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Problemi ecologici e giuridici collegati ai «bombardamenti di precisione»

(20 Giugno 2006)

Nota della redazione: il 5 novembre 2002, l’Istituto di Ricerche sull’Energia e l’Ambiente, IEER, ha pubblicato un rapporto che mette in risalto i problemi giuridici ed ecologici relativi ai cosiddetti bombardamenti di precisione dei siti industriali Jugoslavi nel 1999. Il rapporto porta il titolo seguente: « Bombardement de précision, étendue des dommages » e comprende due ricerche sui casi di bombardamenti delle installazioni industriali di Pancevo e Kragujevac del 1999, nel corso dell’operazione « Forza alleata » («Allied Force») contro la Jugoslavia. La ricerca sottolinea come un bombardamento di installazioni industriali civili può produrre il rischio di un inquinamento molto difficile da eliminare e può violare il diritto internazionale umanitario.
La ricerca dell’IEER, riassunta in questo articolo, allo stesso modo solleva alcune questioni importanti rispetto al conflitto in corso in Iraq e in modo particolare rispetto ad una eventuale guerra contro l’Iran.

Questo studio ha avuto le sue motivazioni dalle problematiche relative all’impatto sanitario ed ecologico della guerra moderna. Il nostro principale scopo nell’affrontare questo problema consiste nello stabilire se l’utilizzo di armi di precisione, armi “intelligenti”concepite per distruggere un preciso obiettivo, quindi con scarsi o nulli danni collaterali, è sinonimo di precisione e di circoscrizione anche in termini di devastazioni.
I danni sono solo limitati all’obiettivo preso di mira dal bombardamento? In caso contrario, quali sono le implicazioni ecologiche e legali che derivano dalle distruzioni senza discernimento, risultato di armi “intelligenti” di precisione che hanno colpito il loro obiettivo?

Il 23 marzo 1999, i 19 paesi della NATO, l’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico, hanno autorizzato bombardamenti aerei contro la Jugoslavia. Il giorno dopo aveva inizio l’operazione « Forza Alleata ». Questa campagna segnava il secondo impegno della NATO in una operazione offensiva nel corso dei 50 anni della sua esistenza.

Nel corso dell’operazione « Forza Alleata », molti elementi essenziali dell’infrastruttura industriale della Jugoslavia sono stati deliberatamente presi di mira e bombardati dalle forze della NATO. Questo ha avuto un duplice effetto sulle popolazioni civili locali.
In primo luogo, alcune installazioni vitali, come ad esempio gli impianti per il trattamento e la depurazione delle acque reflue di scarico, sono stati messi fuori funzionamento.
Secondariamente, il persistente inquinamento, procurato dalla distruzione degli impianti, non è stato sottoposto a trattamento per alcuni mesi, ed è sopravvenuto il rischio per un grande numero di civili di subire gli effetti della polluzione per i prossimi anni su una zona molto estesa.

Impatto ambientale

Il nostro rapporto esamina alcuni degli effetti sull’ambiente dei bombardamenti durante la guerra del 1999 della NATO contro la Jugoslavia, soprattutto a partire da due specifiche inchieste. Questi due casi particolari di bombardamenti della NATO, su Pancevo e Kragujevac, sono esaminati al fine di studiare il tipo e la portata delle devastazioni causate all’ambiente da un bombardamento di precisione.
Noi abbiamo selezionato questi due casi in funzione dei seguenti criteri:
un obiettivo geografico preciso era stato scelto ben prima di scatenare il bombardamento;
avvenuto il bombardamento, questo è riuscito a distruggere l’obiettivo in questione, e le esplosioni hanno causato pochissimi danni alle infrastrutture circostanti non prese di mira;
le perdite dirette delle forze della NATO, in seguito ai passaggi dei bombardamenti, sono state nulle e il numero di vittime civili immediate è stato di scarsa entità.
I nostri studi sul caso fanno affidamento sulle informazioni fornite dal Gruppo speciale per i Balcani del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (United Nations Environmental Program Balkans Task Force - UNEP/BTF), che ha studiato i due siti selezionati: le installazioni industriali di Pancevo e la fabbrica Zastava di Kragujevac. Questi due siti figurano fra i quattro classificati dall’UNEP come « punti caldi » ecologici in seguito a bombardamenti.

