale con i figli dei nativi?

Già, l’eguaglianza: è questa la parola chiave per chiunque voglia delineare, oggi, un autentico “patriottismo costituzionale”. L’introduzione in Italia dello Ius soli, lungi dall’essere la fantasia di qualche radical chic, potrebbe essere un modo per riallacciarsi, nel mutato scenario dei nostri giorni, a quella spinta a definire una società più umana che personalità di grande rilievo (Nilde Iotti, Teresa Noce, Lelio Basso, Palmiro Togliatti ecc.) riversarono nella stesura della Costituzione.

Cub Immigrazione Roma

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