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Le dirigenze dei sindacati di base si fanno la guerra sabotando la difesa della classe operaia

Sciopero generale di tutta la classe lavoratrice per venerdì 26 ottobre 2018

(14 Ottobre 2018)

Il 17 luglio scorso i sindacati di base SI Cobas e Cub – insieme ai piccoli Sgb, Slai Cobas, Usi Ait – hanno proclamato uno sciopero generale di tutta la classe lavoratrice per venerdì 26 ottobre. Successivamente si è aggregato l’ADL Cobas.

Queste organizzazioni hanno proceduto in modo analogo all’anno scorso: hanno annunciato lo sciopero, con larghissimo anticipo, 90 giorni, ignorando le due altre principali organizzazioni sindacali di base: l’Unione Sindacale di Base e la Confederazione Cobas. Un modo di procedere che rientra nella “guerra” fra le dirigenze delle varie organizzazioni sindacali di base.

Usb e Confederazione Cobas lo scorso anno infine si risolsero ad indire uno sciopero generale il 10 novembre, a due settimane di distanza da quello del 27 ottobre. In un documento pubblicato il 4 agosto 2017, a firma del “Coordinamento Iscritti Usb per il Sindacato di Classe”, intitolato “Problemi dello sciopero del 27 ottobre” – di cui pubblicammo alcuni stralci sul nostro giornale (“Il percorso accidentato ma segnato verso un fronte unico sindacale di classe”) – si leggeva:

«La proclamazione dello sciopero [del 27 ottobre 2017] era avvenuta senza consultare né l’Usb né la Confederazione Cobas; questo era, con ogni evidenza, frutto della volontà di impedire ogni azione comune – sul piano nazionale e confederale – con quei due sindacati. Lo sciopero così proclamato quindi andava a suggellare quella divisione del sindacalismo di base nelle azioni di lotta che da 7 anni – cioè dalla nascita dell’Usb nel maggio 2010 – vede promuovere scioperi separati e in concorrenza fra questa e la CUB. Queste organizzazioni [Usb e Confederazione Cobas] andavano consultate prima di indire lo sciopero, per provare a farlo congiuntamente, anche con piattaforme rivendicative diverse, se non si riusciva a conciliarne una comune. Non averlo fatto fornisce un alibi a quelle dirigenze sindacali che eventualmente aspirassero – per il solito miope spirito “di sigla” – a disertare lo sciopero, visto che potranno giustificarsi con la base dei loro iscritti – come accaduto in passato – affermando di essere state emarginate». Come si vede nulla è cambiato rispetto l’anno passato.

Non sappiamo se per vie private i dirigenti di alcuni di questi sindacati abbiano interloquito con quelli dei sindacati non coinvolti nella preparazione dello sciopero. Comunque non sarebbe stato questo il modo corretto di procedere: le organizzazioni sindacali debbono essere invitate in modo formale a una discussione in preparazione di una mobilitazione, con comunicati ufficiali mostrati agli iscritti ed ai lavoratori, a dimostrare l’operato e le scelte degli uni e degli altri.

L’anno scorso i nostri compagni con altri militanti sindacali redassero un Appello a sostegno della proclamazione di uno sciopero generale unitario del sindacalismo di base (se ne si legga in questo stesso numero il resoconto nel rapporto sulla nostra attività sindacale esposto alla Riunione Generale del partito di maggio). Sulla base dei contatti consolidati in occasione della battaglia a sostegno di quell’Appello, la scorsa domenica 2 settembre si è tenuta a Firenze una riunione, presente una trentina di militanti di diverse organizzazioni sindacali: Confederazione Cobas, Cobas Sanità Università Ricerca, Usb, SI Cobas, Cub, Orsa. Vi erano rappresentate le seguenti categorie: ospedalieri, ferrovieri, poste, vigili del fuoco, Inps, insegnanti, alimentaristi.

La riunione – ci è parso in un buon clima fraternamente operaio – ha stabilito: 1) l’intenzione di dare continuità al gruppo che ha partecipato alla riunione al fine di portare avanti nel tempo la battaglia per l’unità d’azione del sindacalismo di classe; 2) l’organizzazione, dopo lo sciopero del 26 ottobre, di una assemblea nazionale “autoconvocata” con quell’obbiettivo; 3) la redazione di un nuovo appello a sostegno di uno sciopero generale unitario di tutto il sindacalismo di base e conflittuale, da far sottoscrivere in primo luogo a delegati, militanti e iscritti dei sindacati che non hanno aderito allo sciopero.