I nostri tentativi per questa specifica ricerca si sono scontrati con un rilevante numero di problemi imprevisti. La Jugoslavia è stata coinvolta in una bufera politica essenzialmente nell’ultimo decennio, e accedere ai dati di base si è dimostrato molto più difficile di quello che era stato previsto inizialmente. Per di più, la mancanza di accesso alle informazioni non ha avuto limitazioni nella sola Jugoslavia. È stata depositata una domanda da parte dell’IEER presso il Dipartimento Americano della Difesa nel quadro della Legge sulla libertà di accesso alle informazioni (Freedom of Information Act), per ottenere le informazioni relative ai criteri utilizzati per individuare i bersagli nel corso dell’operazione « Forza Alleata ». Come risposta, abbiamo ricevuto 42 pagine bianche portanti l’iscrizione « declassificata », ma d’altro canto totalmente sprovviste di informazioni. Perfino i nomi degli impianti per i quali le informazioni erano state richieste erano assenti da queste pagine. La richiesta che noi abbiamo ulteriormente riformulato al Dipartimento della Difesa è stata respinta.
Per altro, nel 2002, il General Accounting Office, l’Ufficio Generale di Statistica, l’organismo incaricato delle commissioni di inchiesta da parte del Congresso degli Stati Uniti, ha preparato una analisi sulla campagna di bombardamenti del 1999 contro la Jugoslavia che è risultata classificata come « secret défense » da parte del Dipartimento Americano della Difesa.

Pancevo

Pancevo è una città industriale di una popolazione da 80.000 a 90.000 abitanti. Questa città si trova nella provincia di Voivodina nella Repubblica della Serbia, che faceva parte dell’ex Repubblica Federale di Jugoslavia, ed è situata a 20 km a nord-est dalla capitale Belgrado (1.200.000 abitanti), alla confluenza della Sava con il Danubio. Il complesso industriale si estende su circa 290 ettari a sud e a sud-est di Vojlovica, una importante zona residenziale di Pancevo. Questo complesso accoglie strutture industriali che vengono identificate con il nome della fabbrica di fertilizzanti chimici HIP Azotara, con gli impianti petrolchimici HIP Petrohemija, e con la raffineria di petrolio NIS. Le tre imprese industriali impiegavano 10.000 persone e perciò rappresentavano le principali fonti di impiego per l’insieme della regione di Pancevo. Molti piccoli paesi sono situati direttamente a sud del complesso industriale.

L’impianto petrolchimico e la raffineria di petrolio sono collegati al Danubio da un canale lungo 1,8 km, che serve a scaricare le acque usate dopo i trattamenti di depurazione. La fabbrica di concimi utilizza un canale di drenaggio adiacente. Prima del conflitto, le acque usate dall’impianto petrolchimico erano sottoposte a trattamento attraverso un processo a due stadi, il filtraggio e il trattamento biologico, prima di essere scaricate nel canale delle acque di risulta. Questo impianto di depurazione veniva considerato come la struttura per il trattamento delle acque reflue più moderna e efficace di tutta la ex Jugoslavia.

Una stazione di prelevamento per l’acqua potabile è situata proprio a monte del sito industriale di Pancevo sul Danubio, vicino alla confluenza della Sava con il Danubio. Questo punto di prelevamento assicura l’acqua potabile alla maggior parte della popolazione della regione situata attorno a Pancevo. Inoltre, una parte non trascurabile della popolazione, circa il 5% in città e il 10% nei villaggi circostanti, utilizza pozzi privati per l’acqua potabile, per le colture, gli orti e i giardini.

La zona circostante il complesso industriale di Pancevo soffriva già di un inquinamento cronico prima dei bombardamenti del 1999.
Ad esempio, campioni di terreno e di acque dal sottosuolo prelevati nell’area degli impianti del petrolchimico avevano rilevato la presenza di solventi clorurati, come il triclorometano, il tetraclorometano, il tricloroetano e il tetracloroetano, il dicloroetilene e il tricloroetilene, ed altri, che sono sottoprodotti non desiderabili spesso associati alla produzione del policloruro di vinile, PVC.
Nella raffineria, esisteva già prima dei bombardamenti un inquinamento da petrolio. Inoltre, alcuni elementi testimoniano di uno sversamento di mercurio prima dei bombardamenti della NATO, molto più importante di quello procurato dai bombardamenti stessi, e di una contaminazione di policloruri di difenile, PCB, nel canale di scarico.
Infine, c’era stato qualche anno prima del conflitto un importante sversamento di 1,2-dicloroetano. Tutti questi fattori sono stati di intralcio ai tentativi di una valutazione reale dell’impatto dell’inquinamento risultante esclusivamente dai bombardamenti.

