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(Contratto Metalmeccanici)

Metalmeccanici - L'assemblea dei 500 approva l'accordo

(21 Gennaio 2006)

Senza problemi. Il testo dell'accordo siglato l'altroieri dalle segreterie sindacali unitarie dei metalmeccanici con Federmeccanica è stato approvato quasi all'unanimità dall'assemblea dei 500 delegati di Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm. Se non fosse stato per la presenza di un gran numero di delegati certamente non qualificabili come «comunisti trinariciuti» (Cisl e Uil provengono da antiche filiazioni democristiane, socialdemocratiche e repubblicane) avremmo potuto definire la votazione finale di tipo «bulgaro». Solo tre i voti contrari, un singolo astenuto. Non era andata diversamente per il comitato centrale della Fiom, dove peraltro sembra essersi concentrato tutto il piccolissimo dissenso - da sinistra - esistente nei confronti dell'accordo: due voti contrari. Completamente silenziosi quei delegati nostalgici degli accordi separati, siglati senza la firma della Fiom - gli ultimi due, nel 2001 e nel 2003 -, che si erano lamentati sui giornali del «costo eccessivo» di questa vertenza in termini di ore di sciopero. Del resto, a leggere la relazione a nome delle segreterie unitarie, è stato Giorgio Caprioli, il segretario generale della Fim, ossia del sindacato che più era sembrato disponibile, un paio di mesi fa, a ripercorrere quella strada (peraltro insoddisfacente anche agli occhi del padronato).

E proprio a Caprioli è toccato il compito di fare l'elogio di questo contratto «finalmente unitario», che pure «non era scontato», visti i «diversi momenti delicati nella tenuta unitaria». Tre sindacati «partiti divisi, ma arrivati uniti, mentre in Federmeccanica accadeva esattamente il contrario». Forse c'è una ragione che spiega questo rovesciamento, ma non ci si è soffermati ad analizzarlo. Il tentativo degli industriali di minimizzare il successo dei metalmeccanici è andato avanti fino all'ultimo minuti, quando è stata presentata un'offerta di aumento salariale «molto vicina ai 100 euro, ma che conteneva uno sfregio».

In pratica erano arrivati a 99,5, ma non volevano dare agli operai la soddisfazione di veder toccata quella quota simbolica in cifra tonda che Calearo, all'ingresso della riunione conclusiva, ancora considerava irraggiungibile. Importante anche la rivendicazione di aver oltrepassato consapevolmente, con i blocchi stradali, il confine della «legalità», questo feticcio che rischia di paralizzare il conflitto sociale. «Capita che i confini tra il legale e il giusto non coincidano, ma a noi interessava arrivare al giusto». Naturalmente, «sarebbe un errore pensare che questa possa diventare la normalità». Spiegate ancora una volta le ragioni che hanno portato a definire il punto dolente sull'apprendistato, la difesa strenua e riuscita del ruolo negoziale delle rsu di fabbrica, l'importanza della parte salariale (con una precisazione: i 320 euro di una tantum vanno integrati con altri 86 per la «vacanza contrattuale»).

E poi i 130 euro annui per chi non ha la contrattazione aziendale: sembrano pochi, ma diventeranno col prossimo contratto una voce fissa in busta paga, e soprattutto dimostrano concretamente che «solo con il livello nazionale della contrattazione è possibile difendere i lavoratori più deboli». Altrimenti sei in balia del datore di lavoro. Ora la parola passa alla categoria. Il 15, 16 e 17 febbraio si terrà il referendum per approvare l'accordo, che entrerà in vigore solo da quel momento. E' l'ultima tappa del «percorso democratico» che i metalmeccanici si sono dati: dall'approvazione della piattaforma rivendicativa fino all'accordo conclusivo, nessuno può decidere senza chiedere il loro parere. Per questo, forse, così tanti opinionisti «liberali» hanno spinto perché i metalmeccanici piegassero la testa. Li devono aver trovati troppo «liberi» di scegliere della loro sorte.

Francesco Piccioni

IL Manifesto 21 Gennaio 2006

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