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Addio, porcellum

Addio, porcellum

(1 Ottobre 2011) Enzo Apicella
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Dibattito sulla legge elettorale: troppe sciocchezze in libertà

(17 Ottobre 2005)

Non credo che il Professor Sartori si offenderà se prenderò in prestito un sua tipica premessa. A volte si è purtroppo costretti a chiamare le cose con il loro vero nome e, con ciò, esprimere dei giudizi impliciti riguardo agli argomenti altrui.
Per dirla quindi con il Professor Sartori: l’avere opinioni diverse, l’essere un Parlamentare o anche un autorevole Professore, non autorizza a dire sciocchezze.
A questo principio basilare direi anche di aggiungere che le sciocchezze, anche se dette in tanti, tali sono e tali rimangono.

Premesso ciò, proviamo ad entrare nel merito delle singole questioni che si sono aperte in seguito all’iniziativa del centrodestra di cambiare la legge elettorale.
E per fare ciò, mi permetto di proporre un modo diverso di affrontare la questione, andando a verificare, in un confronto diretto, cosa succede con l’attuale legge elettorale e cosa potrebbe invece succedere se, in linea di massima, il progetto di legge presentato dal centrodestra rimanesse così come è ora.
E’ abbastanza curioso, infatti, che le maggiori critiche rivolte al progetto del centrodestra, che per altro ricalca quasi fedelmente la legge elettorale della Regione Toscana, alla fine finiscano per somigliare moltissimo alle critiche che i proporzionalisti sono soliti rivolgere al sistema maggioritario vigente.
Nulla di più normale, quindi, che queste critiche vengano avanzate dai fautori dell’immediato ritorno al proporzionale; quanto mai schizofrenico, però, quando a sostenere le medesime argomentazioni siano i sostenitori dell’attuale legge maggioritaria.

Premio di maggioranza
La proposta di legge presentata dal centrodestra prevede che alla coalizione vincente vengano assegnati un numero di seggi, variabile, al fine di farle avere un’adeguata maggioranza parlamentare (340 seggi alla Camera, 170 al Senato).
Sotto il profilo degli effetti concreti, quindi, l’attuale maggioritario, collegio per collegio, si trasformerebbe in una sorta di maggioritario di coalizione.
Estremizzando le situazioni, per ipotesi potremmo anche avere un’elezione con tre coalizioni intorno al 30%, per cui la coalizione vincente, con poco più del 30%, potrebbe ottenere un premio di maggioranza di oltre il 20%.
E’ sin troppo evidente come tale meccanismo di “addizione e corrispondente sottrazione” dei seggi potrebbe facilmente determinare, in una situazione con più di 2 coalizioni, situazioni intollerabili sotto il profilo della ripartizione dei seggi, a danno, in modo particolare, dei partiti minori.
Nulla di più normale, quindi, che i sostenitori del proporzionale ritengano questo meccanismo inaccettabile.
Detto questo, però, allo studioso, per quanto fervente proporzionalista, non è consentito di rimanere nel vago.
Per essere chiari: da 1 a 10, meglio il maggioritario di coalizione o quello collegio per collegio? Meglio il premio di maggioranza sul modello della legge elettorale per la Toscana o il premio che si acquisisce attraverso l’attuale sistema maggioritario?
Alla prima domanda ha già risposto la Lega Nord, l’unica forza politica, all’interno del centrodestra, ad aver sollevato più perplessità.
Il maggioritario di coalizione, infatti, riduce di molto il peso dei partiti minori con forte penetrazione locale come la Lega.
Essere indispensabili per vincere in un tot di collegi implica un potere contrattuale, all’interno della coalizione, enorme; essere indispensabili per vincere in un ambito territoriale più vasto, tipico dei partiti a dimensione nazionale, aumenta il potere contrattuale di quest’ultimi.
Alla seconda domanda, quale premio di maggioranza preferire, è sufficiente rispondere ricordando l’attuale forza parlamentare della maggioranza di governo uscita vincente nel 2001: in Italia non si era mai vista una così larga maggioranza parlamentare nonostante la piccola differenza di voti che ha diviso il centrodestra dal centrosinistra.
Immaginiamo, allora, cosa potrebbe succedere nell’ipotesi che a confrontarsi siano più di due coalizioni; e per farlo, è sufficiente guardare all’esperienza inglese, dove i liberali, sempre a ridosso del secondo partito, ottengono pochissimi seggi (mentre piccolissimi partiti a forte penetrazione locale riescono ad ottenere il massimo), e il partito di maggioranza relativa riesce con facilità a garantirsi una larga maggioranza parlamentare.