I bombardamenti delle istallazioni di Pancevo sono durati per molte settimane e hanno profondamente perturbato la vita di Pancevo.
Si stima che circa 40.000 persone avessero abbandonato la città già prima del primo bombardamento, nell’aprile del 1999, delle quali 30.000 non sono rientrate che in giugno, dopo la fine dei bombardamenti.
Inoltre, veniva imposto un divieto temporaneo di pesca nelle acque del Danubio vicino a Pancevo, fino all’autunno dello stesso anno.
Per di più, il ministero Serbo della protezione civile, aveva raccomandato di non consumare alcun prodotto coltivato nelle aree attorno a Pancevo, dato che le piogge avevano dilavato il nero fumo e le altre sostanze prodotte dagli incendi a Pancevo sulle zone agricole circostanti.

Gli impianti petrolchimici erano stati bombardati il 15 e il 18 aprile 1999.
Esistono quattro problemi ecologici fondamentali direttamente collegati ai bombardamenti della NATO sul sito petrolchimico HIP Petrohemija.

Il 18 aprile, un serbatoio di stoccaggio di cloruro di vinile era stato colpito da una bomba della NATO, e avevano preso fuoco le 440 tonnellate di materiale che vi erano contenute all’interno. In aggiunta, si erano infiammate anche venti tonnellate di questa sostanza, riconosciuta cancerogena, che erano conservate all’interno di contenitori per il trasporto ferroviario. Bisogna ugualmente sottolineare che erano presenti nel sito due serbatoi di stoccaggio del cloruro di vinile, uno vuoto e uno pieno; solo quello pieno veniva distrutto.
Per il danneggiamento indiretto a causa dei bombardamenti dei serbatoi di contenimento del 1,2-dicloroetano, 2.100 tonnellate di questo prodotto chimico venivano sversate: per metà sul terreno, il resto nel canale di scarico.
L’impianto cloro-soda veniva estremamente danneggiato e 8 tonnellate di mercurio metallico si erano diffuse nell’ambiente. La maggior parte di queste (7,8 tonnellate) si era riversata sulla superficie del sito e gli altri 200 kg si erano dispersi nelle acque del canale di scarico. La maggior parte del prodotto che si era sparso sul suolo veniva recuperato, ma questo non è stato possibile per il mercurio disperso nelle acque del canale.
L’impianto per il trattamento delle acque reflue utilizzato dalla raffineria e dal petrolchimico era stato seriamente danneggiato nel corso del conflitto. I danni erano stati provocati da un afflusso improvviso nell’impianto di una quantità di sostanze superiori alla capacità di depurazione dell’impianto stesso.
Nell’aprile 2001, dopo due anni dalla fine dei bombardamenti, l’impianto di depurazione funzionava solo per il 20% della sua capacità. Il recettore più importante per tutte queste sostanze inquinanti era stato il canale di scarico che si getta sul Danubio, il corso d’acqua più importante di questa regione.
Dei tre obiettivi della NATO situati nel complesso industriale di Pancevo, la raffineria è stata la più bombardata. Lo è stata a più riprese nell’aprile 1999 e ancora l’8 giugno 1999. Numerosi serbatoi di stoccaggio e condutture sono stati distrutti dai bombardamenti.
Circa 75.000 tonnellate di petrolio greggio e prodotti petroliferi sono andati bruciati, e da 5 a 7 tonnellate si sono riversate sul terreno e nella rete di depurazione. Gli sversamenti hanno contaminato 10 ettari di terreno all’interno del complesso della raffineria.

Come il petrolchimico, così anche la fabbrica di fertilizzanti HIP Azotara veniva bombardata a due riprese, il 15 e il 18 aprile 1999.
Il personale della fabbrica aveva fatto sapere agli ispettori del PNUE/GSB, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che il silos di stoccaggio che conteneva 9.600 tonnellate di ammoniaca prima dei bombardamenti, creava loro grande preoccupazione. Se questo serbatoio fosse stato colpito da una bomba, avrebbe rilasciato così tanta ammoniaca bastante per procurare la morte a tantissime persone nell’area circostante. La fabbrica HIP Azotara non possedeva la capacità di trasferire l’ammoniaca in altri depositi. Per questa ragione la produzione di fertilizzanti veniva intensificata nel corso dei primi giorni di bombardamenti, che avevano avuto inizio il 4 aprile 1999, nella speranza di ridurre la quantità di ammoniaca nei depositi.
Al momento del primo attacco, la quantità di ammoniaca residua, rimasta stoccata, era approssimativamente di 250 tonnellate. L’ammoniaca depositata veniva intenzionalmente riversata nel canale per impedirne la dispersione nell’atmosfera, dopo una eventuale esplosione. Questo veniva fatto dopo che il serbatoio dell’ammoniaca era stato colpito dai rottami di un’altra esplosione.
Oltre a questa reiezione di ammoniaca, da 200 a 300 tonnellate di nitrato di ammonio, di fosfati e di cloruro di potassio si sono sprigionate o sono andate a fuoco in seguito alle devastazioni subite dai serbatoi di stoccaggio in seguito ai bombardamenti. Non è conosciuto il rapporto fra le sostanze sprigionate rispetto a quelle incendiate.
Per concludere, erano stati colpiti anche dei vagoni trasportanti 150 tonnellate di petrolio greggio e non veniva fatto alcun tentativo per spegnere gli incendi.

