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"Jenin, Jenin": cronaca di un massacro

Per non dimenticare

(19 Dicembre 2002)

Milano, dicembre - Il regista palestinese Mohammed Bakri e' in Italia per un tour di presentazione del documentario "Jenin, Jenin" realizzato la scorsa primavera nell'omonimo campo profughi palestinese preso d'assalto dagli israeliani.

Bombe e bulldozer hanno ridotto in polvere il campo e massacrato i suoi abitanti. Su tale crimine di guerra pesa la fondamentale responsabilita' di Sharon che proprio in questi giorni ha replicato la sua impresa nel campo profughi di Al Bureij, a Gaza, compiendo una strage fra gli abitanti sotto gli occhi di una sostanziale indifferenza dei governi internazionali.

Roma, Nuoro, Cagliari, Paderno Dugnano (Milano), Firenze e Torino sono le tappe italiane che sta percorrendo Bakri e che si aggiungono a un calendario di proiezioni gia' concluso in varie citta' europee e arabe. Ovunque, al termine della proiezione, la reazione del pubblico e' stata la stessa: un lungo, interminabile minuto di silenzio di piombo, la difficolta' di rompere quel silenzio con le domande sollecitate dagli organizzatori.

Solo a Tel Aviv e a Padova (in quest'ultima citta' su pressioni della Curia locale) l'opera di Bakri e' stata vietata.

Arabmonitor ha visto il documentario insieme al regista; le parole non possono sostituire quello a cui abbiamo assistito e per la cui realizzazione il produttore, vecchio amico del regista, ha perso la vita sotto il fuoco israeliano. Ma proviamo a raccontarlo per i nostri lettori, con una premessa: il film e' realizzato con una pura tecnica documentaristica, le interviste sono raccolte a caldo, a quattro giorni dal disastro, fra i civili che si aggirano fra le macerie alla ricerca dei corpi dei loro cari.

Il regista non fa alcuna concessione agli artifici cinematografici. L'opera, per l'alto livello qualitativo e per il coraggio della testimonianza, e' stata premiata all'ultimo festival del Cinema di Chartage.

Sulla vicenda grava una vergogna internazionale: "Per far luce sul massacro tramite una commissione delle Nazioni Unite - dice un testimone - il mondo ha dovuto elemosinare il consenso di Israele. Che ha detto no, e la commissione Onu non e' stata inviata.

Che Bush celebri pure la sua vittoria con il suo amico sanguinario." conclude sottovoce alludendo a Sharon.

"Tre battaglioni in piena notte hanno preso d'assalto il campo" - racconta un uomo di 72 anni, gambe e braccia ingessati - ."Le case erano piene di gente; stavo dormendo quando ho sentito gli altoparlanti che ordinavano di uscire dalle case per radunarci in una scuola. Era il caos. Nella fretta sono caduto e un soldato mi ha ordinato di alzarmi. Non ce la facevo, e gliel'ho detto". Fa una pausa per ricacciare indietro lacrime di umiliazione e di rabbia, poi continua: "con disprezzo - dice - mi colpisce a una gamba e me la spezza, eccola. Hanno distrutto tutto, e noi ricostruiremo tutto, che lo vogliano o no".

Il suo racconto continua: "vedete quelle ruspe che raccolgono montagne di stracci?" - chiede. E spiega: "quelli sono gli abiti di civili palestinesi umiliati fino alla morte. Vedevo mucchi di abiti per strada e mi chiedevo cosa significassero, poi l'ho capito quando un soldato mi si e' avvicinato ordinandomi di spogliarmi. Ho dovuto farlo, lui mi derideva.

Mi sono rivestito dicendo che alla mia eta' per nessuna ragione sarei andato in giro nudo, a costo di pagare con la vita. Mi ha picchiato; poi ho visto e ho capito: gruppi di palestinesi, uomini, donne, bambini, bambine, vecchi e giovani venivano denudati e smistati per essere lanciati come scudi umani verso le porte di abitazioni da sfondare.