Indicazione del Premier e deposito del programma elettorale.
I partiti debbono dichiarare il proprio candidato Premier e il programma elettorale che, ovviamente, sarà uguale per tutti in caso di partiti coalizzati.
Ciò implica, chiaramente, una forte limitazione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica e del Parlamento in ordine alla nomina del Presidente del Consiglio e ai lavori parlamentari in genere.
In tal senso, però, stiamo parlando di prerogative che, pur a Costituzione invariata, non esistono già più, e questo proprio a causa dell’introduzione dell’attuale legge maggioritaria.
E dal ’94 che le coalizioni si presentano agli elettori con tanto di candidato Premier e programma di Governo definito, sia che si chiami programma di tot punti (l’Ulivo di Prodi nel 1996) o contratto con gl’italiani (Berlusconi nel 2001).
Ma non solo: come tutti ben ricordano le ultime elezioni, sul simbolo elettorale per la scheda maggioritaria vi erano chiari riferimenti ai nomi dei candidati Premier delle due coalizioni e, tranne gli studiosi, nessuno si scandalizzò più di tanto.
Infine, ciliegina sulla torta, sono di questi giorni le primarie dell’Unione per designare quale Premier, in caso di vittoria alle elezioni, il Presidente Ciampi e il Parlamento saranno chiamati a nominare.
Chi ha quindi a cuore le prerogative del Presidente della Repubblica e del Parlamento, è il caso che cominci a darsi da fare da subito, visto che, con l’attuale legge e gli attuali ceti politici dirigenti, queste prerogative costituzionali sono già state da tempo assorbite “d’ufficio”.

Liste bloccate.
Non è previsto il voto di preferenza, per cui all’elettore non rimane altro che votare il partito, senza alcuna possibilità d’intervento sulla vita interna del partito votato.
Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una realtà, certamente da modificare con urgenza, ma già ben consolidata.
Con la legge elettorale vigente, infatti, la seconda scheda per la Camera per l’elezione della quota proporzionale è bloccata. Non consente il voto di preferenza.
Ma peggio ancora, questo meccanismo di decisioni imposte dall’alto lo si subisce, in modo maggiore, con la scheda per l’elezione del candidato uninominale. L’elettore convintamene di centrosinistra, o di centrodestra, non ha altre possibilità che votare il candidato che si ritrova davanti, quale che sia, pena la vittoria del candidato della coalizione opposta.
I candidati uninominali sono una lista bloccata a tutti gli effetti per almeno il 90% degli elettori.
Quantomeno, con la legge proposta dal centrodestra all’elettore rimarrebbe la possibilità, nell’ambito del voto dato alla coalizione, di dare più o meno forza a questo o quel partito. Non più per una quota di seggi ridotta al 25%, come ora, ma per l’intera quota.
In tal senso, non c’è alcun timore a dichiarare che un simile sistema di riequilibrio dei rapporti interni alle coalizioni, deciso dagli elettori, è di gran lunga preferibile ad un sistema dove le decisioni prese in fase di accordi sui collegi possono soltanto essere accettate o rifiutate in toto dagli elettori. Saranno gli elettori a decidere se e quanti parlamentari di quel partito potranno sedere in Parlamento con la coalizione scelta, e non il mercato delle vacche deciso nei corridoi delle segreterie.

Soglie di sbarramento
Il progetto del centrodestra prevede una soglia di sbarramento del 4% per i partiti non coalizzati.
L’obiettivo è chiaramente quello di forzare i piccoli e medi partiti ad entrare nelle coalizioni maggiori, pena il mancato superamento del quorum d’ingresso e pena il mancato godimento del “premio di maggioranza”.
Risultano quindi di difficile comprensione tutti i timori espressi dai bipolaristi riguardo il possibile rischio all’eccessiva frammentazione, sia a livello di singoli partiti che di coalizione.
Piuttosto, il problema sarebbe semmai l’opposto: più il sistema è frammentato prima delle elezioni e maggiormente si avvantaggiano le coalizioni maggiori, con conseguente minor frammentazione nel Parlamento; meno il sistema è frammentato, formalmente, prima delle elezioni, e più alta sarà la frammentazione una volta entrati in Parlamento, esattamente come succede ora con l’attuale legge elettorale maggioritaria.
Vedendo la cosa dal lato dei fautori del ritorno al proporzionale, invece, nulla di più odioso della combinazione premio di maggioranza e soglia di sbarramento.
Per i partiti minori, vedersi sottrarre un tot di seggi dopo lo sforzo fatto per superare il quorum d’ingresso sa molto poco di proporzionale e molto di maggioritario.

