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Avanguardia e classe: quale rapporto?

(20 Ottobre 2007)

Al di là di tutte le teorizzazioni borghesi e piccolo borghesi sulla scomparsa delle classi, la società continua a basarsi sullo sfruttamento del lavoro salariato.

Il salario continua ad essere il valore, il prezzo della merce forza-lavoro. Per questo tutto il sistema di produzione capitalistico gira tuttora attorno al problema di prolungare questo lavoro gratuito, allungando la giornata lavorativa e/o aumentando la produttività, cioè la maggiore intensità dello sfruttamento della forza lavoro. Il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù che diventa sempre peggiore, che l’operaio sia pagato meglio o peggio.

E’ da questa contraddizione inconciliabile che nascono le lotte.

Tutte le classi sociali, nella lotta di classe, generano inevitabilmente le loro avanguardie. L’avanguardia rivoluzionaria più coerente del proletariato, i comunisti, non sono semplicemente una sintesi dei vari settori sociali che compongono il proletariato: sono la parte d’avanguardia della classe operaia stessa.

I comunisti, ponendosi l’obiettivo della costruzione di un loro partito per la liberazione della schiavitù salariata, anche se provengono da altre classi sociali, nella loro stragrande maggioranza non possono che essere operai e proletari che nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nei quartieri diventano punto di riferimento degli appartenenti della loro classe.

La storia della lotta di classe dimostra che pochi quadri comunisti in una fabbrica o in una realtà di lotta proletaria possono dirigere centinaia, in alcuni casi migliaia di persone, perché essi sono coloro che, nel movimento presente attraverso parole d’ordine adeguate alla realtà in cui sono inseriti, rappresentano gli interessi immediati, futuri e storici della classe.

La liberazione della classe proletaria dallo sfruttamento capitalista-imperialista non è mai stata l’opera messianica di qualche pensatore rivoluzionario. Essa è stata e può essere solo il prodotto della lotta in cui la classe e la sua parte più avanzata - quella che ha assimilato la teoria rivoluzionaria, i comunisti - applicano questa teoria nello scontro contro la borghesia, costituendosi prima di tutto in partito politico.

Il proletariato, classe sfruttata e oppressa, non può emanciparsi senza emancipare contemporaneamente tutta la società dalla divisione in classi e i comunisti hanno gli stessi interessi del proletariato perché sono una parte di esso.

Lo scopo dei comunisti è sempre quello di organizzarsi in partito politico per l’abbattimento della borghesia, per la distruzione della società capitalista-imperialista basata sugli antagonismi di classe, per l’instaurazione del potere proletario che vada verso la fondazione di una nuova società senza classi, senza proprietà privata dei mezzi di produzione, senza guerre e in grado di soddisfare i bisogni di tutti gli esseri umani.

I comunisti, quindi, sono quei proletari che nelle lotte immediate mettono in rilievo e sostengono gli interessi comuni dell’intero proletariato, che sono indipendenti da razza, religione o nazionalità.

Oggi come ieri, lo scopo immediato dei comunisti è rimasto immutato: formazione del proletariato in classe, internazionalismo proletario, abbattimento del sistema borghese e conquista del potere politico da parte del proletariato.

Contro ogni nazionalismo, già nel lontano 1885, nel suo saggio “ La storia della Lega dei Comunisti” Friedrich Engels sosteneva che “ogni rivoluzione per essere vittoriosa, deve essere europea” e la Lega dei Comunisti di cui faceva parte sostituì al vecchio motto “Tutti gli uomini sono fratelli” il nuovo “Proletari di tutti i paesi unitevi”, proclamando apertamente il carattere internazionale della lotta proletaria.

Coscienza dall’esterno o dall’interno della classe?

Alcuni sostengono che la classe operaia da sola non può emanciparsi se non con l’aiuto degli intellettuali rivoluzionari.

A questo riguardo, e a seconda delle convenienze, molti hanno cercato di giustificare le loro tesi, i loro fallimenti e la loro esistenza usando a sproposito i grandi rivoluzionari.

Molti intellettuali - trasformando ed irrigidendo il pensiero di Lenin che era nato in un contesto concreto di lotta di classe, in una teoria al di fuori dalla lotta concreta, dal contesto economico e politico, fuori dallo spazio e dal tempo , nascondono in realtà il loro pessimismo nei confronti della classe operaia. Ritenendo che la classe - vittima dell’alienazione capitalista - sarebbe incapace di liberarsi dall’economicismo che perpetua la schiavitù salariata, essi pensano che da sola, senza una spinta dall’esterno da parte di gruppi di intellettuali rivoluzionari (loro sì, immuni dall’alienazione) la classe non possa liberarsi.