Esistono tabelle che forniscono esempi, sicuramente solo in modo approssimativo, del tipo di inquinamento risultante da queste emissioni e da questi sversamenti. Purtroppo, in questa fase è impossibile pervenire a delle conclusioni definitive sull’impatto che queste reiezioni avranno sulla salute della gente e sull’ambiente. Hanno avuto inizio dei programmi di monitoraggio e di valutazione sanitaria, ma questi programmi non sono che ad uno stadio iniziale e i dati raccolti fino a questo momento non sono stati resi pubblici.

Kragujevac

Kragujevac (150.000 abitanti) è una città industriale situata nella Serbia centrale, che accoglie il complesso industriale Zastava.
In effetti, il complesso è composto da decine di società più piccole e la sua produzione è molto diversificata, oltre che di macchinari pesanti, di automobili, camions, fino ai fucili da caccia. Per un certo periodo la struttura industriale fabbricava macchinari pesanti e armamenti per l’esercito, ma, secondo la direzione del complesso, questo non avveniva più al momento dei bombardamenti. Prima delle sanzioni economiche, che hanno avuto inizio alla fine del 1991 e sono proseguite fino al settembre 2001, si trattava di una delle più grandi installazioni industriali dei Balcani e di fatto questa fabbrica giocava un ruolo enorme nella vita degli abitanti della città.

La fabbrica Zastava è stata bombardata a due riprese, una volta il 9 aprile, e nuovamente il 12 aprile 1999, e colpita complessivamente da 12 bombe.
La centrale elettrica, la catena di montaggio, il reparto verniciatura, il centro informatico e lo stabilimento per i camions, tutti questi reparti hanno subito pesanti danni o sono stati completamente distrutti. Per questi motivi la produzione è stata totalmente interrotta. Il complesso dei danni subiti dalla struttura industriale è stato stimato dai rappresentanti ufficiali degli stabilimenti attorno ad un miliardo di marchi tedeschi, circa 500 milioni di euro. Nell’anno seguito ai bombardamenti, il governo Milosevic aveva stanziato 80 milioni di euro per riprendere la produzione automobilistica. La fabbrica automobilistica attualmente impiega 4.500 persone. Al suo massimo vi lavoravano 30.000 persone. All’inizio del 2001, le previsioni di produzione per l’anno erano di 28.000 automobili e di 1.400 camions. Si trattava di un numero di veicoli prodotti doppio rispetto al 2000, ma ben lontano dai 180.000 veicoli prodotti nel 1989. La caduta di produzione può essere attribuita a molteplici fattori, ma specialmente allo smembramento della Jugoslavia e alle sanzioni applicate al paese all’epoca del governo Milosevic.

I trasformatori di due reparti della fabbrica Zastava, del reparto verniciatura e della centrale elettrica, erano stati danneggiati in modo tale che olio bifenilico policlorurato PCB veniva riversato nelle zone circostanti.
Nel reparto verniciatura, una zona utilizzata per dipingere le automobili dopo il loro assemblaggio, circa 1400 litri, pari a 2150 chilogrammi, di olio di piralene, un olio per trasformatori costituito da una miscela di triclorobenzeni e di PCB, si spandeva sul terreno e nelle vasche di rifiuto contenenti 6000 metri cubi di acque reflue.
Il trasformatore della centrale elettrica era situato in prossimità di una condotta di scarico delle acque piovane. Allora, probabilmente una parte dell’olio sprigionato si era andato a riversare nel fiume Lepenica attraverso lo sbocco della condotta della rete di depurazione, ma non è stato possibile precisarne la quantità.
Oltre queste due zone direttamente toccate dai bombardamenti, sono stati contaminati moltissimi fusti di sabbia nella zona di stoccaggio dei rifiuti che erano stati prelevati dalla fossa di ghiaia situata sotto il trasformatore nella centrale elettrica dopo i bombardamenti. Numerosi fusti di rifiuti senza rapporto con i bombardamenti, in stato di deterioramento, con rifiuti la cui natura non è stata correttamente identificata, erano stati ugualmente messi a deposito in questo sito.

