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(25 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Call center, un nuovo accordo che frega i cocoprò

Firmato da Cgil, Cisl, Uil e imprese sulla scia della finanziaria. Condona il pregresso, avalla la legge 30 e il lavoro a progetto

(8 Ottobre 2006)

Nuove magagne sul fronte dei call center, e questa volta è addittura la finanziaria, concretizzata due giorni fa da un primo accordo sindacale, a mettere in crisi il risultato dell'ispezione Atesia. E' in atto una vera e propria maxi-sanatoria, un «condono cocoprò», in base al quale una parte dei contributi pregressi e in pratica tutti i differenziali salariali verranno «sanati» ai datori di lavoro grazie a futuri accordi sindacali. In prima fila, tra i «graziati», la Cos di Alberto Tripi, bastonata dall'ispezione che ha imposto l'assunzione di tutti i 3200 parasubordinati e la restituzione dei contributi fino al 2001.

Di qualche settimana fa l'appello dell'azienda: assumeremo 4 mila persone se verranno annullate le conclusioni dell'ispezione, e verranno assunti i nuovi criteri stabiliti dalla circolare Damiano. Emessa in giugno, la circolare distingue tra inbound e outbound: i primi (in ricezione telefonate) con il diritto al lavoro dipendente, i secondi (che le fanno) condannati all'eterna condizione cocoprò. Il ministro Damiano, mediatore per eccellenza, ha trovato la quadra: non si è opposto frontalmente al rapporto dei suoi stessi ispettori, pur non condividendone di fatto le conclusioni; piuttosto, ha elaborato in finanziaria un meccanismo con il quale si può procedere all'assunzione graduale dei parasubordinati (solo gli inbound), ma si dispone anche che le parti potranno stipulare accordi che superano le conclusioni dell'ispettorato.

Tali intese dovranno disporre delle conciliazioni con i lavoratori, e dunque un condono tombale sul pregresso. La finanziaria, all'articolo 178, recita: «L'accesso alla procedura è consentito anche ai datori di lavoro che siano stati destinatari di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione del rapporto di lavoro. Gli effetti di tali provvedimenti sono sospesi fino al completo assolvimento degli obblighi». Come se non bastasse, la stessa finanziaria parla solo di «passaggi a lavoro subordinato», dunque (perché no?) anche contratti a termine, in apprendistato, interinali, o magari a chiamata.
Atesia è esemplare: siamo ancora in fase di ricorso dell'azienda contro l'ispezione, e intanto è sopravvenuto un accordo interconfederale (siglato due giorni fa) che dispone l'applicazione della circolare Damiano per l'intero settore dei call center.

E' firmato da Cgil, Cisl, Uil e tutte le associazioni datoriali, e a questo punto non si attende altro che un'intesa aziendale per poter cancellare con un colpo di spugna l'obbligo a risarcire il pregresso contributivo, assumendo solo una parte dei lavoratori. D'altra parte, la Cos sta trasferendo centinaia di dipendenti in Atesia da altre sedi, in modo da far apparire una più alta quota di subordinati nel totale e non dover assumere molti cocoprò.

L'accordo interconfederale, firmato anche dalla Cgil, prevede inoltre una grave violazione dei diritti individuali (e perciò indisponibili) dei lavoratori. A differenza dei consueti accordi, infatti, si dispone in un articolo che l'intesa aziendale dovrà disporre i tempi entro cui gli interessati formalizzeranno una conciliazione sul pregresso, scambiandola di fatto con l'assunzione. Normalmente la conciliazione può essere soltanto proposta al lavoratore, e quest'ultimo può accettare o meno di firmarla, oppure procedere con una causa, ma non per questo viene escluso dalla lista degli assumendi.

Invece, con questa formula, si obbliga praticamente il lavoratore ad accettare la conciliazione o a essere escluso dall'elenco assumendi. Si potrebbe anche ravvisare una incostituzionalità, perché il sindacato e l'impresa si arrogherebbero un diritto individuale del lavoratore, la sua libertà di procedere a una causa per quanto dovuto.

C'è anche un «dolcino» finale: le parti si sono impegnate ad avviare un confronto sullo sviluppo del settore, ai sensi del decreto legislativo 276 del 2003, ovvero della legge 30. Ma la Cgil non era per «cancellare la 30»? Almeno così recitano le tesi approvate al Congresso di Rimini. D'altra parte, se si è accettata nella pratica dell'accordo la logica di condannare in una perenne «serie B del lavoro» i parasubordinati (l'intesa interconfederale autorizza il ricorso al lavoro a progetto per le attività di outbound) è difficile sostenere nella teoria l'esigenza di «riscrivere la 30» e «ricondurre tutto il lavoro economicamente dipendente sotto un'unica tipologia».

Antonio Sciotto IL Manifesto 6 Ottobre 2006

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