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Addio compagne

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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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Un congresso per rilanciare i movimenti e l’autonomia del Prc

l'intervento introduttivo dell'incontro nazionale svoltosi il 25 novembre a Firenze

(27 Novembre 2007)

Compagne e compagni, buongiorno e benvenuti a Firenze.
sono uno dei compagni fiorentini firmatari dell’appello “Un congresso per rilanciare i movimenti e l’autonomia del PRC” e vorrei iniziare questo incontro, ricordando innanzitutto Gianni Rigacci, indimenticabile compagno di Firenze che molti di voi avranno senz’altro conosciuto, scomparso un anno fa, vorrei ricordarlo in piedi e con un applauso! Grazie ancora Gianni! Ciao Gianni!

Presento questa relazione introduttiva a nome dei compagni di Firenze e Bologna, qui alla presidenza, promotori di questo incontro nazionale, proponendo al dibattito alcune questioni in modo sicuramente parziale e incompleto.
Questo incontro nazionale si propone di sviluppare e approfondire a partire dai temi posti dall’appello e dai vari documenti pervenuti, il confronto e la proposta politica, coinvolgendo da oggi tutti i compagni/e e le realtà interessate, nella gestione collettiva di questa esperienza, senza delegare o attendere i gruppi dirigenti, dove peraltro la discussione e l’articolazione delle posizioni è più aspra di quanto possa sembrare. Questa esperienza, per essere adeguata e proficua deve fare i conti con la nuova fase politica e sociale che abbiamo di fronte, superare gli steccati delle vecchie mozioni congressuali che si rivelano del tutto inadeguati alla nuova situazione: ciò impone a tutti noi di fare un salto di elaborazione e di cultura politica.

Per questo verrà proposto un dispositivo finale da discutere e approvare, che prevede:
- la formazione di un gruppo di lavoro e di coordinamento nazionale con la funzione di elaborare un documento politico in vista del prossimo congresso di Rifondazione Comunista, prevedendo la partecipazione di due-tre compagni/e per realtà: Questo gruppo di lavoro lavorerà da subito con il metodo del massimo consenso, sintesi e coinvolgimento, in stretta relazione con l’insieme dei compagni, tenendo conto dei documenti, dei tempi e delle modalità congressuali che verranno definite dal prossimo CPN;
- la prosecuzione del dibattito e dei contributi, sviluppando un proficuo rapporto con le realtà sociali, di movimento e della sinistra, per evitare di chiudersi in uno scontro solo interno al partito.

L’appello lanciato un mese fa da 125 compagni/e di Firenze ha raccolto finora circa 1300 adesioni, adesioni trasversali a diverse mozioni congressuali discusse a Venezia nel 2005, compagni/e provenienti da 65 federazioni e 17 regioni, vi sono gruppi di compagni, come quelli di Bologna, che hanno aderito e partecipano con specifici e autonomi contributi.
Più in generale questo appello partito dai livelli di base e intermedi del nostro partito, dai circoli, dalle federazioni, da chi in buona parte “tira la carretta” dell’impegno quotidiano, rappresenta una esperienza nuova nella vita stessa del partito: sta producendo una positiva ripresa della partecipazione e della lotta politica sui temi più scottanti, come la situazione sociale, il Governo, il ruolo e l’autonomia del partito, il confronto e l’unità a sinistra, il rapporto con i movimenti.
Al tempo stesso, questa iniziativa sta facendo emergere un disagio diffuso per la crisi che stiamo subendo proprio nel nostro insediamento sociale, una critica profonda alle scelte del gruppo dirigente che pensa di rispondere alle difficoltà con scorciatoie organizzative ed operazioni di immagine.
Elaborare, in vista del congresso, una proposta politica dai chiari contenuti alternativi rispetto ai processi in corso ci sembra necessario oltrechè doveroso, ci sembra il migliore antidoto, insieme alla ripresa della iniziativa sociale, per impedire che il dissenso di tanti compagni/e diventi sfiducia, abbandono della militanza o uscita dal partito, fenomeni che purtroppo vediamo avanzare un po’ dappertutto.

Lo stato del partito.