Nei tre giorni seguiti ai bombardamenti, l’Istituto di Sanità Pubblica della città aveva prelevato 21 campioni di acqua attorno a Kragujevac. Il primo e il secondo giorno, erano stati individuati nei campioni prodotti chimici tossici, ma non il terzo giorno. Questi dati non sono stati resi pubblici e perciò non conosciamo la precisa natura delle sostanze tossiche analizzate.
La popolazione della regione si è preoccupata di un’eventuale contaminazione, dato che i tests di individuazione di una contaminazione da PCB non erano stati effettuati su determinati pozzi della zona. Niente ci permette di concludere che ci sia stato un apporto diretto di PCB nelle acque sotterranee. Nondimeno, le inondazioni che sono intervenute nel luglio del 1999 hanno avuto la possibilità di diffondere gli inquinanti dei corsi d’acqua nelle zone agricole delle aree basse circostanti.

Per effetto di un decennio di conflitti, di assenza di trasparenza, della recessione economica e di altri problemi della Jugoslavia dopo la guerra, è difficile formulare conclusioni affidabili sulle condizioni ambientali a Kragujevac.
Fortunatamente, le zone contaminate all’interno della fabbrica, che presentavano il più grande rischio per la salute dei lavoratori, sono state disinquinate. L’inalazione costituisce una delle principali modalità di esposizione ai PCB in ambiente professionale. La depurazione delle vasche dei rifiuti e l’eliminazione del calcestruzzo di pavimentazione contaminato limitano enormemente il livello di esposizione per i lavoratori.

Essendo alto il numero dei dati incerti e data la mancanza generale di informazioni sulla quantità di prodotti inquinanti riversati nell’ambiente circostante la fabbrica Zastava, risulta impossibile pervenire ad una qualsiasi conclusione.
Perciò è urgente mettere in opera una missione scientifica di prelevamento di campioni, di analisi e di controllo.

Problemi giuridici

Il Diritto Internazionale recita: “In qualsiasi conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi o strumenti di guerra non è illimitato.”
Le leggi internazionali che si applicano alla nostra analisi sull’utilizzazione della forza da parte della NATO contro la Jugoslavia comprendono le Convenzioni di Ginevra del 1949 e il Protocollo complementare I alle Convenzioni di Ginevra.
Tutti gli Stati membri della NATO hanno firmato e ratificato le Convenzioni di Ginevra e si sono vincolati alle loro clausole. Per quel che riguarda il Protocollo I, tutti gli Stati della NATO ne erano partecipi al momento dei bombardamenti, fatta eccezione degli Stati Uniti ( che sono firmatari solo delle Convenzioni ), della Francia ( che ha sottoscritto il Trattato nel 2001) e della Turchia (che non lo ha firmato).

Il diritto consuetudinario rappresenta un’altra fonte della legge applicabile a questo conflitto. Il diritto consuetudinario poggia su una pratica generale e costante degli Stati, che assume comunque il senso di obbligo legale. Il diritto consuetudinario è particolarmente pertinente in questa discussione, in quanto un certo numero di norme codificate nelle Convenzioni di Ginevra e nel Protocollo I sono considerate appartenenti al diritto consuetudinario. Uno Stato può essere vincolato da un diritto consuetudinario, anche se ha rifiutato di essere parte in causa del Trattato in questione.

Analisi delle clausole dei Trattati

Le Convenzioni di Ginevra del 1949 proibiscono agli Stati la distruzione di beni, salvo quando « necessità militari impellenti lo esigono ». L’esigenza militare è essa stessa un termine molto vago, e gli Stati hanno la più ampia facoltà per argomentare che nella misura in cui una azione ha prodotto un avanzamento della loro strategia, allora esisteva una esigenza militare.

L’esigenza di un «obiettivo militare»

Il Protocollo I codifica il principio di discriminazione, che impone alle parti di “fare sempre la distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, come pure fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari e, di conseguenza, di dirigere le operazioni belliche esclusivamente contro gli obiettivi militari.”
Il rispetto di queste clausole, per quel che riguarda i bombardamenti di Pancevo e Kragujevac, dipende dalla individuazione di questi due siti come obiettivi militari.
Qual’era l’obiettivo militare nel caso di questi bombardamenti ? Certamente può essere sottolineato che la raffineria di petrolio avrebbe potuto fornire carburante per le operazioni militari, ma questo è ancora valido per una fabbrica di automobili, un petrolchimico o una fabbrica di fertilizzanti?
Nelle interviste, i rappresentanti ufficiali di Kragujevac e Pancevo hanno messo in risalto che le loro fabbriche non avevano alcun valore militare strategico diretto.