Cosa fa l’Usb

Quest’anno, differenza del 2017, Usb e Confederazione Cobas non hanno proclamato alcuna mobilitazione generale dei lavoratori. Per l’Usb, da quando fu fondata nel maggio 2010, questo non era mai accaduto. In compenso ha lanciato una manifestazione nazionale – a Roma sabato 20 ottobre – sei giorni prima dello sciopero, non certo per caso. Questa “contromossa” – che sancisce e approfondisce la contrapposizione fra Usb e l’altro fronte del sindacalismo di base – merita alcune considerazioni.

In primo luogo che era scontata, simmetrica alla procedura seguita da Cub e SI Cobas che ha escluso l’Usb dalla preparazione dello sciopero, e volta ad evitare alla dirigenza Usb l’imbarazzo di trovarsi a rifiutare un esplicito invito in tal senso. Questo eventuale (ma non certo) rifiuto, come già accaduto in passato, avrebbe marcato il distinguersi di Usb e la sua invocata superiorità rispetto al restante sindacalismo di base, da cui pretende essersi emancipata, come esplicitato durante il suo secondo congresso (“L’Usb al suo secondo Congresso nazionale”).

In secondo luogo che l’Usb accantona l’azione dello sciopero generale nazionale per sostituirlo con una manifestazione, secondo un costume che essa stessa in passato – giustamente – ha rimproverato alla Cgil.

È vero che è criticabile la “ritualità” degli scioperi generali promossi ogni autunno dal sindacalismo di base. Scioperi che non sono tali – tranne per il settore logistico, grazie al SI Cobas, in parte quello dei trasporti e in poche altre eccezioni – riducendosi a deboli manifestazioni di testimonianza che sviliscono l’arma stessa dello sciopero agli occhi dei lavoratori.

Tuttavia per l’Usb il sottrarsi quest’anno a tale ritualità sembra imputabile, più che ad un cambio di strategia sindacale, alla speranza che la sua dirigenza ripone in una o entrambe le bande di politicanti del nuovo governo per ottenere un “riconoscimento” sindacale, in contrapposizione e a discapito dei tradizionali sindacati confederali, in primis la Cgil. Per contro questi governanti “del cambiamento” verrebbero così ad indebolire l’altrettanto borghese sinistrume che controlla la Cgil e dalla quale, di riflesso, ricevono un sostegno.


La Usb fra i braccianti

L’Usb si è estesa fra i braccianti in Calabria, Puglia, Basilicata e Piemonte. Dopo l’uccisione il 2 giugno a colpi di fucile del bracciante maliano Soumaila Sacko, militante di Usb, tra Nicotera e Rosarno, vicino la tendopoli di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, il 7 giugno il pentastellato presidente della Camera ha ricevuto il coordinatore nazionale di Usb Lavoratori Agricoli e due membri dell’Esecutivo nazionale confederale. L’11 giugno lo stesso presidente della Camera si è recato in visita – su invito e accompagnato dai rappresentanti di Usb – presso la tendopoli di San Ferdinando. Il 4 luglio, a Roma, presso il Ministero del Lavoro, una folta delegazione di Usb, guidata dal suo coordinatore nazionale Confederale e da quello di Usb Lavoratori Agricoli, ha incontrato il vicepresidente del consiglio e ministro del Lavoro Di Maio. Si legge nel comunicato sindacale: «Usb ha letto e illustrato al ministro un documento articolato in sei macroaree, a partire dalla necessità di istituire un tavolo interministeriale con la partecipazione dei dicasteri del Lavoro, dell’Agricoltura, delle Infrastrutture e del Sud» (“Di Maio incontra l’Usb: contro lo sfruttamento nelle campagne più ispettori, contributi PAC condizionati e un tavolo interministeriale”).

Lunedì 3 settembre «si è tenuta nella prefettura di Foggia la prima riunione del Tavolo interministeriale e interistituzionale sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura (...) Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha aperto la riunione (...) Abbiamo proposto l’inclusione nella “Rete del lavoro agricolo di qualità” e nella relativa Cabina di regia dei nuovi attori, a partire da Usb, che attualmente stanno sviluppando forme di lotte bracciantili per i diritti sindacali e sociali di uomini e donne nella filiera agricola (...) L’Usb invita (...) al Convegno nazionale dei braccianti il prossimo 22 settembre a Foggia (...) il ministro delle Politiche Agricole (...) e il presidente della Regione Puglia» (“Lavoro agricolo, Di Maio presiede a Foggia il tavolo nazionale. Consenso unanime alla proposta Usb sui Centri per l’impiego”, 3 settembre).

Fa ovviamente parte delle funzioni di un sindacato trattare con i padroni e con i rappresentanti delle loro istituzioni statali, locali e nazionali. Ma un sindacato di classe approda alla trattativa in virtù della forza dispiegata dai lavoratori negli scioperi. Un sindacato di regime – quali in Italia sono Cgil, Cisl e Uil – ha invece garantita la sua partecipazione “ai tavoli” dalla fiducia che il padronato ripone in essi quali validi strumenti per controllare i lavoratori ed per impedire che essi tornino alla lotta di classe.

