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(19 Gennaio 2008)
Una doverosa premessa: la proposta di contestare la scelta degli organizzatori della Fiera del Libro di dedicare l’edizione 2008 allo Stato di Israele non è un fatto isolato. Questa iniziativa si inscrive nella campagna “2008 Anno della Palestina”, promossa dal Forum Palestina e da altri comitati e associazioni di solidarietà con il popolo palestinese, fra i quali l’International Solidarity Movement, il movimento pacifista internazionale cui apparteneva Rachel Corrie, la ragazza statunitense uccisa da un bulldozer militare israeliano mentre cercava di difendere con il proprio corpo una casa palestinese di cui i militari di Tel Aviv avevano deciso la demolizione. A marzo saranno passati cinque anni dall’assassinio di Rachel, ed anche questo anniversario farà parte della serie di iniziative che vedranno, fra l’altro, due manifestazioni nazionali (la prima, il prossimo 29 marzo a Roma), un campeggio estivo in Versilia e, già nelle prossime settimane, una manifestazione internazionale al valico di Rafah, per denunciare le complicità italiane ed europee nel genocidio di un milione e mezzo di persone, sotto embargo da quasi due anni e vittime quotidianamente delle incursioni e dei bombardamenti israeliani, vergognosamente taciuti dalla maggior parte dei media italiani.
Contestiamo la scelta della Fiera del Libro perché troviamo inaccettabile onorare un evento storico,quale la fondazione dello Stato di Israele, che ha significato la pulizia etnica di centinaia di migliaia di Palestinesi, ancora oggi condannati ad una vita grama da ospiti indesiderati nei vari campi profughi, come quelli in Libano, al cui sostegno ha dedicato tanti anni della sua vita il nostro amico e compagno Stefano Chiarini; contestiamo quella scelta perché non si può legittimare culturalmente un’occupazione militare e coloniale che dura da decenni, le distruzioni, i massacri, da Deir Yassin a Jenin, passando per Sabra e Chatila; contestiamo quella scelta perché non si può ospitare con tutti gli onori uno Stato che ha violato sistematicamente tutte le Risoluzioni dell’ONU, che è la sola potenza militare nucleare della regione e che ha costruito il Muro della Vergogna, rinchiudendo in lager a cielo aperto i Palestinesi della Cisgiordania; contestiamo quella scelta, infine, perché uno Stato razzista, che discrimina anche i propri cittadini non ebrei (o ebrei di pelle nera, come i falasha), non merita quella tribuna prestigiosa che qualcuno intende offrirgli.
Non condivido, quindi, quanto scritto da Simon Levis Sullam sul Manifesto del 16 gennaio. In primo luogo, le università israeliane non sono mai state oggetto di boicottaggio in quanto “luoghi di costruzione della conoscenza” o per il loro essere settori “impegnati sulla strada del dialogo, del cambiamento e della pace”. Quelle università sono contestate da associazioni accademiche e sindacati di vari Paesi (Gran Bretagna, ma anche Canada e Sudafrica, per dire) per il contributo che forniscono alla macchina da guerra israeliana, in termini di ricerca e sperimentazione di nuove e più micidiali armi e sistemi d’arma da impiegare contro i Palestinesi e contro gli altri popoli della regione, come hanno sperimentato i Libanesi poco più di un anno or sono.
Analogamente, quindi, il dissenso che manifesteremo a Torino sarà la testimonianza della nostra opposizione alla logica di guerra che informa lo Stato di Israele sin dalla sua nascita, avvenuta anche sulla base di un’ideologia perversa – il sionismo – fondata sull’assunto che la Palestina fosse “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, in altre parole fondata sulla negazione financo dell’esistenza del popolo palestinese, negazione ribadita a più riprese dallo stesso padre fondatore dello Stato ebraico, David Ben Gurion, e dai suoi successori.
Il fatto che qualcuno (non Levis Sullam, beninteso) abbia già qualificato la nostra iniziativa come “antisemita” e nazistoide mi indigna, ma non mi sorprende: è prassi consueta e bipartisan criminalizzare ogni critica allo Stato di Israele ed ogni forma di sostegno e solidarietà ai Palestinesi ed ai loro diritti inalienabili. Questa intossicazione non ci ha fermato negli anni scorsi e non ci fermerà neanche nell’Anno della Palestina.
Germano Monti (Forum Palestina)
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