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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Gaza, Kabul, Baghdad, Mogadiscio, Beirut? Macchè: Myanmar!

Schifosissimi ipocriti. Una “sinistra” che caccia la sua gente nelle trappole mortali dell’imperialismo

(2 Ottobre 2007)

Il guaio con la maggioranza della gente non è la sua ignoranza, ma il fatto che non sa di essere ignorante.
(Josh Billings)


Me ne vengo da una bellissima Brigata di Lavoro Volontario Europea a Cuba e me ne vado subito in Bolivia, alle celebrazioni del Che ammazzato 40 anni fa dalla Cia, dal segretario del PC boliviano, Mune e da Mosca che, come con il Mediterraneo, aveva ceduto l’America Latina agli Usa e detestava i guerriglieri.
Meglio il profumo di una morte che si è sparsa come vita su tutto il mondo, che il tanfo delle carogne viventi che, dopo Iraq, Palestina, Somalia, ora si avventano su Sudan, Siria e Myanmar.

Non sono mai stato in Myanmar, che i colonialisti, anche di etichetta sinistra, insistono a chiamare anglofilamente Birmania. Non sono dunque in grado di esprimere un giudizio su quanto sta accadendo. Del regime di Myanmar so solo che tiene agli arresti domiciliari una di un partito di opposizione il cui responsabile all’estero sta a Washington ed è coccolato dai nazisionisti che lì hanno il loro covo. Come a suo tempo – o lì, o a Londra, o a Copenhagen - gli “esuli” iracheni da un milione di dollari al mese, o quelli jugoslavi, o quelli cinesi, o quelli vietnamiti, o quelli… insomma tutti i fantocci venduti all’imperialismo.

Myanmar: non c’è mai stato nessuno, ma tutti sanno tutto
Invece tutti sanno tutto sul Myanmar, ovviamente colonialisticamente – siamo o non siamo nell’era della Grande Riconquista – degradato a Birmania, anche se mai ci hanno messo piede e quello che riproducono è un copione lercio e logoro della Cia e della famigerata National Endowment for Democracy, passato attraverso le operazioni sporche, chiamate rivoluzioni di velluto, in Jugoslavia, Georgia, Ucraina, fallite in Venezuela e, al momento, anche in Libano. “Rivoluzioni” sul cui retroterra politico-ideologico-finanziario ormai tutto si sa, anche per merito della Gabanelli e del suo Report, ma niente si vuole sapere.
Nulla so del regime di Myanmar, forse solo che dura da troppo tempo, come la mafia di Stato, come i razzisti di Tel Aviv, come i generali di Washington, come la collusione destra-sinistra in Italia, ereditata da quell’”Onesto Berlinguer” che con una DC stragista e mafiosa convolò a nozze, dopo aver contribuito a scavare la fossa al più nobile decennio della storia italiana e aver messo il cappio Nato al collo della “sua gente”. E pensare che si credono di sinistra quelli, annidati nel gilè di cachemere di Bertisconi, o nei sottoscala chiamati “Ernesto” o “Essere comunisti”, che se ne dicono nostalgici e, infatti, votano compatti per il genocidio in Afghanistan e per la ricolonizzazione del Libano. Presto manderanno “nostri ragazzi” a sanguinare e far sanguinare umanitariamente per la megabufala del Darfur, o per i preti mandarino di Myanmar.

Nessuno sa niente del Myanmar, salvo i dirittiumanisti ebraici e cattolici
Non so nulla del Myanmar. Come non sanno un cazzo tutti quelli che, a guisa di macachi impazziti, si arrampicano sui vetri della propaganda Usa-Sion (e pensare che Israele è il massimo fornitore di armi pesanti e leggere al Myanmar!) per risplendere per primi di meriti umanitari e di ghignanti onori imperialisti. Il manifesto, in cui dilagano e imperversano le lobby ebraica e cattobuonista, cui il “giornale comunista” ha appaltato l’intera politica estera, fa da capofila e si vede che gli rode il culo per non poter andare oltre i tre paginoni di prammatica contro Myanmar. Bello il giorno in cui a 6 uccisi a Rangoon, spalmati su tre paginoni, corrispondeva un articoletto su quattro mezze colonne per gli 11 palestinesi ammazzati a Gaza. Fa eccezione Astrit Dakli, che però ci mette del suo con l’annoso fobico antislavismo, che poi è anticomunismo d’annata, e in Ucraina si colloca addirittura equidistante tra la ladra e spia Timoshenko e le sinistre operaie. Del resto, sul suo giornale in prima pagina, si paragona Chavez al Duce e si fa dire al sindacalista-chef dei giornalisti che Anna Politovskaya, la nota agente Usa, collaboratrice del circuito radio Cia Liberty e intima della banda di rapinatori facente capo a Eltsin, deve essere santificata come capomartire della deontologia giornalistica. E Robert Menard, dei “Giornalisti senza frontiere”, no? Gli devono bastare i ritorni materiali, quei milioni che percepisce dal Dipartimento di Stato per diffamare Cuba e chiunque faccia girare i coglioni agli Usa? Qualcuno può al mio amico, segretario della FNSI, infilare da qualche parte i 170 giornalisti ammazzati in Iraq dagli statunitensi, dai loro fantocci e dalle milizie scite cogestite con i preti iraniani?

