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Il conte Marzotto

articolo di Liberazione del 17 dicembre 2002

(18 Dicembre 2002)

Lo stabilimento della Marzotto a Manerbio, in provincia di Brescia, sta per essere chiuso. Tutti i 271 dipendenti verranno licenziati.

Alle lavoratrici e ai lavoratori, che gli avevo indirizzato una lettera aperta, il conte Pietro Marzotto, alla fine ha risposto. Dopo aver ricordato che non tocca a lui occuparsi della gestione dell'azienda, il conte ha comunque ammesso di condividere la scelta di chiudere la fabbrica, perché, ha scritto, ci sono paesi concorrenti con costo del lavoro 5 o 10 volte inferiore a quello italiano. Addolorato per i licenziamenti, il conte ha però fatto notare che a Brescia il lavoro si trova Starà alle istituzioni darsi da fare per i licenziati.

Esternata così la propria sensibilità sociale, il conte ha preso congedo dai lavoratori con sinceri e calorosi auguri.

Questo il tenore di una lettera che è sbagliato definire da padrone ottocentesco.
Perché per ritrovare una così gretta insensibilità, bisogna risalire nel passato ancora di un secolo.
Vengono in mente le facezie della regina Maria Antonietta. Che ad un ministro che le ricordava che il popolo non aveva più pane, si narra rispondesse con l'invito a distribuire brioches.
Il conte Marzotto discende da un'illustre famiglia, ma resta un nobile di provincia, non è quindi capace di raggiungere quelle vette di arroganza, ma nel suo piccolo si dà da fare.
E non è il solo. Pochi giorni fa, quando temeva di essere licenziato, il presidente della Fiat, Paolo Fresco, in un'intervista, parlò di arroganza e dignità offesa. Naturalmente non pensava alle migliaia di lavoratori sbattuti fuori dalla sera alla mattina, con i cartelli alle entrate che vietavano l'accesso a chi per decenni aveva fatto la ricchezza dell'azienda. Egli pensava solo a sé. Solo l'aristocrazia delle imprese ha diritto alla parola dignità, per gli altri c'è il mercato.

Tutti questi conti di nascita o acquisiti mostrano dolore, ma fanno ridere. Se avessero un minimo di reale afflizione per i disastri che stanno combinando direbbero perlomeno quella parola che certo non si addice alle caste arroganti: scusate.

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