La dirigenza di Usb oscilla fra i richiami e, meno frequentemente, il ricorso alla lotta, e la ricerca del riconoscimento istituzionale. Ma un tale riconoscimento, nella misura in cui viene ottenuto sulla base di uno scambio con forze politiche borghesi, può ottenersi – proclami a parte – solo al prezzo del sacrificio d’ogni potenzialità di classe. E potrà sempre essere revocato.

È esemplare del fradicio riformismo della dirigenza della Usb la via che propone per la difesa dei braccianti. Nel comunicato del Coordinamento Nazionale Lavoratori Agricoli Usb dell’11 luglio, in occasione della visita a San Ferdinando, leggiamo: «Il presidente della Camera ha voluto richiamare alle proprie responsabilità la nazione [sic!], perché un modo condiviso [“condiviso” fra chi? Fra padroni ed operai uniti per il bene della “nazione”?] di combattere le moderne forme di schiavitù esiste, ed è la diffusione anche in Italia del consumo critico. Che equivale a dire “no alle merci vendute a prezzi stracciati” nella GDO, perché frutto del lavoro di braccianti pagati con pochi spiccioli, senza diritti, senza alcuna garanzia. L’Unione Sindacale di Base ringrazia il presidente della Camera per l’attenzione dimostrata» (“Fico visita con Usb le tendopoli di San Ferdinando: no agli accampamenti, sì all’accoglienza diffusa; contro la schiavitù dei braccianti serve il consumo critico”, 11 luglio).

Secondo i dirigenti di Usb quindi il capitalismo può essere riformato tramite un “consumo critico” che elimini la guerra commerciale dei prezzi, fra cui quello della forza lavoro! La realtà dimostra chiaramente il contrario, coi salari in calo da decenni e i proletari costretti a comprare merci sempre più scadenti a prezzi sempre maggiori. Non certo la chimera oppiacea del consumo critico ma solo la forza organizzata della lotta operaia può opporsi alla riduzione dei salari! Una lotta difensiva, non risolutiva delle ineliminabili infamie del capitalismo, ma necessaria sia a resistere sia a rafforzare i muscoli della classe proletaria, nella prospettiva della offensiva lotta politica rivoluzionaria per l’abbattimento, insieme col suo regime politico, del capitalismo.

L’impostazione data da Usb alla lotta dei braccianti è confermata dal testo di convocazione di una assemblea nazionale a Foggia sabato 22 settembre: «L’Unione Sindacale di Base organizza a Foggia una grande assemblea nazionale sul lavoro agricolo, durante la quale saranno presentati e discussi la piattaforma per il riconoscimento dei diritti sindacali, contrattuali e sociali dei lavoratori della terra e la proposta di codice etico per tutti gli attori della produzione e della commercializzazione dei prodotti agricoli, dai braccianti alla Grande Distribuzione Organizzata (...) All’assemblea aveva pubblicamente garantito la propria presenza il ministro Gian Marco Centinaio, che però alcuni giorni fa si è tirato indietro. Un brutto segnale dal ministero cui fa capo l’agricoltura italiana» (“Agricoltura Eticoltura. A Foggia il 22 settembre l’assemblea nazionale Usb sul lavoro agricolo: una piattaforma dei diritti e un codice etico”, 18 settembre).

All’assemblea, si legge nella locandina, parteciperanno anche “le associazioni di contadini e produttori”, cioè coloro i quali comprano e impiegano la forza lavoro dei braccianti, e che possiamo immaginare come siano favorevoli alle rivendicazioni contenute nella “piattaforma per il riconoscimento dei diritti sindacali, contrattuali e sociali dei lavoratori della terra”.

Si vede bene come l’ideologia politica della dirigenza Usb faccia presagire come destino di questo sindacato sia di sacrificare l’indirizzo di lotta classista sull’altare del riconoscimento da parte delle associazioni padronali e delle istituzioni politiche borghesi, cioè divenire un nuovo sindacato di regime. Ma tale sentiero non è stato ancora percorso sino in fondo – come invece da fine anni settanta reputiamo sia stato per la Cgil – e non è scontato che lo sarà, dipendendo ciò dal corso della lotta di classe, che può travolgere e squassare l’esile struttura di questo sindacato.


La vana speranza nelle nazionalizzazioni

Terza ed ultima considerazione da farsi in merito alla manifestazione nazionale del 20 ottobre promossa da Usb riguarda la sua piattaforma. Questa ha come rivendicazione centrale la nazionalizzazione di quelle che il riformismo chiama le “industrie strategiche” del paese. Per una trattazione più estesa di tale questione inquadrata dal punto di vista dell’indirizzo sindacale comunista rimandiamo all’articolo recentemente pubblicato “Le crisi aziendali e la richiesta delle nazionalizzazioni”.