I criteri specifici che hanno informato la scelta degli obiettivi dei bombardamenti in Jugoslavia non sono stati mai resi di dominio pubblico. Come abbiamo già indicato, le nostre richieste di documentazione presso il Dipartimento Americano della Difesa, che precisassero sul perché queste fabbriche fossero state scelte come obiettivi militari, sono state rifiutate.

Questi sono i criteri generali della politica di selezione dei bersagli dell’Air Force degli USA:

Un bersaglio deve corrispondere ai criteri di “obiettivo militare”, prima di divenire in modo legittimo l’obiettivo di un attacco militare.
In questo contesto, i bersagli militari comprendono gli obiettivi dei quali la natura, l’ubicazione, gli scopi o la loro utilizzazione apportano un contributo concreto all’azione militare o la cui distruzione totale o parziale, la cattura o la neutralizzazione offrono un vantaggio militare ben determinato.
Il fattore essenziale è quello di sapere se l’obiettivo contribuisce alla capacità di combattimento o di resistenza militare del nemico. Di conseguenza, dalla degradazione, dalla neutralizzazione, dalla distruzione, dalla cattura o dallo scompiglio dell’obiettivo ne deve derivare in modo ben individuabile un beneficio o un vantaggio militare.

L’Air Force Statunitense ammette che “esiste una controversia sul fatto di sapere se, e in quali circostanze, certi obiettivi [civili] [...] possono essere di punto in bianco classificati come obiettivi militari.” Il fattore principale nella determinazione dello status di un bersaglio attiene al fatto di sapere se “l’obiettivo apporta un contributo reale all’azione militare dell’avversario.”

Utilizzando questi criteri, l’Air Force Statunitense determina che obiettivi come i depositi di idrocarburi sono bersagli militari legittimi. Nondimeno, nello stesso modo ha stabilito che “fabbriche, reparti e stabilimenti che provvedono direttamente alle necessità delle forze armate del nemico sono ugualmente e generalmente da considerare come obiettivi militari legittimi.”
Vogliamo sottolineare questo. Gli elementi concreti che servono da giustificazione nella considerazione dei bersagli devono essere resi pubblici, in modo da garantire la possibile messa in atto di un controllo civile delle attività militari. Pesanti questioni continuano a porsi sulla legalità dei bombardamenti di Pancevo e Kragejuvac, che non possono essere troncate di netto in modo soddisfacente fino a quando gli elementi di questa natura non siano ben conosciuti.

L’esigenza di «precauzioni praticamente possibili»

L’Articolo 57 del Protocollo complementare I stipula di “prendere tutte le precauzioni praticamente possibili quanto alla scelta dei mezzi e dei metodi di attacco in vista di evitare e, in ogni caso, di ridurre al minimo le perdite in vite umane nella popolazione civile, le ferite alle persone civili e i danni ai beni di carattere civile che potrebbero essere causati incidentalmente.”
L’espressione “praticamente possibili” è stata interpretata come “prendere le misure d’identificazione necessarie al momento opportuno per risparmiare quanto più possibile le popolazioni.” Un’inchiesta sugli eventi specifici, a rilevare se queste precauzioni siano state prese o no, non è stata ancora condotta.

Protezione dell’ambiente

Oltre a queste disposizioni, che sono stipulate a bilanciamento delle necessità militari, il Protocollo I apporta delle protezioni più specifiche per i civili, per i loro beni e per l’ambiente. Una clausola particolarmente importante per la protezione dell’ambiente è l’Articolo 35, che proibisce l’impiego di armi che, per la loro stessa natura, producono “mali superflui” e sono strumenti di guerra che “sono concepiti per produrre, dove ci si può attendere che causeranno, dei danni ampi, duraturi e gravi sull’ambiente naturale.”

Disgraziatamente, il Protocollo I non definisce i qualificativi “ampi, duraturi, e gravi.”
Questi termini sarebbero apparsi ugualmente nel Trattato sulle Modificazioni Ambientali (ENMOD), e sono stati interpretati in relazione a questo Trattato.
Benché queste definizioni non fossero destinate ad applicarsi al Procollo I, comunque possono fornirci illuminanti chiarimenti:

ampi’ , che investono una zona che si estende su molte centinaia di chilometri quadrati;
duraturi’ , che persistono per molti mesi, o approssimativamente per una stagione;
gravi’ , che comportano uno sconvolgimento, o seri e significativi pregiudizi alla vita delle persone, alle risorse naturali, economiche o ad altri beni.
Sembrerebbe che gli attacchi alle installazioni industriali del tipo di quelli descritti nella nostra relazione fossero proibiti, in applicazione di questi criteri.
I danni erano estesi in modo ampio dato che l’inquinamento dell’aria, causato dal bombardamento di Pancevo, si era andato diffondendo per centinaia di chilometri, fino a Xanthi, in Grecia.
Gli effetti sono duraturi dato che il tempo di dimezzamento di certi prodotti chimici è dell’ordine di parecchi decenni.
Infine, gli effetti degli attacchi possono essere considerati come gravi per il fatto dello sconvolgimento economico che è risultato dai bombardamenti e dai danni potenziali ai corsi d’acqua situati nelle vicinanze delle installazioni.

