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Fascist Legacy di Ken Kirby, Gran Bretagna, 1989

scheda a cura dello spazio di documentazione Nexus di Milano

(16 Novembre 2005)

Regia: Ken Kirby; consulenza storica: Michael Palumbo;
fotografia: Nigel Walters; montaggio: George Farley;
voce narrante: Michael Bryant.


Documentario prodotto e trasmesso dalla BBC in due puntate, l'1 e 8 novembre 1989, suscitando una protesta da parte dell'ambasciatore italiano a Londra, un'interpellanza parlamentare e articoli apparsi su tutti i maggiori quotidiani italiani (1). Successivamente è stato acquistato dalla RAI che ne ha prodotto una versione italiana che non è mai stata trasmessa.

Affronta il tema della rimozione dei crimini sistematicamente commessi dall'Italia fascista nella costruzione del suo impero, in nome della "superiore civiltà italica" e della sua "missione civilizzatrice", in Africa (Libia, Etiopia, Somalia) e nei Balcani (Albania, Jugoslavia e Grecia). Massacri di civili, distruzione di interi villaggi, eliminazione delle élite intellettuali e politiche, uso di armi chimiche, distruzione delle colture e del bestiame per ridurre alla fame la popolazione, deportazioni e campi di concentramento con una mortalità che arrivò sino al 50% degli internati. Una serie di orrori, con un bilancio di morti, arrotondato per difetto, di 300.000 etiopi, 100.000 libici, 100.000 greci e 250.000 jugoslavi. (2)

La prima parte, intitolata A Promise Fulfilled (Una promessa mantenuta), documenta questi crimini analizzando quanto avvenne in Etiopia e Jugoslavia. Gli episodi e i luoghi più significativi di questi crimini vengono ripercorsi affiancando alle immagini dell'epoca il racconto di testimoni oculari e il commento di alcuni autorevoli storici, fra cui Angelo Del Boca, Guido Rochat e lo jugoslavo Ivan Kovacic.

La seconda, intitolata A Pledge Betrayed (Un'impegno tradito) illustra le ragioni per cui i responsabili di quei crimini non furono mai processati e incriminati, contrariamente agli impegni precedentemente presi dagli Alleati, né si sviluppò mai un serio dibattito pubblico che rielaborasse la memoria collettiva di tali eventi, rimasta così ancora oggi abbandonata a un'ambigua mescolanza di rimozione e luoghi comuni ereditati dalla propaganda auto-assolutoria del regime.

Basandosi principalmente sui documenti della Commissione ONU per i crimini di guerra istituita nel 1943, lo storico Michael Palumbo ricostruisce come Stati Uniti e Gran Bretagna al termine del conflitto appoggiarono deliberatamente i tentativi di chi in Italia voleva affossare le richieste di processare quei criminali di guerra italiani che la stessa commissione ONU riconosceva come tali. Testimoni dell'epoca, come il membro della Commissione ONU Marian Mushkat, l'allora ministro degli esteri jugoslavo Leo Mattes, storici come David Ellwood e Claudio Pavone, affiancano la documentazione fornita da Palumbo nel far luce sulla motivazione fondamentale di questo insabbiamento: condannare i criminali fascisti avrebbe messo in moto in Italia un processo di epurazione che avrebbe indebolito il fronte anticomunista, ritenuto essenziale nella logica della Guerra Fredda.

Così nessun criminale venne processato, molti continuarono anzi a ricoprire alte cariche istituzionali. Contestualmente si orchestrò una campagna d'opinione che diffuse quel mito del "bravo italiano" ben rispecchiato anche nel cinema che ha affrontato queste vicende. Film come "Mediterraneo" (1991), "I giorni dell'amore e dell'odio" (1999) e il più recente "Il mandolino del Capitano Corelli" (2001) presentano tutti un'immagine del soldato italiano vittima egli stesso e costituzionalmente incapace di crudeltà.