Diversamente dalle indicazioni scaturite dalla Conferenza di Organizzazione di Carrara, la stessa situazione interna del partito si sta caratterizzando per crisi della militanza e dello stesso tesseramento, crisi della iniziativa, della capacità di fare inchiesta dei circoli e delle zone nei luoghi di lavoro, sul territorio e nelle scuole, minore presenza nei movimenti, cresce la separatezza e l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, la tendenza all’appiattimento istituzionale ed alla “governabilità”, il deficit di democrazia con preoccupanti fenomeni di autoritarismo e di risposta burocratica all’emergere del dissenso, considerato non di rado come elemento di disturbo da tenere sotto controllo ed emarginare, una sorta di incapacità a vivere il conflitto e la dialettica interna come ricchezza e opportunità per tutto il partito (come invece teorizziamo per la società!).
Priorità ai contenuti, centralità dei conflitti, autonomia dei movimenti e della stessa azione del partito rispetto alle istituzioni, governo come mezzo e non come fine, sviluppo dell’inchiesta e dei nostri rapporti sociali, coerenza tra mezzi e fini, critica alla doppiezza della politica, rottura della “legge del pendolo” sono stati gli antidoti che ci eravamo dati per affrontare la sfida difficilissima del governo (sfida che personalmente allora condivisi insieme alla maggioranza del PRC) per cacciare Berlusconi, iniziare ad uscire dalle politiche liberiste e di guerra, modificare i rapporti di forza.
Oggi dopo 18 mesi di partecipazione al governo, possiamo dire che questi antidoti non hanno funzionato e che il partito è stato attaccato da molti virus, non per il tradimento di qualche dirigente, ma perché si è rivelato molto fragile e indifeso rispetto a questa prova.
Insomma la sfida per cambiare le forme del potere ed aprire un nuovo spazio pubblico, si sta rovesciando contro di noi, producendo fenomeni negativi al nostro interno e nei rapporti con la società..
Allora oltre che riflettere sulla capacità dei poteri forti di continuare ad affermare nella sostanza i propri interessi di classe, oltre che riflettere sulla impermeabilità delle forze del centro e della sinistra moderata (oggi rafforzata dalla nascita del Partito Democratico) nei confronti delle rivendicazioni dei movimenti e delle aspettative di cambiamento di larghi settori popolari, occorre anche indagare su questa fragilità e inadeguatezza, ricollocando e rafforzando il partito nella base della società, “guardando in basso ed a sinistra” e riprendendo le proposte scaturite dalla Conferenza di Carrara, ma rimaste per lo più inattuate.
In particolare i circoli, struttura di base del partito, le zone, le commissioni di lavoro ed anche nuove forme di presenza viva nella società debbono recuperare appieno la loro capacità di iniziativa ed il loro ruolo nel partito, limitando e controllando con criteri di rotazione il funzionariato e l’attività politico-istituzionale come professione.

La situazione sociale ed il Governo.

Il malessere esistente nei luoghi di lavoro, i risultati delle ultime elezioni amministrative e la stessa grande manifestazione del 20 ottobre segnalano in modo inequivocabile una crescente delusione popolare nei confronti del Governo Prodi. E’ forte il rischio di una grave separazione della sinistra politica dalla società e dai movimenti di lotta più significativi nati nel nostro paese, da Genova in poi, qualora dovessimo subire un ennesimo arretramento sul fronte delle pensioni, della precarietà e dello stato sociale.
Le stesse statistiche ufficiali dicono che, a fronte di una percentuale di disoccupazione del 6%, la più bassa degli ultimi 20 anni, aumenta il lavoro precario, diminuiscono i salari e le donne rimangono comunque al primo posto per disoccupazione. Ciò significa che le aziende aumentano i loro profitti, che i lavoratori e le lavoratrici non hanno alcun beneficio salariale dall’aumento della produttività, che i salari diminuiscono per l’aumento del lavoro precario che indebolisce complessivamente il potere contrattuale su tutti gli aspetti del lavoro dipendente (orari, organizzazione del lavoro, contratto nazionale, nocività, sistema pensionistico…).
Non a caso la lotta contro la precarietà, per un aumento generalizzato dei salari, per la tutela del sistema pensionistico pubblico e del contratto di lavoro rappresentano elementi centrali e strategici per tutto un blocco sociale, giovani, anziani, lavoratori, disoccupati, donne e precari, proprio quelli che hanno manifestato il 20 ottobre per rivendicare con forza una svolta, subito, perché domani potrebbe essere già tardi.
Nonostante alcuni parziali risultati che però non hanno scalfito e modificato l’impostazione liberista imposta dai poteri forti, il bilancio complessivo dell’azione di governo è decisamente negativo e del tutto inadeguato rispetto agli obiettivi che ci eravamo proposti.
Non siamo riusciti a neutralizzare la forte pressione della Confindustria sulla finanziaria 2007 e quella prevista per il 2008, sia pur meno pesante, non è certamente una legge finanziaria di svolta (vedi ad esempio le risorse alle imprese e il nuovo aumento delle spese militari!), non siamo riusciti ad invertire la tendenza alla perdita costante del potere d’acquisto di salari e pensioni, che alimenta la crescita costante di povertà e insicurezza sociale, a fronte di ricchezze sempre più grandi ed ostentate.
Il Protocollo sulle pensioni, la precarietà e lo stato sociale viola gli stessi impegni previsti nel programma dell’Unione, conferma nella sostanza l’impianto della legge 30, invece di superarla e modificarla profondamente. Le spese militari sono aumentate sia nel 2007 sia per il 2008 anche con il nostro voto, continua la guerra in Afganistan e la nostra presenza militare, ma non vediamo nemmeno la promessa conferenza di pace.
Di fronte all’ennesimo soldato morto, esprimiamo cordoglio e dolore per questa vita sacrificata, ma per non essere ipocriti gridiamo con altrettanta forza e determinazione: via subito dall’Afganistan, ritiro delle truppe!!
Il Presidente Prodi decide, senza passare dal Parlamento, di collaborare con gli USA per lo scudo nucleare spaziale e di costruire la nuova base americana di Vicenza nonostante la forte opposizione popolare e l’impegno dello stesso programma dell’Unione di ridiscutere la presenza delle basi USA in Italia, come anche quella di Camp Darby a Livorno. Questioni importanti su cui sono sorti importanti movimenti di base e di intere comunità, come l’Alta Velocità Ferroviaria, il diritto alla mobilità ed al trasporto pubblico, il NO all’incenerimento nella gestione dei rifiuti (a parte alcuni risultati sulla vicenda dei certificati verdi), la gestione pubblica dell’acqua, i beni comuni, i rigassificatori, una diversa politica dell’energia, il diritto all’istruzione pubblica, il riconoscimento delle unioni civili, rimangono ancora irrisolte e non si affermano chiare politiche di cambiamento, per la evidente pressione delle lobby economiche e del Vaticano.
La legalità e la sicurezza diventano strumento per campagne autoritarie e provvedimenti razzisti, che rincorrono la destra sul suo terreno (vedi decreto sulla sicurezza, votato ahimè anche dal compagno Ferrero con motivazioni che fanno torto alla sua intelligenza!).

