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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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    Coalizioni dominanti e la fine della dialettica

    (2 Gennaio 2008)

    Le drammatiche notizie che giungono dal Pakistan, in seguito all'assassinio di Benazir Bhutto, suggeriscono molti spunti di riflessione, riferiti essenzialmente al quadro strategico che si presenta, in questa fase, a livello mondiale ed, in particolare, ad una area delicata come quella dell'Asia centrale, che va assumendo (anche per via dell'affacciarsi a suoi confini di India, Iran, Russia, Cina) una importanza forse superiore a quella dello stesso Medio Oriente: ma non è su questo argomento che intendevo avanzare alcune osservazioni, bensì su di un altro punto che mi permetto di ritenere assai importante, ancorché poco esplorato da parte degli osservatori più attenti e celebrati.

    Principio, per questo abbozzo di analisi, proprio dal ruolo che Benazir Bhutto ed il suo partito (ora vedremo cosa accadrà nella fase di successione di una leader così importante e prestigiosa) si apprestavano a ricoprire in quello che i maggiorenti USA osano definire processo democratico, in atto nel Pakistan. Pakistan, come è noto, dominato da una dittatura retta dal generale Musharaff, in una realtà assolutamente dominata dall'esercito, unica istituzione funzionante. Esercito pakistano dotati di equipaggiamento atomico, armato fino ai denti dal punto di vista convenzionale ed erede di una lunghissima tradizione di scuola militare.

    Benazir Bhutto ed il suo partito si apprestavano a ricoprire il ruolo di supporto di una “coalizione dominante”, in nome dell'estensione della democrazia marca USA: “coalizione dominante” già in atto in Irak e negli altri paesi ad influenza americana.

    Un modello, quello della “coalizione dominante” che trova adepti anche nell'Occidente industrializzato e non soltanto nella Russia putiniana (che cosa è, in sostanza, il partito del Presidente ex-KGB, e da dove vengono gli ostacoli per lui: non certo sul piano politico, ma esclusivamente sul terreno del controllo dei settori economici più redditizi).

    Prendiamo Francia e Italia, paesi occidentali l'uno dalla democrazia antica e l'altro di democrazia recente.

    In Francia le ultime elezioni presidenziali, giocate sul filo di un residuo bipolarismo, si sono tramutate nel trionfo della fine della dialettica politica: il partito che sosteneva la candidata perdente è praticamente scomparso dalla scena, e la grande coalizione vincente si sta premurando di occupare tutti gli spazi, anche con grande piglio dal punto di vista mediatico; in Italia, con la formazione del PD, siamo ormai molto più avanti che non alle prove del superamento della dialettica politica e della sua sostituzione con una larghissima coalizione politica, formata da soggetti indifferenti alle contraddizioni, salvo a quella della spartizione del potere.

    In Germania, tanto per non dimenticare nulla, è in atto una “grosskoalition” che pare proprio non abbia nessuna intenzione, da parte dei suoi protagonisti, di essere divisa per ritornare al confronto dialettico.

    Lo schema è semplice: se si presenta un avversario (indipendentemente dalle sue ragioni) lo si distrugge (magari con le armi) e poi se ne incamerano le spoglie: questo è il nuovo meccanismo “sovrano” della politica mondiale. Resiste la Cina, chiusa nel suo “splendido isolamento” politico e forte della sua dinamicità economica, ed il Cono Sud, in pieno fermento, ma troppo debole sul piano economico – militare (vedremo chi ci penserà ai vari Chavez, Morales o alla signora Kirchner, ma il livello di contraddizioni in quella parte del mondo appare troppo elevato, perché da lì possa partire uno spunto di riequilibrio, un rinnovato “spirito di Bandung”).

    L'esito, provvisorio, ma per adesso esito della fase di transizione aperta dalla fine dei regimi a “rivoluzione avvenuta” a partire da quello sovietico e della trasformazione del modello economico in Cina, è quindi quello di un apparentemente inarrestabile moto verso la fine della dialettica politica, basata sul confronto tra le ideologie, i diversi modelli di società, le alternative poste anche sul terreno delle relazioni internazionali e delle strutture di inveramento statuale (pur messe a dura prova, quest'ultime dal velocizzarsi dei meccanismi di globalizzazione ma non ancora sostituite da quei soggetti sovranazionali, quali ad esempio l'Unione Europea, di cui molti preconizzavano un rapido sviluppo).

    Un mondo che si avvia verso una sorta di “post – dialettica”: quasi una “post - politica”. Mi pare che ce ne sia di materia di riflessione.

    Savona, li 31 Dicembre 2007

    Franco Astengo

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