Equilibri costituzionali
Con il ritorno al proporzionale, è stato possibile leggere da più parti, si verrebbero ad alterare fragilissimi equilibri costituzionali.
Francamente, risulta difficile prendere in considerazione una simile argomentazione.
Tutto l’impianto delle garanzie dell’attuale Costituzione è chiaramente congegnato pensando ad un sistema elettorale di tipo proporzionale, come del resto i Costituenti ci avevano lasciato in eredità.
E’ soltanto in conseguenza dei meccanismi della legge elettorale maggioritaria, infatti, che oggi è divenuto possibile modificare la Costituzione a colpi di minoranza.
Addirittura, nell’ipotesi di una situazione frammentata, con più di due coalizioni, potrebbero bastare pochi voti per riuscire ad ottenere i due terzi dei seggi parlamentari, evitando così di dover sottoporre le modifiche costituzionali al referendum confermativo.
Questa sì che è una grave lesione dell’equilibrio costituzionale, ormai in vigore dal ’94 e per altro realizzata senza aver fatto lo sforzo di modificare la Costituzione.
Con il referendum del ’93 è stata cambiata la legge elettorale, come si sarebbe potuto fare per qualsiasi altra legge ordinaria non rientrante nei divieti previsti dalla costituzione, e dove prima servivano forze politiche con alle spalle il 50% più 1 degli elettori per poter modificare la Carta costituzionale, ora sono sufficienti un tot di collegi maggioritari, con il 50% o il 30% dei consensi elettorali non fa differenza.
Senza cioè aver modificato una riga della Costituzione, il senso di una delle più importanti garanzie poste a tutela della legalità costituzionale è stata stravolta dall’introduzione di una banalissima legge ordinaria.
E nessuna forza politica, ieri l’Ulivo, oggi il Polo, ha sentito l’esigenza di un intervento in grado di ripristinare, per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale, il quorum della maggioranza effettiva degli ELETTORI rappresentati in Parlamento.
Per altro, visto il rischio, per un numero significativo di elettori, di essere espulsi dal Parlamento in conseguenza del meccanismo di conta di tipo maggioritario, sarebbe stato quanto mai opportuno studiare meccanismi in grado di garantire anche a questi elettori forme d’intervento per tutte le fasi dei processi di revisione costituzionale.
L’assenza d’interventi per ripristinare i preesistenti equilibri costituzionali, inoltre, che logicamente avrebbero dovuto anticipare tutte le modifiche costituzionali che dal ’94 ad oggi sono state invece realizzate, la si deve registrare anche nell’ambito del delicato sistema dei “pesi e contrappesi”.
Anche i poteri di nomina di natura parlamentare, infatti, hanno acquisito una diversa valenza, potendo divenire di esclusivo dominio della maggioranza parlamentare uscita vincitrice dalle elezioni.

Per concludere, la proposta di legge elettorale del centrodestra mantiene tutti i caratteri della forzatura bipolare, ad un punto tale che non può essere definita una legge di tipo proporzionale.
Molto più precisamente, si tratta di una variante della logica maggioritaria.
In ogni caso, sotto il profilo degli effetti concreti, vista dal lato dei proporzionalisti, non può certamente essere definita peggiore dell’attuale legge elettorale.

Anche se a dosi minime, vengono restituiti margini di indipendenza destinati a scomparire con l’attuale legge maggioritaria.
In tal senso, un brutto esempio proviene dal PRC, improvvisamente convertito allo strumento delle primarie: da un lato perché costretto all’accordo con l’Unione per non scomparire; e dall’altro con la necessità di non dover rendere conto ai propri elettori degli accordi che sarà costretto ad accettare.
Grazie alle primarie, sarà tutto molto più facile da far digerire una volta che il “voto popolare” avrà indicato nel nome di Prodi il candidato del centrosinistra: come tirarsi indietro di fronte ad una designazione che si dice provenire dal basso?

Altro aspetto di non poco conto, è la possibilità, per l’elettore, di disegnare la geografia della coalizione, potendo finalmente scegliere all’interno della coalizione il partito preferito e non essere costretto a prendere o lasciare il candidato uscito vincente dal mercato delle vacche.

Poco, certamente molto poco.
Di sicuro, però, l’urgenza dell’abbandono della logica maggioritaria non può passare per la difesa del maggioritario stesso.

10 ottobre 2005

Franco Ragusa

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