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Resolution: Revolution!

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Il “Manifesto”, la “cosa rossa”, la sinistra alternativa

(30 Dicembre 2007)

Il “Manifesto”, storico quotidiano della “gauche” italiana (usiamo volutamente un francesismo, in questo caso denso di significato), da qualche giorno si trova al centro di un dibattito teso ad analizzare, valutare, misurare il grado di vicinanza, sia sul piano politico – editoriale, sia al riguardo del comportamento soggettivo dei componenti della redazione, al riguardo della nascente “Cosa Rossa” o meglio, come l'hanno definita i dirigenti del nuovo soggetto politico: “La Sinistra – L'Arcobaleno.

Nella sostanza, da parte di molti dirigenti della nuova Federazione di sinistra (anche tra quelli che hanno appartenuto per molti anni alla storia del Manifesto come Massimo Serafini, Francesco Indovina, Luciana Castellina) emerge l'accusa rivolta alla redazione del quotidiano di un eccesso di distacco e di “antipatizzazione”.

Ha risposto, ponendo un primo punto fermo, il condirettore Gabriele Polo, il quale Giovedì 20 Dicembre, ha chiaramente preso le distanze dal nuovo soggetto che nasce, a suo giudizio, nell'incapacità di individuare le discriminanti di fondo che attraversano la fase ( i diritti civili degli individui, le condizioni del lavoro subordinato, la mercificazione dell'ambiente e dei beni comuni, la contraddizione di genere e la scelta pacifista) e di subordinarne il concreto affrontamento ad una alleanza subalterna, racchiusa dentro il quadro della governabilità, con un Partito Democratico che, a giudizio di Polo, pratica una sorta di “liberismo moderato”.

Polo individua anche cinque “nemici”, contro i quali la nascente “Sinistra – Arcobaleno” non si porrebbe in una situazione di secco contrasto: le chiese e gli integralismi, l'impresa capitalistica, il modello di sviluppo, la subcultura maschilista, chi esercita la guerra come asse delle relazioni internazionali.

Si tratta di un impianto condivisibile quello esposto dal condirettore del “Manifesto”, almeno per quel che riguarda la “pars destruens” che rimane però, limitato e parziale, se non accompagnato da una analisi e da una capacità più ampia di proposizione politica.

Provo a spiegarmi brevemente esponendo due punti:

Prima di tutto non è possibile partire da un giudizio di “delusione” dell'esperienza di governo di centrosinistra. Non c'è nessuna delusione, o meglio la delusione può esserci per chi ha coltivato un'illusione: il Manifesto ha sbagliato analisi, al partire dal farsi coinvolgere nel girotondismo dell'antiberlusconismo viscerale che ha impedito di verificare le effettive discriminante politiche della fase; ha concesso troppo alla logica di una governabilità che non poteva – in alcun modo – avere caratteri di sinistra (anche dal punto di vista del “condizionamento” del centro, nell'accezione più classicamente socialdemocratica: non c'è ombra di socialdemocrazia, neppure all'orizzonte), perché nessuno dei soggetti che hanno partecipato all'impresa della coalizione di centrosinistra ne presentava minimamente le caratteristiche; ha mancato l'analisi sulla pericolosa involuzione che (fin dai tempi della logica delle “due sinistre”) stava percorrendo Rifondazione Comunista, principale responsabile per le sue dimensioni e le sue caratteristiche, del disastro che incombe sulla sinistra italiana. Il discorso su Rifondazione Comunista va affrontato con coraggio, analizzando quanto questo Partito ha concesso alla crisi della politica militante, del rinchiudersi non tanto nell'”autonomia del politico” quanto davvero in una “Casta” totalmente tesa verso la conservazione delle posizioni istituzionali. Esiste una cartina al tornasole di questo giudizio, se mai ce ne fosse stato bisogno, ed è rappresentato dal comportamento di questi giorni sul terreno della legge elettorale, l'accettazione della logica di “scambio” nei suoi termini più biechi, mentre intorno accadeva di tutto (pensiamo ai morti bruciati sul lavoro) e, al di là della propaganda televisiva, nessuno muoveva un dito. I morti di Torino valevano o non valevano una crisi di governo ed uno sciopero generale “politico”? Ecco la risposta che il Partito del Presidente della Camera, dei Ministri e Sottosegretari, dei Deputati e Senatori, degli Assessori e Consiglieri Regionali, Provinciali, Comunali dovrebbe fornire per far capire, far svelare la realtà. Degli altri soggetti della “Sinistra – L'Arcobaleno” non ci occupiamo vista la loro assoluta inconsistenza politico – organizzativo ( permetteteci, inoltre, di non credere alle mini-scissioni buoni per conservare la “falce e martello”. Scissioni realizzate con l'occhio al proporzionale puro con cui si voterà alle Europee del 2009, tanto per essere chiari);

Riprendiamo il filo del discorso riguardante il “Manifesto”, per avviarci rapidamente alla conclusione. Abbiamo scritto poc'anzi, a proposito dell'intervento del condirettore Polo, di”pars destruens”. Ebbene “Il Manifesto” può avere, per storia, capacità del corpo redazionale, forza d'attrazione, un ruolo importante per aprire un ragionamento di “pars costruens”, reclamando e lavorando – prima di tutto – per la formazione di un soggetto di sinistra alternativa fondato sulla riappropriazione della militanza e di una concezione della politica come elemento di connessione ed integrazione sociale posto sul terreno della rappresentanza. Poi ci sono i temi del “progetto”, di una visione alternativa della costruzione sociale, dei temi dell'eguaglianza, della solidarietà, della democrazia sociale applicata ai temi ai riguardi dei quali Polo individua i “nemici” da battere. Non si tratta soltanto di individuare i nemici, ma di riportare in campo i concetti di “egemonia” e di “blocco storico” per un futuro da perseguire rilanciando il vecchio motto gramsciano: “pessimismo dell'intelligenza” e “ottimismo della volontà”.

Savona, li 22 Dicembre 2007

Franco Astengo

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