Paradossalmente, il massacro di Cefalonia, cui gli ultimi due film citati sono dedicati, venne a suo tempo insabbiato, come tante altre stragi naziste in Italia, prima ancora che insorgesse l'esigenza di non ostacolare il riarmo della Repubblica Federale Tedesca in funzione del ruolo assegnatogli dal suo ingresso nella NATO, proprio per evitare che questi processi potessero determinare un "effetto boomerang", costituendo un precedente che legittimasse le richieste di processare i criminali di guerra italiani avanzate da Jugoslavia ed Etiopia. Così, dopo che nel 1953 la pubblicazione sulla rivista "Cinema Nuovo" di una proposta di realizzare un film critico sul comportamento dei soldati italiani in Grecia, che avrebbe dovuto intitolarsi L'armata Sagapٍ, costò ai suoi promotori Guido Aristarco e Renzo Renzi l'arresto e un processo di fronte a un tribunale militare, un film italiano su questa pagina buia della nostra storia nei Balcani attende ancora di essere fatto. Va ricordato infine come nei confronti dell'Africa il cinema italiano sia riuscito a fare ben di peggio, se si pensa a quel fortunato genere cinematografico di cui negli anni Sessanta sono stati iniziatori Franco Prosperi e Gualtiero Jacopetti con il loro Africa Addio (1966).

Un ultimo colpo di coda del razzismo colonialista, sferrato mentre era in atto il processo di decolonizzazione. Un film peraltro prontamente difeso da un autorevole custode della memoria italiana dell'avventura africana come Indro Montanelli. Fra i critici di allora Alessandro Galante Garrone, che in un suo articolo pubblicato su "Cinema Nuovo" nel marzo del 1966, ne denunciava l'ideologia sintetizzandola con il commento espresso all'uscita dei cinema da un suo spettatore ideale: "Quelli sono popoli selvaggi. Avrebbero ancora bisogno di noi bianchi, della nostra civiltà superiore".

Va sottolineato come la censura praticata nei confronti di questo documentario, così come quella attuata dieci anni prima e tuttora mantenuta nei confronti del film Omar Mukthar. Lion of the Desert (4), che documentava la brutale repressione nei confronti della resistenza libica all'occupazione fascista, vada inserita all'interno di quella politica della memoria che và dalla storiografia defeliciana all'attuale retorica della riconciliazione nazionale. Denunciare i crimini del colonialismo fascista e l'ideologia razzista che li legittima, smonta infatti una delle basi su cui tale interpretazione del fascismo si regge, vale a dire la negazione del carattere intrinsecamente razzista del fascismo.

A tal fine si è in primo luogo tentato di allontanare l'Italia dal "cono d'ombra dell'Olocausto", sino a disegnare un'immagine del fascismo che: "come non fu razzista, non fu nemmeno antisemita", secondo le celebri formulazioni di De Felice (5). Le leggi razziali del 1938 diventano così un fenomeno importato dalla Germania, da condannare oggi come un semplice errore di percorso o una brutta parentesi, relativizzabile inoltre a fronte delle maggiori atrocità del nazismo.

Presunte attenuanti queste, tutte inutilizzabili per assolvere il fascismo da quel razzismo antislavo e coloniale che fu persino sanzionato da una legislazione razziale che precedette quella antiebraica e sostenuto da una propaganda sulla superiorità della razza italica che contribuì a preparare il terreno all'accettazione delle stesse leggi antiebraiche. Da qui la necessità di rimuovere totalmente questo razzismo e le atrocità che esso servì a legittimare (6) .Da qui, anche, la costruzione del mito del "bravo italiano" promossa nel dopoguerra (7), tuttora perfida arma ideologica utilizzata in quel conflitto delle memorie, particolarmente evidente in occasione di celebrazioni come il 25 aprile o il recentemente istituito "Giorno della memoria" (8) e nelle produzioni cinematografiche e televisive italiane di questi ultimi anni.