La carica umanitaria di manifesto e Liberazione
Sono tutti presi da vertigine orgasmatica, tra Liberazione (che cestiniamo subito per irrilevanza) e il manifesto. Paginoni su paginoni imbrattati col rimmel delle signore della proletarieria da Capalbio, già connotate di rabido antislamismo nei loro flessuosi ancheggiamenti tra un tango sui “diritti umani”, al servizio di quelli dei bianchi, borghesi e cristiani, e un paso doble sugli eccessi bellici Usa. Pensate, Marina Forti e Giuliana Sgrena de il manifesto sono riuscite ad ammonticchiare servizi dall’Afghanistan con voci nessuna delle quali chiedesse il ritiro delle truppe di occupazione e sterminio: qualche lacrima sull’ennesima strage di donne e bambini, “ma guai se se ne andassero ora, sarebbe il caos…” . Bush e Prodi s’inchinano e le baciano le mani. Non è la stessa giaculatoria dei chierici attorno a Bush? E a proposito di chierici, non poteva mancare il contributo del papa, colonialista, razzista e guerrafondaio come quando, in piena aggressione israeliana al Libano, da Ratisbona tuonò bizantinamente contro quei cialtroni di musulmani. Sa solo una cosa, lui, che ai cattolici in Myanmar non viene torto un capello, il che non gli impedisce di offrire la sua vasellina all’incenso ai riconquistatori coloniali. Non procedeva forse in testa alle armate di macellai da Riccardo Cuor di Leone a Gott mit uns?

Non so nulla, però posso, e noi tutti potremmo, se non fossimo intossicati da opportunismo, cecità, malafede, dabbenaggine, esprimere inconfutabili giudizi sui sedicenti sinistri (le destre fanno il loro noto mestiere) che di Myanmar si occupano in questi giorni, lacrimando, inveendo, reclamando, invocando, minacciando, sanzionando, sbattendo sciabole: schifosissimi ipocriti, fottuti bugiardi, squallidi corifei del potere, pifferai di Hamel che trascinano gli sprovveduti nelle trappole letali degli imperialisti, salottieri radicalchic del quieto vivere, utili idioti, sindacalisti rinnegati e traditori che stanno al governo della macelleria sociale come Al Maliki sta a Bush (ora, in vista del referendum sulle falcidie sociali del 23 luglio 2007, tremano e ricorrono al ricatto: “se non vi autosodomizzate, salta il banco!” Cioè il culo e camicia con il regime della confindustria e delle banche).

Mai così perfetto il bipartisanismo
Basterebbe trarre le imperative deduzioni che ci offre il bipartisanismo perfetto materializzatosi, come già sulla megapatacca neocolonialista del Darfur (paese dopo paese, si stanno riprendendo tutto quello di cui le lotte di liberazione dei popoli si erano riappropriate), nell’assalto al governo di Myanmar. Basterebbe vedere l’accozzaglia di chierichietti della tirannia imperiale che guida la canea: Pannella, Veltroni, il Dalai Lama, Bertisconi, Gordon Brown, Olmert, Bonino, Sion e i neocon di Washington, Flavio Lotti, che per non imbarazzare il suo governo degrada la marcia della pace in marcia dei “diritti umani” (bianchi, borghesi, cristiani); Amnesty International che contro l’uccisione – comunque inaccettabile - di nove manifestanti (vedrete, nel tempo diventeranno 900, 9000. 90.000, come quelli di Saddam, come quelli del Darfur, come quelli di Milosevic) spara come non ha mai sparato contro l’eliminazione di due milioni e mezzo di iracheni tra embargo e invasione-occupazione e la cronaca dell’universo mondo, orecchiata da fonti tutt’altro che ineccepibili, assomiglia in modo impressionante a quella, veritiera, del nostro G8 genovese; i mascalzoni che, da Striscia la notizia a Calderoli e Prodinotti, si punteggiano di “rosso per la Birmania”, mentre non hanno mai prodotto neanche una capocchia di spillina rossa per la decimazione sessantennale dei palestinesi. Sotto l’alluvione dei paginoni su Myanmar di ogni singolo organo di stampa, nel frastuono delle querimonie e degli inviti alla baionetta di quella accozzaglia di gaglioffi e delinquenti che ci piscia addosso dai palazzi del potere, da quelli del moderatismo fascistizzante ai “massimalisti” (come il TG3 normalizzato chiama i cacasotto e cacasenno della sinistra parlamentare), scompare ogni barlume di realtà, viene strozzato da un silenzio cimiteriale ogni alternativa, ogni possibilità di verifica, ogni contesto.