Vedevo i bambini disperati darsi da fare al massimo per obbedire agli ordini dei soldati, sicuri che cosi' avrebbero avuto salva la vita. Ma poi, dopo aver sfondato le porte, i soldati sfondavano le loro teste prendendole e battendole ripetutamente contro i muri."

"Per il resto della sua vita Sharon dovra' fare i conti con quel che ha combinato nel campo di Jenin", parola di una bellissima bambina palestinese di dodici anni sopravvissuta al massacro; "darei la mia vita per il campo - dice con fermezza- e non importa se lo hanno distrutto. Per me il campo e' tutto e lo ricostruiro'".

La piccola e' una grande speranza per il futuro Stato di Palestina; parla con tono adulto di come non perdonera' mai a Sharon quel che ha fatto. E' una bambina che non piange, ma una volta lo ha fatto: "Quando ho saputo che Sharon sarebbe venuto in ricognizione al campo - dice - mi sono sentita cosi' insultata che ho pianto. Avrei voluto vendicarmi, io non ho paura degli israeliani perche' la loro vigliaccheria e' leggendaria." Ma un cedimento momentaneo tradisce i suoi dodici anni quando sottovoce dice: "Dopo tutto quello che ho vissuto, che senso posso dare alla mia vita?".

La bambina parla camminando sulle macerie di uno scenario allucinante, quello del grande campo di Jenin ridotto in briciole dai bulldozer e dalle bombe. C'e' sangue ovunque. I sopravvissuti si aggirano salendo e scendendo cumuli di distruzione, alla ricerca di persone e oggetti. Un'anziana donna racconta di come ha visto uccidere il comandante Abu Jendal, che ha guidato la resistenza palestinese nella durissima battaglia di Jenin. "Lo hanno legato e gli hanno sparato", dice evidenziando come si comportano i soldati di David con i prigionieri di guerra.

"Gli israeliani - racconta il direttore dell'ospedale di Jenin - impedivano ai medici e alle ambulanze di entrare nel campo. L'odore dei cadaveri era fortissimo, abbiamo chiesto spiegazioni e ci hanno risposto che quella parte del campo profughi doveva ancora essere disinfestata. Poi, dal numero di cadaveri disseminati nei pochi metri di visibilita' che avevamo, abbiamo capito che per loro disinfestare significava eliminare ogni traccia dei morti."

"Alle tre del mattino - continua - e' toccato all'ospedale. Lo hanno bombardato. Ogni tre minuti i caccia sparavano missili che cadevano all'interno. Se qualche missile non esplodeva era solo grazie a dio. Un nostro medico e' stato colpito nella sua auto e ridotto a un ammasso di dieci chili. Ho visto un cecchino sparare su un ragazzino di dieci anni terrorizzato, che non riusciva a trascinare il suo corpo; lo ha ucciso." "Hanno colpito mio figlio - racconta un uomo sui sessant'anni - e mi hanno chiamato. Ma io, padre e medico, non ho potuto fare nulla per lui. Mi e' morto fra le braccia."

Quasi tutti gli intervistati hanno un unico ricordo ossessivo di quella notte; non riguarda la violenza israeliana bensi' l'impotenza verso chi, morente, chiedeva loro disperatamente aiuto. E un dispiacere apparentemente secondario ma carico di significati simbolici: gli alberi distrutti dai bulldozer, ulivi e limoni divelti con disprezzo dagli israeliani. "Non riusciranno a sradicarci ne' ad intaccare la nostra identita' - dice un uomo sui cinquant'anni, con quindici anni di torture subite nelle carceri israeliane alle spalle, che spinge il passeggino della sua bambina fra tutta quella desolazione - . Compenseremo le perdite subite facendo piu' figli, i vedovi si risposeranno. Io e mia moglie ne abbiamo gia' tre, ne faremo nascere presto altri due." Quando ci fu l'occupazione, nel 1967, aveva nove anni...............

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