Assumere il concetto di limite.

Liberazione di recente ha posto in discussione il tema del Governo, (ovvero se vale ancora la pena parteciparvi), considerato che nei fatti e a tutti i livelli se ne parla da tempo sia nel partito che nelle realtà sociali.
Il Governo non è il centro del mondo, ma in molti si domandano se gli obiettivi, le speranze e gli stessi antidoti individuati nel Congresso di Venezia, per affrontare questa sfida difficilissima, stiano ancora in piedi.
Ripetere che il “governo è un mezzo e non un fine”, che “dopo questo Governo si prepara un esecutivo peggiore”, che “l’importante è stare nei movimenti ed alimentare il conflitto”, crediamo non basti più. Queste affermazioni rischiano di condannarci alla logica del “meno peggio” sotto il ricatto di una legge elettorale maggioritaria, della “limitazione del danno”, che può reggere per una prima fase, ma che alla lunga ci condanna ad una deriva governista, ci porta comunque al peggio (come è avvenuto per il decreto sulla sicurezza!) e ad una situazione dove il logoramento prevale sulle istanze di cambiamento, con gravi conseguenze sui nostri rapporti sociali e la credibilità della nostra azione.
Qui sta il confine, il discrimine per capire se il governo rappresenti o meno in queste condizioni un mezzo per il cambiamento e la modifica dei rapporti di forza (uscire dalle politiche liberiste, avevamo detto a Venezia, interrompere la “legge del pendolo”diceva il compagno Fausto Bertinotti), o diventa invece – come sta avvenendo – arretramento, delusione, terreno fertile per nuove operazioni centriste (vedi nascita del PD) o populiste di centro-destra (vedi recente colpo di teatro di Berlusconi). Inoltre la caduta di consenso alimenta pericolosamente la destra fascista, leghista e razzista, il disimpegno e la crisi stessa della politica.
Occorre assumere il concetto di limite che giustamente applichiamo in tutti i campi della nostra iniziativa e domandarci “fino a quando? con quali limiti?”. Altrimenti si possono sempre trovare argomenti per giustificare la presenza al Governo e in un esecutivo, ma con questa logica aveva ragione Cossutta nel 98 quando ruppe il partito per stare con Prodi, o addirittura Nenni negli anni 60, quando scelse il centrosinistra!
A queste domande, dobbiamo rispondere valutando le questioni concrete, facendo un bilancio rigoroso dell’attività di governo e del nostro ruolo, soprattutto una inchiesta impietosa nel nostro blocco sociale per capire se il limite è stato superato o meno. Noi pensiamo che il bilancio di questi diciotto mesi sia complessivamente negativo!
La manifestazione di Roma del 20 ottobre ha chiesto una chiara svolta, ora e in questi mesi: se ciò non avviene, considerato che per noi il governo è un mezzo e non un fine, il partito, il congresso, debbono trarne le conseguenze e pensare ad una nuova strategia per impedire che il logoramento sociale prodotto dalle politiche liberiste travolga anche Rifondazione Comunista e segni una sconfitta storica per tutta la sinistra anticapitalista.