La coscienza che viene portata alla classe dall’esterno, tesi sostenuta da Lenin in alcuni suoi scritti, era giustificata dallo sviluppo capitalistico dell’epoca e dalle condizioni in cui in quell’epoca la classe proletaria si trovava.

Allora, nella stragrande maggioranza, erano gli intellettuali gli organizzatori della classe operaia e proletaria. Ma con lo sviluppo del capitalismo , in particolare nell’imperialismo, non è più così.

Trasformare il Marxismo e il Leninismo da guida per l’azione in dogma, in canonizzazione di un pensiero, in una bibbia per aspiranti rivoluzionari come fanno oggi certi gruppi “rivoluzionari”, estrapolandoli dalle situazioni concrete e storiche in cui sta la loro forza d’urto e di trasformazione, significa svilire il pensiero e la prassi rivoluzionaria ed è questo uno dei motivi che impediscono ed ostacolano la costruzione dell’avanguardia proletaria in partito politico.

Marx ed Engels hanno sempre sostenuto che l’emancipazione della classe operaia doveva essere opera della classe stessa, perché non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma - al contrario - è il loro essere sociale che determina la loro coscienza.

Ancora oggi persistono nel movimento rivoluzionario due concezioni fondamentali, opposte fra loro, sul rapporto classe operaia e coscienza di classe.

La prima è di chi sostiene (come noi) che la classe operaia è in grado da sé di produrre le sue avanguardie e la sua organizzazione, il suo Partito Comunista, e che il rapporto con gli intellettuali consiste nel mettere le loro capacità e conoscenze al servizio, come tutti, della causa della liberazione proletaria e quindi di tutta l’umanità.

La seconda di chi considera gli intellettuali il motore del processo rivoluzionario, coloro che portano la coscienza (che solo loro possiedono) nella classe da loro considerata contaminata nel suo rozzo economicismo.

In realtà i grandi rivoluzionari, i capi delle rivoluzioni proletarie (Lenin compreso) hanno sostenuto nei momenti decisivi dello scontro di classe a cui parteciparono la prima concezione (vedi la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” nel momento in cui divenne concreta la possibilità vivente della rivoluzione) anche se molto spesso a seconda delle condizioni concrete, dell’arretratezza e delle difficoltà della situazione russa la seconda posizione è sostenuta con altrettanta forza, (vedi Lenin nel “Che fare” scritto nel 1905, 12 anni prima della rivoluzione proletaria del 1917).

Nella prefazione alle lettere di Marx a Kugelmann, polemizzando con Plekhanov per il suo atteggiamento negativo di fronte alla rivoluzione russa del 1905, da lui ritenuta intempestiva, Lenin scrive: “Nel settembre 1870 Marx definì l’insurrezione una follia. Quando però le masse si sollevano, Marx vuole marciare con loro, imparare insieme a loro nel corso della lotta, e non solo declamare istruzioni burocratiche. Egli comprende che il tentativo di determinare con anticipo le prospettive con assoluta precisione sarebbe ciarlataneria o sconfortante pedanteria. Al di sopra di tutto egli pone il fatto che la classe operaia fa di propria iniziativa, eroicamente, con abnegazione, la storia universale. Marx considerava la storia dal punto di vista di coloro che la fanno, anche se in precedenza non possiamo calcolare, senza sbagliare, le prospettive, ma non la considera del punto di vista dell’intellettuale piccolo-borgese che sentenzia: “ era facile prevedere…non si doveva impugnare…”.

I grandi rivoluzionari sono tali perché non temono di vedere smentite davanti alla realtà le loro teorie, ma al contrario imparano dalla realtà e ne traggono insegnamenti.

Il grande merito di Lenin e dei comunisti russi che hanno combattuto la lotta rivoluzionaria in un paese ancora arretrato è quello di essere riusciti a realizzare uno dei più grandi rivolgimenti della storia umana. L’esperienza della Comune di Parigi - primo tentativo di semplici operai, proletari, avanguardie riconosciute di una classe che stava nascendo di presa del potere – fornì il modello che permise l’instaurazione della dittatura del proletariato (la più ampia forma di democrazia diretta degli sfruttati) e del socialismo in Russia.

Noi riteniamo che lo strumento che può guidare tutta la nostra classe verso la liberazione dallo sfruttamento capitalista di cui oggi necessitiamo più che mai, l’organizzazione comunista, il Partito, non può essere fatto da altri che i proletari, perché è la classe stessa che si costituisce in partito. Ed è su questa strada che continuiamo.

articolo pubblicato sul n° 6 di Nuova Unità di ottobre 2007

Michele Michelino

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