A Myanmar come in Kosovo
Ma anche ogni luce incerta di dubbio. Come ne avrebbe dovuto accenderne a potenza solare l’accertata, documentata, mai smentita notizia che alla vigilia della “rivoluzione porpora” di certi bonzi (non fatevi ingannare: gli studenti non c’erano e non c’erano neanche i responsabili delle organizzazioni buddiste), nel Myanmar si erano rovesciati migliaia di monaci infiltrati dalla Tailandia, paese notoriamente sotto regime reazionario e asservito agli Usa, con le bisacce straripanti di dollari, e che costoro erano poi alla testa delle manifestazioni. Lo facevano per trasferire a Yangoon la democrazia-puttana di Bangkok? Quella che gli stessi buddisti, famelici di dominio non meno degli scaldini nostrani, stanno da decenni infliggendo a forza di massacri alle minoranze islamiche del Sud Tailandia? Il pensiero non è costretto a ritornare all’inondazione del Kosovo da parte di albanesi, prima di Mussolini, poi di Hoxha, poi di Berisha, in vista dello sfascio della Jugoslavia sovrana e di un narcoprotettorato militarizzato e, indi, della Grande Albania?

Riattivare il triangolo d’oro
A proposito di narco, non è solo per petrolio, gas, legname e delocalizzazione a manodopera da due lire con inquinamento umano e ambientale senza freni, che si va ad ammazzare il Myanmar. Non è forse successo che andati i bianchi borghesi, capitalisti cristiani, bombaroli dei diritti umani, in Afghanistan, in quel paese ha attinto vertici produttivi l’oppio-eroina già sradicato dagli infami Taliban? Non succede che il massimo produttore mondiale di cocaina, la Colombia, sia sotto la ferula di un narcobrigante fascista, marionetta degli Usa e della nostra beneamata e rispettata ‘ndrangheta? Non ci si impadronisce di Balcani, Kurdistan e Somalia perché sono capisaldi geopolitici, ma, forse di più, perché sono le rotte insostituibili della droga? E allora, che il Myanmar, spentosi malauguratamente il triangolo d’oro caro all’Occidente, Birmania-Tailandia-Laos, torni alla sua antica funzione di fornitore di droghe che hanno la stupefacente doppia funzione di annichilire intelligenze e volontà e di far entrare nelle banche Usa qualcosa come un trilione di dollari all’anno (Osservatorio Mondiale delle Droghe, Parigi). Non sono le armi e i tossici a mandare avanti il Nuovo Ordine Mondiale?

E in Iraq, Palestina, Libano, Somalia, Afghanistan…?
Si è parlato a volte del sospetto che ci possa essere il metodo dei due pesi e delle due misure in quanto vanno facendo per il mondo coloro che hanno impiegato una misura doppia fin da quanto hanno ammazzato 3000 concittadini a New York e in Iraq, dal 2003, hanno ammazzato un milione e 200mila persone (indagine documentata dell’accreditato londinese ORB, Opinion Research Business). In effetti non c’è equilibrio. Specie se ai 90.000 profughi neri cacciati dal proletario Distretto 9 di New Orleans con la scusa, avanzata dall’immobiliarista Bush dopo aver fatto saltare gli argini, di Katrina, si oppongono i 4 milioni di civilmente defunti iracheni, profughi in Siria, Giordania, o nelle tende del deserto iracheno.
Ma strabiliante è la capacità di due pesi e due misure dei presunti sinistri della dependance coloniale in cui viviamo. Ligi alla parole d’ordine dell’imperialismo, salvo apportargli correttivini da dame di S.Vincenzo, non ne sbagliano una: “Belgrado ride”, quando la banda Otpor di Radio B92 (del tutto sincronica con le “testimonianze” che poi usciranno da Kiev, da Tblisi, poi da Beirut, ora da Myanmar) poneva fine, su ordine e con dollari cristiani, bianchi, capitalisti, borghesi, alla libera Jugoslavia; “Fidel reprime i dissidenti”, quando una squadraccia di mercenari a mille dollari al mese conduce una campagna terroristica contro civili cubani; “Salviamo il Darfur”, quando predoni istigati e armati da Usa e Francia sfruttano una catastrofe ambientale e umanitaria provocata dai ricchi, cristiani, bianchi, borghesi, capitalisti, per destabilizzare uno Stato indipendente e sovrano e agevolare la rapina occidentale del suo petrolio e del suo uranio, lungo la strategia israeliano-iraniana, ufficialmente in atto dal 1982: sminuzzare confessionalmente ed etnicamente le nazioni arabe; “Sosteniamo Abu Mazen”, specialista di colpi di Stato, vichysmo e terrorismo interno, annullamento di risultati elettorali, cospirazione con il nemico, tradimento del proprio popolo.
E via elencando, lungo le principali direttrici geopolitiche imperialiste che si dipanano dalle Torri Gemelle e da un 11 settembre tuttora dal manifesto (di Liberazione, house organ per famigli e famigliari di Bertisconi e Giordano, non mette conto parlare) accreditato con crescente accanimento e nonostante tutto, nella sua grottesca versione ufficiale.