Nello stesso modo, il Protocollo I proibisce categoricamente gli attacchi su tutta una serie di opere e di installazioni, contenitori di “forze pericolose”: sbarramenti, dighe e centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, “quando tali attacchi possono provocare lo sprigionarsi delle forze pericolose e, di conseguenza, causare perdite pesanti nella popolazione civile.” (Articolo 56)
Questa clausola proibisce parimenti gli attacchi contro eventuali obiettivi militari posizionati negli stessi siti, o in prossimità di tali strutture, e che procurerebbero gli stessi rischi.
Le fabbriche chimiche non sono menzionate fra le opere o le installazioni protette, e quindi i bombardamenti contro questi stabilimenti non violerebbero queste disposizioni.
Nonostante ciò, il principio soggiacente a questa clausola è di proteggere le installazioni contenenti forme di energia pericolose.
Si può a ragione sostenere che gli stabilimenti chimici presentano un rischio paragonabile alle installazioni indicate in quanto, in certi casi, la persistenza e i rischi sanitari collegati ai prodotti chimici sono confrontabili, ad esempio, con quelli dei radionuclidi.
Se gli attacchi alle industrie chimiche producono nell’occasione i medesimi rischi degli attacchi nello specifico proibiti nel quadro del Trattato, i danni possono con molta probabilità essere considerati come « ampi », « duraturi », e « gravi », e quindi violano le altre disposizioni del Trattato citate in precedenza.

Nello stesso modo, possiamo affermare che il bombardamento di Pancevo ha violato l’Articolo 56, dato che aveva costituito un pericolo per una centrale nucleare situata in una nazione non belligerante, la Bulgaria. Sei lotti nucleari sono presenti sull’area di Kozloduy in Bulgaria , a valle della Jugoslavia, lungo il Danubio. Potenzialmente potevano presentarsi problemi di gestione se degli inquinanti nelle acque del Danubio ostacolavano l’attività dei sistemi di raffreddamento del condensatore della centrale. I rischi di perturbazione del funzionamento della centrale nucleare e l’elevato potenziale di incidente risultante dallo sversamento del petrolio nel Danubio erano all’epoca ben conosciuti. L’Istituto di Ricerche sull’Energia e l’Ambiente, IEER, aveva sollevato la questione in un comunicato stampa dell’11 maggio 1999, mentre i bombardamenti erano in corso.

Analisi del diritto consuetudinario

Benché la nostra analisi dimostri che i bombardamenti costituivano verosimilmente una violazione di molte delle disposizioni del Protocollo I, gli Stati Uniti, che erano stati i principali artefici di questi bombardamenti, non avendo ratificato il Protocollo, per questo non erano vincolati al rispetto delle sue limitazioni. Queste restrizioni non potevano applicarsi agli Stati Uniti, anche se queste limitazioni potevano essere considerate come salvaguardie garantite dal diritto consuetudinario.

Gli Stati Uniti hanno ammesso che molte delle norme generali di protezione delle popolazioni civili dipendono dal diritto consuetudinario. E però, gli Stati Uniti non considerano le regole di protezione in materia ambientale del Protocollo I, facenti parte di questo diritto. Malgrado le obiezioni statunitensi, queste norme di protezione dell’ambiente sono generalmente considerate come rientranti nella giurisdizione del diritto consuetudinario.
La clausola del Protocollo I sull’ambiente è stata ricondotta ad un trattato del 1980 su particolari armi convenzionali. Le norme di protezione dell’ambiente durante un conflitto armato sono state codificate nello Statuto istitutivo della Corte Criminale Internazionale, e sono state riconosciute come norme in essere dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Visto che gli Stati Uniti non si sentono vincolati dal diritto consuetudinario, hanno dovuto sistematicamente contestare l’esistenza di queste norme, con argomentazioni che comunque agli Stati Uniti era lecito produrre. Nondimeno, in alcuni casi, il diritto consuetudinario assume un carattere sufficientemente universale da trasformarsi in una sorta di norma imperativa alla quale uno Stato non può opporsi. Forse, è prematuro considerare che queste norme sull’ambiente abbiano assunto questo status “imperativo”. Però, è chiaro che è intervenuta una variazione nel corso degli ultimi anni nella percezione dell’importanza che deve essere attribuita all’ambiente nel corso di una guerra. Noi consideriamo che gli Stati Uniti, in quanto prima potenza economica e militare, dovrebbero rispettare queste norme e dovrebbero dare la loro adesione alla proibizione di armamenti e metodi di guerra suscettibili di infliggere gravi danni all’ambiente.

