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Tonino di Francia un Uomo un Operaio della Sofer

(17 Giugno 2007)

Tonino Di Francia, “Francetiello”, era una bella persona. Un combattente. Era entrato giovanissimo alla Sofer e il padre, vecchio idraulico di mestiere, non era mai stato d’accordo: “Vai sotto il padrone quando puoi essere un uomo libero” gli diceva. Tonino conosceva già il “mestiere” e poteva farlo, ma scelse la Sofer. Una volta dentro fece il “tubista” e rimase coinvolto dalla fabbrica.

Nonostante legasse con tutti e tutti gli volessero bene, era un bastian contrario. La Sofer degli anni settanta era la fabbrica del PCI e della FIOM. Chi non era inquadrato con loro era emarginato.

Quando alla Sofer si cominciò a scoprire che molti operai si ammalavano e morivano, la frattura tra Tonino e l’apparato di fabbrica si acuì. Il PCI e la FIOM sottovalutarono il problema, tutti presi dall’ideologia fabbrichista di salvare lo stabilimento e i posti di lavoro. Tonino e pochi altri partirono invece a “carro armato”, come diceva lui.

Attraverso un lavoro instancabile di ricerca, fatto anche casa per casa, si scoprì che molti ex operai Sofer erano morti o ammalati, oltre quelli che morivano e si ammalavano in fabbrica. Il problema esplose, lo stesso sindacato fu costretto finalmente a muoversi. Ci furono le denunce e le cause. Le condanne a pene irrisorie per i dirigenti individuati come responsabili. Poi tutto rientrò.

Da quel momento fu tutto, come dire, “istituzionalizzato”. Bonifica, visite periodiche per gli operai, la legge 257 che vietava l’uso dell’amianto, qualcuno cominciò anche a fare carriera nel sindacato e nella politica per il suo impegno. L’amianto divenne un mostro da cartoni animati: innocuo.

Tonino rimase ai margini. Continuava a stare in fabbrica, ma non era contento. Le condizioni di lavoro erano ancora pessime. Le lavorazioni con l’amianto non c’erano più, ma Tonino non si fidava delle bonifiche e aveva ragione, infatti se ne fecero molte altre ancora. I compagni continuavano ad ammalarsi e a morire. Era arrabbiato e deluso. Il sindacato e i partiti gli dicevano: “Basta, la questione amianto è chiusa, non c’è più niente da fare”. Per Tonino invece la questione era ancora aperta.

La legge 257 la vedeva limitata, “una legge per i padroni”, la definiva, perché se da una parte eliminava le lavorazioni con l’amianto, dall’altra limitava sistematicamente i riconoscimenti degli esposti all’amianto e vietava alla maggior parte degli operai l’accesso ai benefici pensionistici.

Vedeva i compagni già avvelenati continuare a respirare in nuvole di collanti, di fumi di saldature, in un ambiente complessivamente malsano. E poi c’era l’amianto. Continuavano a trovarne in fabbrica, nonostante le bonifiche. Le stesse visite mediche erano una farsa che si compiva in un presidio medico mobile attrezzato in un furgone.

Per chi era fuori, in pensione, non era meglio: era stato completamente abbandonato. Se ne aveva notizia attraverso i manifesti di morte che, a un certo punto, divennero uno stillicidio.

Tonino se ne stava con la sua rabbia e il suo malloppo di documenti sull’amianto. Andava ancora in giro a chiedere le cartelle cliniche ai familiari dei morti. Cercava di smuovere quello stagno, ma non vedeva vie d’uscita. Aveva già l’idea di un libro di denuncia, ma come lui si autodefiniva, era “solo un ignorante con la quinta elementare”. Alla fine il libro fu scritto, “Morire per i profitti – l’amianto alla Sofer”, grazie all’aiuto dei compagni di “Operai Contro”, che da allora sono sempre stati al suo fianco nelle battaglie.

Da quel momento in poi la questione dell’amianto ripartì. Tonino e diversi compagni della Sofer insieme a operai dell’Ansaldo e di altre fabbriche costituirono un coordinamento operaio contro l’amianto. Decine di assemblee, innumerevoli documenti contro le leggi dello stato tese di volta in volta “a chiudere definitivamente la questione dell’amianto”. Nessun amico istituzionale, sia a destra che a sinistra. Quel gruppo di operai capì che sull’amianto il parlamento difendeva principalmente gli interessi degli industriali e non quelli degli operai. Ma la Sofer fu costretta a pagare. Incalzata dal clima di nuovo infuocato sull’amianto, fu costretta a chiudere i contenziosi aperti. Cause che si trascinavano da anni improvvisamente trovarono la soluzione di un accordo. Furono tirati fuori diversi miliardi. Pochi per il danno arrecato, ma significativi rispetto ad altre esperienze simili.

Tonino non parlava di rivoluzionare il sistema, non ci credeva e polemizzava scherzosamente spesso con i suoi “fratelli” di Operai Contro. “Ognuno di noi ha tre telefonini e tre macchine, quale rivoluzione vogliamo fare!”. Recitato in puteolano stretto era un ritornello tipico su cui, ogni volta, ci si rideva sopra. Intanto però non si arrendeva. Se ne andò in pensione. La Sofer chiuse, male, perché anche lì gli operai ebbero poco e niente. Le lotte dell’amianto si trasferirono in altri luoghi anche se, spesso, furono iniziate grazie al lavoro del “coordinamento operaio contro l’amianto”.

Tonino, però, l’amianto non lo dimenticava, ogni volta che succedeva qualcosa, l’ennesimo bidone di una nuova proposta di legge, la scoperta dell’amianto in qualche altro stabilimento, la notizia di altre morti, telefonava ai “compagni” e si ripartiva con le discussioni, i documenti, le denunce.

Era diventata un’abitudine anche vedersi per bere un bicchiere insieme. Era sempre Tonino ad organizzare. Ti chiamava per telefono e tu te ne accorgevi subito che era lui per l’aspro dialetto e per come ti apostrofava: “O frà” (fratello). E ogni volta ricordi, discussioni, risate (si rideva su tutto, era un diritto dei “morti viventi” secondo Tonino), grande senso di appartenenza.

La morte prematura di Tonino è stata una brutta botta. E’ stato uno degli operai più combattivi della sua generazione. Un grande esempio per quelli che vengono dopo. Un monito a tutti quelli, padroni, partiti e sindacati che vogliono allungare l’età pensionabile degli operai quando, come stava già scritto nel “suo” libro Morire per i profitti, “tutti gli uomini muoiono, gli operai di più e prima”.

pozzuoli 16-6-2007

UN GRUPPO DI OPERAI SOFER

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