Ruolo, autonomia del PRC e sinistra di alternativa.

Siamo convinti che il ruolo e l’autonomia di un partito comunista rifondato non siano affatto in alternativa con lo sviluppo dei movimenti e l’esigenza di unità, rilanciata peraltro dalla straordinaria manifestazione del 20 ottobre che, in questo senso, ci sembra un momento costituente infinitamente più alto e concreto di qualsiasi formula studiata a tavolino da qualche gruppo dirigente!
Consideriamo insostituibile l’autonomia ed il ruolo di un partito comunista rifondato non come scelta di autosuffcienza o autoreferenzialità, ma come elemento necessario, motore indispensabile di un ampio e variegato schieramento di sinistra anticapitalista. Naturalmente questo ruolo non è dato per definizione, ma occorre conquistarlo sul campo, nel merito dei contenuti, con la presenza nei movimenti e nelle lotte, con una forte relazione con i soggetti sociali, con la capacità di fare proposta e sintesi politica, come del resto il PRC ha sempre cercato di praticare, almeno nei suoi momenti migliori.
In questa situazione, di fronte alle attuali, innegabili difficoltà, alla necessità di tracciare un bilancio rigoroso dell’esperienza fatta ed aprire una riflessione critica sulla linea politica, ovviamente non pensiamo che la soluzione stia nel rilancio di un patriottismo di partito, identitario, chiuso e magari un po’ subalterno. Ma non possiamo accettare che si cerchi di eludere i problemi e le difficoltà reali con fughe in avanti, scorciatoie organizzative ed elettorali o incomprensibili limitazioni di sovranità su questioni importanti come l’aggregazione a sinistra, tutte pensate all’interno dei gruppi dirigenti con proposte e denominazioni mutuate da modelli “americani”tipo Partito Democratico, che cambiano di settimana in settimana (federazione, cosa rossa, costituente, simboli nuovi, liste uniche…) e che peraltro hanno gia dimostrato nell’esperienza storica della sinistra di non funzionare!
Detto questo non intendiamo sottovalutare la spinta diffusa e la richiesta forte di unire ed aggregare la sinistra per l’alternativa, perché da sempre abbiamo lavorato per questo.
Ma ciò è perseguibile e praticabile soprattutto sviluppando il confronto sui contenuti e nella pratica sociale, valorizzando tutte le storie e le identità, non sciogliendole. Per questo diffidiamo di tutte le scorciatoie organizzative che prescindono da un processo reale di lavoro comune, perché non risolvono i problemi che abbiamo oggi nei rapporti con la base e nei conflitti sociali.
Ripetiamo per chiarezza che le forme e le pratiche di una nuova unità a sinistra – sicuramente tutte da inventare, approfondire e verificare – capace di coinvolgere le diverse realtà sociali, politiche e sindacali, debbono procedere di pari passo e non possono essere separate o indipendenti dal confronto sui contenuti e dallo sviluppo di una comune pratica sociale. Questa deve essere in grado di superare le diversità tuttora esistenti (manifestazione del 20.10, protocollo del 23 luglio, presenza nei governi locali…) rilanciare il conflitto e costruire una chiara alternativa al Partito Democratico.
Senza questi riferimenti e relazioni sociali forti, la “cosa rossa” rischia di nascere su un asse moderato e comunque inadeguato per le esperienze più avanzate di critica alle politiche neoliberiste, di essere un semplice assemblaggio di gruppi dirigenti e di rimanere prigioniera rispetto al governo della logica del “meno peggio”: così la “cosa rossa” è destinata a naufragare in tempi brevi, alimentando nuova sfiducia e crisi della politica, ovvero ulteriore separazione tra sinistra e bisogni sociali.
In particolare sui temi della precarietà, del ripudio della guerra, dei diritti sociali, del NO alle grandi opere (vedi TAV e rigassificatori) ed agli inceneritori, come su altre questioni, sappiamo che c’è bisogno di una svolta, ma anche a sinistra ci sono posizioni e pratiche diverse che non possono essere sottovalutate e su cui c’è bisogno di approfondimento e di molto lavoro comune.
Più in generale il tentativo di cancellare una soggettività comunista ha sempre corrisposto ad una svolta moderata e non ha mai rafforzato uno schieramento anticapitalista.
Con queste motivazioni riteniamo necessaria e attuale una rinnovata autonomia politica ed organizzativa del PRC, per favorire il rilancio dei movimenti ed un concreto percorso unitario delle diverse espressioni della sinistra, anche a livello elettorale.

Concludendo, rivolgiamo un appello ai compagni/e a non abbandonare la militanza, a partecipare al congresso per contrastare con una chiara proposta politica i rischi di omologazione del PRC e proseguire il cammino della Rifondazione Comunista.

Firenze 25 novembre 2007, Sala Est-Ovest, via Ginori 12

Sandro Targetti

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