Si noti che questa rivendicazione accomuna un arco politico-sindacale che va dagli esponenti della sinistra borghese radicale entro l’Usb, sia di marca staliniana sia trozkista, alla corrente di sinistra in Cgil più affiatata alla sua attuale maggioranza, quella che pubblica il periodico “Sinistra sindacale”: il suo ultimo numero apre in prima pagina col titolo: “Nazionalizzazione: una scelta strategica”. Insomma, i dirigenti di Usb sul tema vanno a braccetto con la maggioranza Cgil, in ottima compagnia!

La convocazione della manifestazione è stata resa pubblica il 4 settembre attraverso un appello – cui richiedono la sottoscrizione – titolato: “Nazionalizzare qui e ora! Manifestiamo a Roma, il 20 ottobre”. Fra le prime adesioni quelle di due esponenti del cartello politico Eurostop (si legga in merito “Contro la parola d’ordine di uscita dall’Euro dall’Europa dalla Nato”) e quella della portavoce nazionale del cartello elettorale Potere al Popolo.

Si legge nell’appello: «La strada delle nazionalizzazioni, che porti con sé anche una nuova e diversa concezione del modello di sviluppo (...) NON ammette più ritardi, né tentennamenti da parte di questo governo. Governo di cui fa parte una forza come la Lega che in passato ha sottoscritto concessioni e, come tutti gli altri partiti, ha preso soldi da Autostrade, votando come gli altri il decreto Salva-Benetton (...) Occorre quindi mobilitarsi perché la richiesta di nazionalizzazione che è venuta dal basso e che è stata populisticamente evocata dal Governo, sia effettivamente esaudita». Senza qui soffermarci sul logoro riformismo che prospetta un “diverso modello di sviluppo” del capitalismo, quello statale, e non certo un modo di produzione diverso dal capitalismo, è da notare come i dirigenti di Usb ritengano utile dar credito a questo governo.

Il comunicato fa riferimento al recente crollo del Ponte Morandi a Genova, in seguito al quale gli esponenti di governo del Movimento 5 Stelle hanno invocato la nazionalizzazione della rete autostradale. Lo stesso avevano fatto nei mesi estivi in merito all’Alitalia.

Due giorni dopo la pubblicazione dell’appello per la manifestazione sulle nazionalizzazioni, il 6 settembre l’Usb, insieme a Fiom, Fim, Uilm e Uglm, ha firmato l’accordo sull’ILVA, che condurrà all’acquisizione del gruppo siderurgico da parte del primo produttore mondiale di acciaio, Arcelor Mittal, e, con un quota di minoranza, dell’italiana Marcegaglia. Sul merito dell’accordo, vista la sua complessità, ci riserviamo di scrivere sul prossimo numero del giornale. Il comunicato del giorno stesso di Usb titolava: “Ilva, Usb: ottenuta la salvaguardia integrale dell’occupazione, ma l’Italia perde un pezzo del suo patrimonio industriale”. I mezzi di produzione, le aziende, invece che essere proprietà di una classe sociale, la borghesia, come spiega il marxismo, sarebbero per costoro proprietà “della nazione”.

Su queste basi l’Usb si appresta a organizzare la manifestazione del 20 ottobre.

Per sabato 27 ottobre, sette giorni dopo, l’indomani dello sciopero generale, fin da agosto già il SI Cobas aveva indetto una manifestazione nazionale, sempre a Roma, sulla base della piattaforma rivendicativa dello sciopero e a sostegno del progetto di un “Fronte anticapitalista”, di natura partitico-sindacale, che ideologicamente si contrappone ai contenuti della manifestazione promossa dall’Usb, oltre che alle organizzazioni politiche che ad essa aderiscono. Va perciò a consolidarsi ed aggravarsi la contrapposizione fra Usb e SI Cobas, su una base partitica, a danno del movimento sindacale della classe lavoratrice, alla cui parte organizzata nei sindacati di base, già minoritaria, si vede impedita la possibilità di un’azione unitaria di lotta.

Contro questa guerra voluta e condotta dalle attuali dirigenze, che si alimenta anche della confusione di funzioni fra l’organo sindacato e quello partito, il nostro partito indica ai lavoratori, oltre che ai suoi compagni, la necessità di militare e lavorare in ogni sindacato di base, e di battersi in essi per l’affermazione dell’indirizzo dell’unità d’azione dei lavoratori e del fronte unico sindacale di classe (“Per l’unificazione delle lotte della classe lavoratrice - Per il fronte unico sindacale di classe”).

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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