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Uno, due e … venti (ottobre). Indipendenza o catarsi?

L’editoriale di Radio Città Aperta di martedì 23 ottobre

(26 Ottobre 2007)

Non è facile comprendere il 20 ottobre senza considerare quello che è successo nei giorni immediatamente precedenti. Non se ne capisce il carattere di “grande evento” senza considerare che fa parte di uno schema complessivo assieme alle primarie del costituendo Partito Democratico e alla consultazione indetta da CGIL CISL e UIL su un accordo già firmato e blindato. Dopo la scontata elezione-plebiscito di Veltroni, e la scontata affermazione dei si sul protocollo del 23 luglio - ve li immaginate voi i sindacati confederali organizzare un referendum per farsi smentire? - la manifestazione del 20 ottobre ha assunto il carattere di un grande evento mediatico, un tonificante bagno di folla per una sinistra che all’interno della tenaglia della governabilità rischia di sbiadire oltremodo la propria identità e il proprio radicamento sociale.
Il richiamo della foresta ha funzionato, è evidente. Si possono fischiare nelle fabbriche i dirigenti del sindacato, si può dare un giudizio negativo di questo governo su tante cose, ma alla fine si manifesta tutti insieme per sostenere un esecutivo che, hanno detto in molti, “fa schifo ma è il nostro”. Ma quando il sempre invocato altro mondo possibile lascia spazio a quello “di merda” che ognuno di noi è costretto a sopportare sulla propria pelle ogni santo giorno, i dubbi cominciano a insinuarsi anche nel più fedele dei militanti di partito. E così centinaia di migliaia di persone, il cosiddetto “popolo della sinistra”, si sono ritrovate a Roma per dar vita ad un mega evento catartico, ad un rito collettivo di purificazione di massa che spazzasse via in un pomeriggio anni di frustrazioni. Come conciliare lotta al precariato e obbedienza all’esecutivo, pacifismo e aumento delle spese militari? Può un governo soddisfare sistematicamente le richieste di Confindustria e quelle dei lavoratori?

L’anestetico che quella manifestazione ha generosamente dispensato al popolo della sinistra alla ricerca di riscatto ma timoroso di recidere il cordone ombelicale con la sinistra di governo durerà ben poco. E quando passa l’effetto dell’anestesia torna il dolore...

A chi ha nuotato sabato pomeriggio in quel confortante mare di bandiere rosse con tanto di falce e martello si pone un problema concreto. Dopo la manifestazione della sinistra di governo e le aspettative che essa ha suscitato, rimangono aperte infatti tutte le vertenze che i movimenti di lotta hanno aperto in questo paese contro il governo Prodi e le sue politiche. Come si comporteranno nei prossimi mesi i gruppi dirigenti di Prc, PdCi, Verdi e Sinistra Democratica di fronte alle richieste di cambiamento sociale e politico? Rappresenteranno fino in fondo - sul piano parlamentare e istituzionale - le istanze dei movimenti, o continueranno a subire l’offensiva liberista e guerrafondaia del Partito Democratico? Il sussulto di identità del 20 è ben poca cosa rispetto ai compiti che una sinistra di classe coerente e capace dovrebbe assumersi in una fase così complicata. A chi si oppone alle basi militari e alle missioni neocoloniali all’estero, si può continuare a rispondere che non si può fare di più perché se no cade il governo e torna Berlusconi? Ai giovani che chiedono la fine della schiavitù della precarietà si può continuare a raccontare la favola del “superamento” della legge 30 o di quel pacchetto Treu che la stessa Rifondazione qualche anno fa contribuì a varare?

La folla di sabato scorso pone una domanda politica alla quale la sinistra di governo ha dimostrato già di non sapere - o volere – rispondere. Non ci sembra quindi il caso di continuare a firmare deleghe in bianco.

E da quelle bandiere rosse che in tanti hanno sventolato orgogliosi, una sorta di coperta di Linus, potrebbe presto sparire quella falce e martello ormai inopportuna per una sinistra che si candida a coprire, rinunciando alla propria identità, lo spazio politico abbandonato dai DS approdati al Partito Democratico.

Se sabato da piazza San Giovanni fosse venuto un secco no alla Finanziaria, alle spese militari, alle missioni neocoloniali all’estero, alle Leggi Trentatreu, all’alta velocità, agli inceneritori, al protocollo del 23 luglio, oggi saremmo tutti più forti. Aver sacrificato questi contenuti al dogma del governo a tutti i costi ha solo aumentato la confusione e ha reso tutti più vulnerabili. Con le icone confortanti – compresa quella di un Pietro Ingrao esposto sul palco di Piazza San Giovanni a mo di miracolosa reliquia – non si costruisce nessuna prospettiva di liberazione sociale. Con un percorso di organizzazione indipendente e dissonante rispetto al sempre più stretto recinto delle compatibilità non è detto che ci si riesca. Ma è sempre meglio dell’eutanasia politica alla quale la sinistra sta sottoponendo sé stessa e le classi sociali che dovrebbe rappresentare.

Radio Città Aperta

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