Arresti di massa in Myanmar? E 60mila sequestrati in Palestina…
Si tuona sul migliaio di presunti arrestati in Myanmar. Non si parla dei 60mila civili e partigiani palestinesi dall’inizio dell’Intifada - sempre sia lodata - sequestrati, detenuti senza processo, torturati, di cui 11.500 tuttora in carcere. Non si parla dei 60mila – per difetto – prigionieri iracheni nelle carceri della tortura di Usa e fantocci. In entrambi i paesi sono migliaia i bambini. Si lamenta il cronista giapponese ucciso e l’assenza di giornalisti a Myanmar, si tace sul fatto che dopo sei mesi dalla guerra (quando ci andai per l’ultima volta), in Iraq non c’è più nessun inviato, tutti cacciati o sparati tra gli occhi. A meno che non si vogliano chiamare giornalisti quei quattro canarini, tappati nella Zona Verde, che cinguettano al suono del briefing del portavoce dell’esercito Usa. In Iraq le milizie di Moqtada e compari portano avanti la soluzione finale del popolo iracheno pianificata dalla trimurti Usa-Israele-Iran, affiancando le soldataglie drogate statunitensi e dei fantocci nella media di una cinquantina di assassinati e trapanati al giorno. I manifestanti di Rangoon sono tutti stupendi, ma fanno proprio schifo quei terroristi di combattenti per la libertà del proprio paese polverizzato, annichilito, frantumato come un vecchio vaso sumero. In Iraq, Jugoslavia, Somalia, Palestina, Libano, bambini, donne, uomini soccombono in massa e per generazioni agli effetti dell’uranio, dei raggi elettromagnetici e della chimica con cui sono stati bombardati, ma qui si strepita contro i ”militari che hanno usato pistole ad acqua avvelenata contro i dimostranti”, una notizia che ha la stessa credibilità del Saddam che introduceva gli oppositori a piedi in giù nei tritacarta, o di suo figlio Uday che faceva giocare i calciatori sconfitti con palloni di ferro… Si abbocca sempre, sempre. Non è stato proclamato dagli psicopatici al potere negli Usa che il 20% della forza lavoro attuale è sufficiente per mandare avanti la macchina sputaricchezze mondiale. Il resto, fuori dai ciglioni, con l’uranio, la decimazione nazisionista quotidiana e progressiva, la fame da agrocombustibili: “Il popolo reclama pane, diamo brioches alle automobili“.

L’esercito di Myanmar e Blackwater
L’esercito della giunta spara sulla folla”? In Iraq 200mila tagliagole della Blackwater e simili, muoiono per l’Occidente come mosche, ma non registrati, e in compenso possono massacrare, che Gengis Khan al confronto pare Madre Teresa di Calcutta (paragone sbagliato, chè quella strega era intima e complice dei più sanguinari despoti del tempo). “A Rangoon anche i bambini intossicati dai gas dei soldati”? C’è uno Stato che sbraita per prendere alla gola subito tutto il Myanmar e che ha il primato mondiale degli infanticidi: non c’è settimana che passa che a Gaza non venga ucciso qualcuno sotto i 14 anni e nelle carceri dell’orrore iracheno, il 14% sono minori. Servono a ricattare i padri latitanti. “I generali birmani non rispettano i diritti umani”?