NOTE

1. E. Franceschini, L'italia non è innocente, "La Repubblica", 10.11.1988; M. Vignolo, In Tv per gli inglesi i crimini degli italiani in guerra, "Corriere della sera", 10.11.1989; F. Merlo, Ma l'Italia poi voltò pagina, "Corriere della sera", 10.11.1989; L. Maisano, Questi italiani sono stati criminali di guerra, "Il giornale", 10.11.1989; M. Ciriello, La BBC processa i criminali italiani, "La Stampa", 10.11.1989; L. Froni, Crimini di guerra, la BBC accusa, "Il Tempo", 10.11.1989; P. Filo della Torre, Italia, ecco i tuoi crimini di guerra, "La Repubblica", 10.11.1989; R. Caprile, "E' vero, e Londra sapeva" gli storici italiani rispondono, "La Repubblica", 10.11.1989; A. Colombo, Criminali brava gente, "Il Manifesto", 10.11.1989; F. Merlo, Crimini di guerra, ora si minimizza, "Corriere della Sera", 11.11.1989; M. Vignolo, Mack Smith: "Gli italiani non hanno colpe, restano brava gente", "Corriere della sera", 11.11.1989; P. Filo della Torre, Italiani suscettibili, "La Repubblica", 11.11.1989; N. Tranfaglia, Tutti assolti, "Repubblica", 12.11.1989; L. Campagnano, Smemorati. Gli italiani e i crimini di guerra, "Il manifesto", 11.11.1989; F. Longo, M. Moder, La lista della vergogna. Quel che non vedremo in tv. Pulizia etnica, genocidio, torture. La BBC accusa i generali italiani, Raiuno censura, "Il manifesto", 23.4.2000; R. Carroll, Italian's bloody secret, "The Guardian", 25.6.2001; M. Cervino, Italiani cattiva gente, "Diario", 7.7.2001.

2. Per quanto riguarda l'Africa si rimanda alle fondamentali ricerche di Angelo Del Boca, per un cui primo approccio si consiglia L'Africa nella coscienza degli italiani, Laterza, 1992 e Le guerre coloniali del fascismo, Laterza, 1991. Per un'introduzione e ulteriori indicazioni bibliografiche si rimanda a Enzo Collotti, Sulla politica di repressione italiana nei balcani in L. Paggi, La memoria del nazismo nell'Europa di oggi, La Nuova Italia, 1997.

3. Vedi in proposito alcune ricerche storiche condotte successivamente alla realizzazione di questo documentario quali: Filippo Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in "Quellen und Forschungen", Deutschen Historischen Institut in Rom, Band 80, Max Niemayer Verlag Tübingen, 2000; F. Focardi e Lutz Klinkhammer, La questione dei "criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta dimenticata, in "Storia contemporanea", Anno IV, n° 3, 2001; Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste, Mondadori, 2002.

4. Vedi A. Del Boca, L'Africa nella coscienza degli italiani, cit. pag. 125.

5. Le espressioni citate ricorrono rispettivamente nella celebre intervista di De Felice al "Corriere della Sera" del 27.12.1987 e nell'introduzione all'ultima edizione della sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1993.

6. Vedi Enzo Collotti, Il razzismo negato in Enzo Collotti, Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Laterza 2000; sui rapporti fra razzismo antisemita e razzismo coloniale in Italia vedi Centro Furio Jesi, La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis1994 e Alberto Burgio, Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'Italia 1870-1945, Il Mulino, 1999.

7. Vedi Filippo Focardi, "Bravo italiano" e "cattivo tedesco": riflessioni sulla genesi di due immagini incrociate, in "Storia e memoria", n° 1, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età contemporanea, 1996 (contenente diversi altri contributi sul tema, in particolare quelli di Brunello Mantelli e Gerhard Schreiber); il tema è ulteriormente sviluppato da Focardi nel suo saggio L'ombra del passato, in "Germania: cultura del ricordo e passato nazista", Istituto per la storia della resistenza e dell'età contemporanea di Modena, 2000.

8. Valga ad esempio la puntuale osservazione polemica di un'autorevole storico della legislazione fascista antiebraica come Michele Sarfatti che ha rilevato come il testo della legge che ha istituito tale ricorrenza non nomini neppure il fascismo, oppure la decisione da parte della RAI di celebrare tale ricorrenza con un film su Giorgio Perlasca.

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