Esiste un’altra ragione per considerare i paesi della NATO responsabili dei danni cagionati dai bombardamenti su Pancevo e su Kragujevac : in effetti, all’epoca, 16 dei 19 paesi membri della NATO erano partecipi del Protocollo complementare I.
Mettendo pure in conto che gli Stati Uniti siano stati i principali responsabili dei bombardamenti su Pancevo e su Kragujevac, i membri della NATO, che hanno direttamente o indirettamente permesso questi bombardamenti, potevano essere considerati come parti in causa responsabili, secondo il principio di complicità, nella misura in cui erano informati delle azioni degli Stati Uniti.

L’autorità della NATO nell’uso della forza

A parte le questioni specifici relative ai metodi della guerra, i bombardamenti sulla Jugoslavia sollevano in modo più largo la questione di sapere se la NATO disponeva dell’autorità necessaria all’impiego totale della forza contro la Jugoslavia. La campagna di bombardamenti aerei della NATO contro la Jugoslavia è stata criticata da molteplici parti, considerandola come un ricorso illegale della forza, dato che non era stata autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e dato che non era avvenuto alcun attacco armato diretto contro gli Stati della NATO, che giustificasse un’autodifesa individuale o collettiva.
Secondo la Carta delle Nazioni Unite, si tratta delle due sole circostanze che permettono il ricorso alla forza.
Sullo sfondo, la « giustificazione » dell’intervento non era proprio di ordine legale, ma umanitaria: anche se il diritto internazionale non permetteva il ricorso alla forza, questo è stato tollerato in quanto queste azioni erano destinate a rispondere ad una grave crisi umanitaria.
Un sistema che non impone agli Stati di restare passivi di fronte a tali crisi può avere del merito, ma è anche importante imporre dei limiti al ricorso alla forza, in modo da impedire l’erosione del sistema internazionale destinato a mantenere la sicurezza.

Raccomandazioni

Le raccomandazioni dell’Istituto di Ricerche sull’Energia e l’Ambiente, l’IEER, riguardanti l’impatto giuridico ed ecologico di una guerra moderna sono riassunte più sotto. Noi le inviamo alla NATO, al governo degli USA e alle persone e organizzazioni non governative interessate..

La questione dei bombardamenti di installazioni civili per raggiungere obiettivi militari nel suo complesso deve diventare l’oggetto di una rigorosa inchiesta pubblica. Un’inchiesta di tale natura deve tenere conto dei danni sanitari ed ecologici, immediati e duraturi nel tempo, che potrebbero essere inflitti ad un paese o a dei paesi che condividono gli ecosistemi dei paesi coinvolti nei conflitti.
Il disinquinamento dell’ambiente successivo ai bombardamenti delle installazioni industriali civili, come a Pancevo e a Kragujevac, deve essere immediatamente messo in atto per non lasciare troppo spazio fra il conflitto e le azioni di depurazione.
Le informazioni riguardanti i bombardamenti di Pancevo e Kragujevac e di altre installazioni industriali devono essere accessibili al pubblico per permetterne l’esame dal punto di vista giuridico.
In attesa che gli Stati Uniti riconoscano le proibizioni legali concernenti i danni all’ambiente in tempo di guerra, che sono state adottate da tutti i paesi della NATO, con l’eccezione di uno solo, la Turchia, gli USA non devono procedere ad alcun bombardamento di installazioni industriali civili contenenti sostanze pericolose, suscettibili di essere riversate sull’ambiente.
Devono essere stabiliti dei programmi approfonditi e duraturi di monitoraggio ambientale per dare assicurazioni che il disinquinamento in Jugoslavia sia effettivo e che non restino fonti di inquinamento ambientale.
Le operazioni di depurazione dell’ambiente in Jugoslavia devono diventare più trasparenti!

articolo originale: IEER | Énergie et Sécurité No. 24
http://www.ieer.org/
http://www.michelcollon.info/
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

Sriram Gopal e Nicole Deller

Fonte

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