Fascisti portatori di democrazia, o portato della nostra democrazia?
La casta di criminali dementi insediatasi con i brogli alla Casa Bianca ha imposto al mondo un processo di fascistizzazione in cui le libertà collettive e individuali sono annullate, in cui si viene tolti mezzo sul sospetto (vedi Abu Omar e mille altri), in cui si viene incarcerati senza imputazione, senza processo, senza legali, senza famiglie (vedi i Cinque cubani ergastolani negli Usa per aver denunciato all’FBI le trame terroristiche emananti dal suo territorio), in cui basta la parola di un idiota per definire Stato canaglia un paese e bombardarne a tappeto il popolo, in cui ministro dell’ordine interno e della giustizia diventano figuri come un cambiacasacca ontologico, che si diversifica rispetto al passato quando con nani e ballerini gestiva ladrocini di partito, perché oggi ai derubati mette le manette, o come colui che caccia via giudici che incastrano suoi colleghi e amici. “Il regime dei generali si è arricchito alle spalle del popolo”? Israele, da quando ha divorato il resto della Palestina non regalatagli dell’ONU e ne ha fatto una Auschwitz a cielo aperto, persegue la liquidazione del popolo titolare di quella terra ammazzando con gli spari e le bombe, ma soprattutto arraffando per sé quello che dovrebbe nutrire e dissetare le sue vittime: la giunta militare di Tel Aviv ruba ai palestinesi il 95% dell’acqua.

Moratoria alla pena di morte, via libera ai genocidi
“In Birmania vige la condanna a morte e l’Italia si fa promotrice di una moratoria”? Ma che bravi: moratoria della pena di morte all’ONU e, con o senza ONU, pena di morte collettiva inflitta senza batter ciglio a iracheni, cubani, somali, serbi e afgani e a quanti altri finiranno nel mirino dei boia di Vicenza, Aviano, Via XX Settembre, Pentagono, quando italiani “nostri ragazzi” per il direttore Sionetti di Liberazione e per il pio Enzo Mazzi sul manifesto.
Mentre l’unico titolato a chiamare “mio ragazzo” Lorenzo D’Auria, il Sismi ucciso da fuoco amico in Afghanistan, suo padre, ha dato dell’assassino a Prodi e Bush. Bè, se non finisce in qualche extraordinary rendition in carceri egiziane quel genitore, qualche speranza di scamparla ce l’abbiamo anche noi.

Ora quei panciafichisti, pesci in barile, cerchiobottisti, collaborazionisti della Tavola della Pace, con tutto il seguito bertinottesco, clericista, lillipuziano, boyscoutesco, amnestista, parasindacale, si apprestano a offrire due sgabelli con buffet ai criminali di guerra. Ad Assisi marceranno non più contro la guerra, ma per i “diritti umani”, salvando capra e cavoli a coloro che il papà dell’agente Sismi da noi ucciso in Afghanistan ha chiamato “assassini”. E Marco Revelli, sul manifesto, si scervella, poverino, per capire dove e come sia scomparso “il movimento dei movimenti”! Dove sia svaporato quel “mondo con dentro tanti mondi” (orrenda patacca del sub Marcos). Quando ci si dimentica di Marx e delle classi è ovvio che si resta abbioccati come Revelli. Il 20 ottobre, poi, costoro incalzeranno con la famosa manifestazione per togliere le castagne dal fuoco a Prodi e ai suoi sicofanti “massimalisti”. Ci si propone di tirare un pochino per la giacchetta un premier indicato come correggibile, emendabile, riciclabile, nascondendo collaborazionisticamente l’evidenza solare di un senile attivista del Comitato d’Affari del capitalismo-subimperialismo italiano e di un vecchio burattino ai fili del crimine politico organizzato statunitense. Ci si propone, come rimpiange Revelli, di tenere insieme i partiti della “cosa rossa” e le aree sindacali e aassociative che vi fanno riferimento. Si sogna di rimediare allo spaventoso flop del 9 giugno, come rileva il sempre puntuale Piero Bernocchi, quando in piazza coi partiti immaginati di sinistra (ma salviamo il PdCI per la successiva ripresa e per la costante dignità internazionale e sociale) c’erano quattro gatti e quattro scagnozzi, mentre al corteo antimperialista c’erano oltre 100mila cittadini. E intanto ci si fascia di dolore e sdegno per Myanmar, per il Darfur e per la difesa, ovviamente anche armata perché umanitaria, dei diritti umani colà. Anche perchè si sente in fondo allo stomaco il solito brontolio di un incontenibile bulimia di petrolio, armamenti, sangue. Vedrete che botte qui e in giro per il mondo dopo il 20 ottobre del “Prodi ritrovato”!

2/10/07

Fulvio Grimaldi - Mondocane fuorilinea

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