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(18 Novembre 2008) Enzo Apicella

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Salari: in 5 anni persi 1900 euro

(3 Dicembre 2007)

I salari italiani sono stati erosi considerevolmente nel corso degli ultimi cinque anni e sono in coda ai salari dei Paesi industrializzati.
In cinque anni - dal 2002 al 2007 - i lavoratori hanno perso 1.900 euro: è questo l'allarmante dato che caratterizza il calo di potere d'acquisto dei salari italiani.

La "rincorsa salariale" è determinata da una crescita delle retribuzioni inferiore all'inflazione reale e nasconde un effetto di trascinamento della perdita di potere d'acquisto: un lavoratore dipendente oltre alla perdita dell'anno in corso non recupera la diminuzione del potere d'acquisto nemmeno dell'anno precedente.

A fine anno, con le dinamiche connesse all'aumento di prezzo del greggio e i mancati rinnovi contrattuali, le stime su inflazione e retribuzioni restano sostanzialmente immobili, nonostante una crescita della produttività pari a circa 1 punto percentuale.

Le retribuzioni contrattuali registrano una crescita media annua solamente del 2,7%, a fronte di un'inflazione del 3,2%.

Vogliamo ricordare come l'Accordo Governo-Sindacati sulla politica dei redditi del 23/7/1993 non prevedeva il recupero dell’inflazione (nè pregressa, nè futura), bensì considerava una formula meno vincolante, ovvero la “necessità di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni”: e ciò si è rivelato un continuo gioco al ribasso.

A questa difficoltà si sono aggiunti i ritardi registrati nel rinnovo dei contratti, nel pubblico impiego in particolare fino a due anni.

Significativa è inoltre la differenza del potere d'acquisto dei redditi familiari di imprenditori e liberi professionisti con quello di impiegati e operai: per i primi, è cresciuto di 11.984 euro; per i secondi e terzi e calato rispettivamente di 3.047 e 2.592 euro.

La bassa crescita delle retribuzioni si rende ancor più evidente se confrontata con quella dei maggiori paesi europei.
Dal 1998 al 2006, le retribuzioni di fatto reali nel nostro paese sono rimaste sostanzialmente stabili, mentre negli altri paesi dell'area euro si registravano tassi di crescita nettamente superiori: il 10% in media nell'area della moneta unica, oltre il 15% in Francia e nel Regno Unito, e il 5% in Germania, nonostante il sostanziale congelamento salariale degli anni 2000.

Le piattaforme rivendicative presentate da tutte le categorie in lotta per i rinnovi contrattuali non superano i settanta/ottanta euro netti mensili, ed il loro accoglimento non modificherà la condizione del salario dal momento che si tratta di due o tre euro al giorno che saranno subito mangiati dall'inflazione strisciante ed onnipresente.

Come si conciliano queste piattaforme rivendicative con la drammatica condizione salariale dei lavoratori? Chiedendo anche il triplo di quanto è stato rivendicato, saremo comunque sempre i fanalini di coda del salario europeo.

Perché, quindi, i sindacati si ostinano a presentare piattaforme miserabili di pochi spiccioli che non cambieranno la condizione umiliante dei lavoratori?

COBAS – CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE
COBAS Sanità, Università e Ricerca

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