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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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La crisi del governo Prodi e le prospettive dei comunisti

(28 Gennaio 2008)

Venti milioni di lavoratori sotto pagati; cinque milioni di famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese; prezzi alti come in Germania e salari bassi come in Grecia. Queste sono le vere ragioni della caduta del governo Prodi. Non altro, non i Mastella o i Dini!

Il governo Prodi è caduto perchè ha dissipato l’illusione di molti lavoratori e di molta altra gente che nel giugno del 2006 lo avevano votato.

Nella sua breve vita questo governo ha dimostrato di fare moltissimo per le imprese e molto poco per gli operai ed i lavoratori.

Ha governato anticipando lo scippo del TFR, tagliando le pensioni e aumentando l’età pensionabile, ha accelerato la privatizzazione dei beni comuni come l’acqua ed è rimasto immobile di fronte agli aumenti delle tariffe, della benzina, della luce e del gas. Ha persino introdotto nuovi ticket sanitari.

Ha rifinanziato le missioni di guerra in Afganistan ed in Kossovo e ne ha deciso una di nuova in Libano. Ha aumentato le spese militari, ha autorizzato fregandosene del parlamento l’ampliamento della base americana di Vicenza.
Ha mantenuto ed aumentato i privilegi economici alla chiesa cattolica come l’esenzione dall’ICI, non ha abrogato nè la legge Biagi, mantenendo la precarietà, né la Bossi-Fini ed anzi ha cercato (ed in parte c’è riuscito) di introdurre nella legislazione italiana norme di sicurezza razziste ed il reato di povertà.
Con la finanziaria del 2007 ha proseguito la politica berlusconiana di trasferimento di risorse dai salari ai profitti, alle rendite finanziarie chiedendo sacrifici immediati ai lavoratori a fronte di promesse i cui effetti sono ancora tutte sulla carta.
Solo un po’ di carità per incapienti e le oramai poche famiglie numerose. Se risanamento dei conti pubblici c’è stato l’hanno pagato ancora una volta i lavoratori ed i ceti medio-bassi in generale..

Così il governo Prodi non poteva avere nessun futuro!

Se i lavoratori sono usciti impoveriti da questa esperienza, ne esce sconfitta una classe sindacale confederale inetta che in nome del “governo amico” si è fatta paladina delle compatibilità della Confindustria, ha soffocato le lotte dei lavoratori, ha ridotto al minimo le richieste salariali – pochi euro in tanti anni -, ha negoziato accordi penalizzanti come quello sullo walfare. Le tantissime morti sul lavoro non possono non essere considerate il frutto anche di questa politica sindacale!

Ad essere sconfitta è anche la sedicente “sinistra radicale” che prima fra tutti ha svenduto le speranze dei lavoratori in cambio di un ruolo di secondo piano nel teatrino della politica!

La strada tutta politicista di una nuova legge elettorale, che il centro-sinistra auspica per uscire da questa situazione, è sbagliata e soprattutto pericolosa. Per evitare l’attuale “porcellum” sarebbe sufficiente rivedere i meccanismi di ripartizione dei seggi per il Senato e reintrodurre le preferenze.
La nuova legge elettorale reclamata in sintonia da Veltroni e Berlusconi mira a ridurre spazi di democrazia e non a rispondere in positivo (come forma autocritica) ai disastri delle loro scelte politico-economiche sbagliate.
Non c’è democrazia laddove una minoranza pretende di poter decidere come fosse maggioranza! La stabilità di governo assunta come valore e non come opportunità rappresenta soltanto la rincorsa verso la conservazione del potere, verso una politica dalle mani libere anche sotto il profilo etico-morale affrancata da ogni controllo democratico.

Il fallimento della Cosa Rossa ancora prima della sua nascita sta lasciando dietro di sé un esercito di militanti delusi passivizzati, senza prospettive politiche.

Ma non tutti hanno ceduto alle lusinghe e ai tentativi di corruzione. Non tutti hanno accettato la logica del regime bipolare né sono disponibili ad accettare tutto, anche il peggio, per paura del “ritorno” di Berlusconi.

Le manifestazioni di Roma in occasione della visita di Bush in Italia e di Vicenza contro la nuva base Usa, così come le manifestazioni dei metalmeccanici ma anche quella del 20 ottobre imposta ai dirigente de PRC e PDCI dai loro militanti di base, hanno dimostrato che c’è una vasta rete di organizzazioni politiche, di sindacalismo non concertativo, di strutture popolari di base, di lavoratori coscienti che ha continuato a resistere alla prevalenza degli interessi del capitale anche quando si è fatto rappresentare dal governo della borghesia "illuminata" quale ha cercato di essere il governo Prodi.

Si tratta di una rete che è purtroppo divisa e frammentata e che per questo rischia di rimanere un semplice insieme di microorganizzazioni politiche e sindacali cristallizzate ed autoreferenziali senza possibilità di evolvere verso forme più avanzate e più rispondenti alle necessità della classe lavoratrice.

Se queste dimensioni organizzative potevano avere una loro ragion d’essere quando rappresentavano la “sinistra della sinistra” - mentre il corpo centrale rappresentativo della classe era costituito nei partiti e nei sindacati “storici” - in quanto esercitavano la funzione di pungolo e di ostacolo alla deriva revisionista dei partiti storici della sinistra, oggi questa funzione non è prioritaria.

Oggi, la maggior parte della classe non è organizzata e rischia di perdere coscienza di sé e della sua potenziale forza di cambiamento. Oggi i partiti storici della sinistra non esistono più. Oggi la fase politica è fortemente cambiata.

E’ necessario un forte salto in avanti: i lavoratori, e i movimenti popolari hanno bisogno di avere una sola loro organizzazione politica e non decine di organizzazioni. Hanno bisogno di un “Partito nuovo” e non dell’ennesimo “nuovo partitino”.

Il nostro è un appello esplicito ai lavoratori e alle lavoratrici, alle organizzazioni politiche non sottomesse al regime bipolare, alle organizzazioni sindacali non concertative e a quanti sono mobilitati in difesa dei beni comuni e del proprio territorio, ad avviare insieme il processo di costruzione della loro organizzazione, della loro autonomia politica, del loro Partito.

Un processo che ha alla sua base l’unità dei comunisti, cioè di quanti lavorano per l’organizzazione autonoma del proletariato come strumento di trasformazione sociale, per il ribaltamento dei rapporti di forza tra le classi – senza negare l’esistenza di alcuna – per l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo a qualsiasi titolo, e della schiavitù del lavoro salariato, per la riappropriazione sociale dei beni comuni.

Siamo consapevoli che si tratterà di un processo lungo e tutt’altro che semplice, ma siamo convinti che i tempi siano maturi per cominciare questo percorso comune di speranza e di riscossa.

Coordinamento Padovano per l'Unità dei Comunisti

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